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Caccia al relativismo

Caccia al relativismo

Laicità o privilegi confessionali? - "I rischi per la democrazia non vengono solo dall'arretratezza culturale di certe autorità cattoliche, ma anche dai processi di globalizzazione"

Stefania Friggeri Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2007

Cosa intendeva Ratzinger parlando di “sana“ laicità ce lo ha chiarito il cardinale Ruini quando, approvati i Dico dal Consiglio dei Ministri, ha preannunciato un documento vincolante per i parlamentari cattolici affinché non votino la legge, simbolo del relativismo. Ma relativismo non vuol dire “tutto è relativo”, anzi. Relativismo vuol dire, come testimonia la ricca e diversificata esperienza dei movimenti femminili, che se vogliamo costruire una convergenza fra diversi, si deve partire dall’idea che nessuna verità è assoluta ma tutte sono relative: solo così il confronto ci porta a stabilire un minimo di valori condivisi, mentre su tutto il resto, riconosciuta la pari dignità delle opzioni, i cittadini possono scegliere in autonomia. Ma questa posizione è comprensibilmente inaccettabile per chi crede di esprimere non la voce dell’uomo ma la voce di Dio. “Essa (la Chiesa) in principio è stata favorevole a regimi autocratici stante la proclamata unità della verità (religiosa) e del bene comune (politico), unità che non avrebbe tollerato il relativismo su cui si basa un sistema di governo come la democrazia“ (Zagrebelsky). Ma i rischi per la democrazia non vengono solo dall'arretratezza culturale di certe autorità cattoliche, ma anche dai processi di globalizzazione: recentemente il presidente del Molise M. Iorio, insieme all’Udc Marconi, ha partecipato a Washington al National Prayer Breakfast, l’annuale iniziativa organizzata dalla potente lobby dei cristiani evangelici. Questo caso, apparentemente marginale, testimonia come ormai il clima politico italiano sia permeabile al peggio, anche perché tutti coloro che esaltano gli Stati Uniti come il paese in cui vige netta la divisione fra Chiese e Stato, dimenticano che negli USA potrebbe essere eletto un presidente donna, un nero, forse anche un gay, ma mai un ateo. Perché la “religione civile” americana, dentro la quale il partito repubblicano alleato ai neoconservatori e alla destra religiosa ha insufflato il “nazionalismo messianico”, non è nato con Bush ma coi Padri Pellegrini fondatori: lo testimonia quel “in God we trust” (noi confidiamo in Dio) scritto sui dollari. D’accordo: non è immaginabile che Buttiglione e company si trovino insieme per fare una ‘colazione di preghiera’ prima di occuparsi di politica, ma come non vedere che ormai in Italia la cultura cattolica è la cultura egemone grazie a un’azione incessante e abile del Vaticano che ha eroso la tracce di laicità che sopravvivevano al Concordato? Solo una controffensiva culturale può avviare l’Italia a recuperare la laicità perduta col Concordato, sul quale oggi è impensabile una battaglia politica, ma su cui deve essere avviata una battaglia culturale; e non solo mettendo in luce l’enormità dei privilegi economici concessi, ma interrogandoci sulla reale sovranità politica dello Stato italiano dopo la cosiddetta Conciliazione (un nome che tradisce l’origine risorgimentale e l’arretratezza culturale di un’impostazione che Craxi ha corretto solo nel suo punto più illiberale, quello cioè per cui la religione cattolica è stata di fatto la religione di Stato fino al 1984). Inoltre nell’odierna società multiculturale il Concordato rende molto problematica l’elaborazione di una legge sulla libertà religiosa. Ad esempio: poiché l'uguaglianza di fronte alla legge è un valore fondante della Costituzione, l’insegnamento scolastico dovrebbe essere garantito a tutte le religioni, anche se l’educazione religiosa può essere impartita in famiglia, in chiesa e nelle associazioni. Bisogna anche riflettere sul sostegno economico dello Stato alle scuole confessionali perché educare in un ambiente chiuso e fortemente identitario vuol dire costruire nei giovani un Io che non si sviluppa nel confronto con l’Altro, ma in una condizione che lascia indifesi di fronte ai pregiudizi e agli stereotipi, che produce diffidenza e timore. E inoltre l’identità si può ridurre al solo fattore religioso? “Se l’essere musulmano fosse l’unica identità di una persona di religione islamica…. l’identificazione religiosa porterebbe su di sé l’enorme fardello di dover decidere delle tantissime altre scelte che una persona si trova ad affrontare in altri ambiti della sua vita”. (Amartya Sen). E questo ci riporta di nuovo anche al tema del rapporto fra il cittadino e lo Stato, tema non nuovo se così si esprimeva il pagano Celso :”Delle due l’una, come vuole la ragione. Se essi (i cristiani) rifiutano di rispettare in pieno le leggi dello stato in cui vivono allora non raggiungano l’età virile, non prendano moglie, non allevino figli…Se invece prenderanno moglie e metteranno su famiglia, mangeranno i frutti degli alberi e prenderanno parte agli eventi della vita civile, allora dovranno tributare il loro rispetto alle autorità incaricate e prestare tutti i servizi dovuti alla società” (cit. da M.T.Fumagalli).
(03 aprile 2007)

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