Paolo Poli - “Sillabari” è l’ultimo spettacolo di Paolo Poli ispirato alle gradevoli ed essenziali forme narrative di Goffredo Parise
Mirella Caveggia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2009
Una delle attrattive più divertenti di “Sillabari”, l’ultimo spettacolo di Paolo Poli ispirato alle gradevoli ed essenziali forme narrative di Goffredo Parise, sono gli abiti di scena di Santuzza Calì. Dalla fantasia della costumista storica dell’attore toscano ancora una volta è sbocciata una ghirlanda di stravaganti delizie ispirate ai figurini di decenni passati, a immagini orientaleggianti o classicheggianti: una passerella piena di ironia, di brio e di eleganza, straordinariamente aderente allo spirito dell’autore dello spettacolo.
Paolo Poli, fedele alla tradizione che lo vuole ospite del Teatro Stabile di Torino durante le feste di fine anno, questa volta ha regalato al suo pubblico un caleidoscopio dedicata ai sentimenti umani. Sono schegge di realtà che si accendono in un intreccio di recitazione, di canti e di danze, e danno vita a bozzetti di vita interiore e di costume che turbinano con leggerezza per richiamare un’epoca definitivamente tramontata. Ma al tocco di Paolo Poli, il tempo che fu lascia affiorare tante piccole e grandi pecche che appaiono ancora oggi radicate nella nostra spensierata società. Nell’intenzione di Goffredo Parise i raccontini dovevano essere tanti quante le lettere dell’alfabeto. Ma si sono fermati al diciottesimo: dall’A di “altri” e “anima”, fino alla S di stampa e di sogno. Lievi e iridescenti come bolle di sapone, o deformati da una giuliva idiozia, sono tutti irrorati dalla malizia, dall’astuzia e dall’ironia senza benevolenze di Paolo Poli. Li tengono insieme le canzonette di una volta, orecchiabili e un po’ cretine, come “Macariolita” o “Marina, Marina”. Alternate a qualche ritornello tedesco, spagnolo e francese, rivelano tutta la loro banalità grazie all’arguzia del protagonista, sempre sorprendente nelle toilette femminili, indossate con una meraviglia di disinvoltura.
Anche le scene di Emanuele Luzzati, che si avvicendano veloci facendo l’occhiolino ai grandi pittori del Novecento, contribuiscono alla piacevolezza di questo spettacolo segnato dalla fantasia e dall’agilità interpretativa. Molti applausi, anche se gli altri attori, tutto uomini, per quanto bravi, non raggiungono il livello del maestro. È lui soprattutto che si ammira, il colto menestrello pazzerellone, che quattro volte ventenne, continua a dispensare letizia, spensieratezza, intelligenza.
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