Sabato, 20/07/2024 - Dopo Roma è approdata a Bologna una bellissima mostra su Enrico Berlinguer (visitabile fino al 25 agosto), che 40 anni fa era il segretario di un partito comunista che certo non gli dispiace se oggi si chiama Pd.
Nel 1979, dopo un’elezione che aveva aumentato il numero delle elette, si aspettava che dalle donne venissero obiettivi di sviluppo economico, di trasformazione sociale, di progresso civile, di rinnovamento istituzionale, di educazione e formazione culturale, di costume, di sempre nuova elaborazione ideale. Lo diceva nell’incontro con le donne comuniste in piazza di Spagna a Roma il 13 maggio. Ovvietà di un uomo, un dirigente politico che però avverte una certa difficoltà a parlare a un pubblico femminile che giustamente non tollera più discorsi vaghi e discorsi paternalistici? Di fatto affermava l’uscita dallo schema politico tradizionale, secondo cui prima si deve fare la rivoluzione sociale e poi si risolverà la questione femminile. Non deve più essere così: il processo della rivoluzione sociale e quello della liberazione della donna da ogni forma di oppressione, compresa quella che si è storicamente determinata nel campo della sessualità, devono procedere di pari passo e sostenersi l’uno con l’altro. .... Non può essere libero un popolo che opprime un altro popolo, scriveva Marx. E potremmo parafrasare così quella affermazione: non può essere libero un uomo che opprime una donna. Perchè in famiglia i compiti debbono ricadere solo sulla donna? I diritti femminili - citava la crescita delle aggressioni e delle violenze, (comprese quelle di “certi maestri del giure” che trasformavano in colpevoli le vittime che accusavano) - partono dalla sessualità. La liberazione della donna era già implicita nella citazione gramsciana “La questione, etico-civile, più importante, quella di una formazione di una nuova personalità femminile, è legata alla questione sessuale. Finché la donna non avrà raggiunto non solo una reale indipendenza di fronte all’uomo, ma anche un nuovo modo di concepire se stessa e la sua parte nei rapporti sessuali, la questione sessuale rimarrà ricca di caratteri morbosi“.
Oggi non mancano uomini che si mettono in discussione e intendono fare autocoscienza, ma nessun leader o rappresentante istituzionale - forse solo Mattarella lascia trasparire qualcosa del genere - chiede aiuto al magistero femminile nella prassi politica. Nemmeno se il leader o il parlamentare è una donna.
Ursula von der Leyen ha tenuto il discorso della corona per la seconda investitura: qualcuno ha sentito pronunciare, a qualunque titolo, la parola “donna”? Ai segretari del Pd di questi 40 anni - l’ultima è una donna - è mai venuto in mente di proporre una legge per abolire l’obiezione di coscienza all’aborto? Forse sarà venuto in mente a qualche segretaria o deputata: che non l’ha presentata magari contro il parere del partito. Non sarà che come cinquant’anni fa le donne che fanno politica sostengono prima gli interessi e i principi del partito e le determinazioni prese dalla direzione anche se contraddicono la loro militanza femminista? Non fatemi dire che anch’io sono andata a votare per l’Europa pensando solo ai problemi di frammentazione dell’Unione. Eppure so che ci sarebbe bisogno urgente di imprimervi non solo i nostri corpi, ma la cultura che quei corpi hanno prodotto nell’emarginazione.
La lunga citazione di Berlinguer voleva interrogare sui quattro non trionfali decenni successivi dall’ex-Pci al Pd. L’ingresso nelle istituzioni e nelle cariche rappresentative si avvia tranquillamente a una parità che mantiene qualcosa, appunto, di morboso: tante di noi sono nel mondo capo di governo o capi di Stato.
Qualcuna alla base si domanda se non è imbarazzante rendersi conto del protagonismo delle donne di potere, se poi non cambiano le regole e l’assenza di una componente femminile nel Cda della Cassa Depositi e Prestiti è stata risolta aumentando il numero dei membri. E’ ormai normale vedere in carica sindache, consigliere, segretarie, scelte non per “quote rosa” ma per competenze.
Tuttavia sono anche più numerose degli uomini le donne che non votano. Il problema intriga. Infatti non vanno a votare perché non ne sentono il bisogno: tutto resta come prima, sono tutti uguali. Stanno imparando che, sindaco o sindaca, difficilmente cambia qualcosa rispetto ai loro desideri. Bisognerà pure che la politica, nel “partire da sé, parta dalla ricognizione della coscienza dei tanti sé individuali che percepiscono solo estraneità e disimparano la realtà nascosta dei loro interessi. Possono guardare senza passione, magari approvando - brave brave - oppure indifferenti o con disapprovazione un corteo di me#too o di nudm che fanno rumore, ma passa.
Concludendo: Giorgia Meloni non ha votato Ursula von der Leyen. Anche per lei la relazione è come da modello unico: politico-cinica. In questi mesi ha fatto molte rinunce opportunistiche al suo credo per la necessità di mantenere questo governo attribuitole dagli italiani che vanno a votare dopo il misero 4,6 % che aveva rimediato nelle precedenti elezioni. Ma questa volta non ce l’ha fatta. Chi governa deve tenere d’occhio il bene del paese e il ministro Giorgetti ogni giorno le ricorda i problemi di cassa, il debito, i controlli europei sul Pnrr. “Doveva” mandare giù il boccone amaro e votare per interesse; ma ha prevalso il credo nazionalista e l’idea di un’altra Europa: debolezza sentimentale tipica delle femmine oppure è il bravo soldatino di “casa Pound” che guarda i patrioti?
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