Burkini: già la parola è un ossimoro orribile e ridicolo. Come se fosse ragionevole creare un punto d’incontro non tanto tra due indumenti, quanto tra due visioni del femminile, del corpo, della sessualità, della libertà di movimento, della bellezza e della relazione tra gli esseri umani.
La Francia, coerente con l’impostazione laica e avversa al multiculturalismo (che purtroppo in altri paesi è presentato come soluzione ‘rispettosa’ delle culture e delle tradizioni, così non si affronta il tema della secolarizzazione dove ancora non c’è) ha deciso di vietare la versione natatoria della copertura adottata sulle spiagge da alcune donne islamiche. “Il burkini è incompatibile con i valori della Francia e della Repubblica, non è un costume da bagno ma l'espressione di un'ideologia basata sull'asservimento della donna” sono le parole del premier Valls, che ha aggiunto “anche le autorità musulmane devono condannare il velo integrale e gli atti di provocazione che creano le condizioni di un confronto”.
Penso che il punto sia proprio questo: usare il simbolo religioso per eccellenza, che non a caso coinvolge in modo preciso e significativo il corpo femminile, per affermare un’appartenenza culturale, sociale e politica ‘altra,’ oggi e qui, significa marcare il territorio. Tralascio le evidenze, come la scomodità, l’incongruità dell’uso nello sport, un accanimento che dal velo (primo gradino, in apparenza innocuo, per significare la pudicizia necessaria per una ‘buona’ donna, in famiglia e nella società) passa dai capelli al corpo intero, in una vertigine di ossessione per la fisicità e la sessualità insita nell’umanità che arriva, nei paesi dove l’islam è legge, a punire i ‘reati contro la castità’.
Adonis, poeta e scrittore siriano, nel suo Violenza e Islam denuncia l’involuzione delle speranze riposte nelle ‘primavere arabe’ affermando che dal mondo musulmano “non c’è stata nessuna presa di posizione, nemmeno una parola, sulla libertà della donna. Come si può parlare di una rivoluzione araba se la donna è ancora prigioniera della sharī‘a? Il ricorso alla religione ha trasformato questa primavera in un inferno. E la religione è stata interpretata e sfruttata a fini ideologici”. C’è molto d’ideologico anche a sinistra, e in pezzi del femminismo, quando si afferma che vietare alle islamiche il velo o il burkini è un atto razzista. Scatta il veto alla critica quando si tratta della religione delle ‘vittime’: secondo questo pensiero, in quanto occidentali e colonizzatori, non possiamo intervenire, dimenticando che le destre razziste fanno, quando loro conviene, accordi e alleanze con i fondamentalisti religiosi di ogni tipo, di sicuro sui temi della famiglia e della libertà sessuale.
“Scandendo slogan come ‘il terrorismo non ha religione’ oppure ‘questo non è vero Islam’, adottando queste scuse senza senso, la parte regressiva della sinistra occidentale ha involontariamente fornito uno spazio per il fiorire dell'islamismo”, sostiene l’attivista pakistano Umer Ali che in un articolo su The nation http://nation.com.pk/blogs/21-Apr-2016/the-left-in-the-west-needs-to-accept-that-there-is-an-extremism-problem-among-muslims ”Dire ‘il terrorismo non ha nulla a che fare con l'Islam’ è problematico come dire ‘tutti i musulmani sono terroristi’.
Per la femminista iraniana Maryam Namazie “la laicità è una rivendicazione ed un desiderio della gran maggioranza del popolo iraniano sebbene il 70% dei giovani abbia vissuto tutta la propria vita solo sotto la legge islamica. Questo perché la laicità è una richiesta umana, non importa dove si sia nati o si viva. Ed è una richiesta che non è mai stata così urgente nella storia contemporanea, visto l’emergere dei movimenti religiosi in generale, e dell’Islam politico in particolare”. La laicità passa anche, e soprattutto, dal modo in cui le collettività umane evolvono e negoziano al loro interno i diritti, le relazioni sessuali e le visioni dei rapporti tra i generi: come è necessario opporsi agli stereotipi sessisti, all’uso mercificato dei corpi di donne e uomini nel mercato globale così è necessario opporsi alla copertura del corpo femminile in nome di tradizioni o di letture religiose alla cui base c’è sempre il patriarcato che governa, con la benedizione dei fondamentalismi di ogni credo, e decide chi sono le donne degne e chi, invece, le cagne.
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