Economia/ Commercio equo - Migliaia di donne e di uomini del Terzo mondo vivono grazie all'economia alternativa del commercio equo e solidale
Redazione Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2005
Tra banchetti allestiti in piazza per il Natale, alberi addobbati e musiche augurali, spesso si incontrano anche i venditori di prodotti del commercio equo. “Un regalo equo e solidale costa poco e non è mai banale” rima un ragazzo impacchettando regali ai clienti. Si vendono molti oggetti artigianali come terrecotte, tessuti e paglie intrecciate a mano, saponi dagli aromi esotici, e soprattutto tante marche di generi alimentari tra i quali spiccano riso, cioccolate, thé.
Il successo delle piccole aziende
Più di cinque milioni di persone in Africa, America Latina e Asia traggono vantaggio dal commercio equo. La maggior parte riguarda merci tradizionali prodotte da piccoli agricoltori. Tra loro numerose sono le donne che con l’aiuto del microcredito riescono ad emanciparsi e a mandare avanti le loro famiglie allestendo piccole aziende agricole.
Oggi si stima che più di 4.000 tra gruppi di piccole produttrici e produttori, coinvolgono centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori in più di 50 paesi in via di sviluppo, e partecipano alle catene di rifornimento per il commercio equo e solidale. Secondo la Flo-I (Fair Trade Labelling Organisations International, sede in Germania) tra il 2002 e il 2003 le vendite con l’etichetta di commercio equo sono cresciute fino al 42,3 per cento; secondo l’Efta (European Fair Trade Association, con un ufficio speciale di difesa pubblica a Bruxelles), tali vendite superano oggi mezzo milione di euro all’anno in tutto il mondo.
I mercati che stanno crescendo più rapidamente sono Belgio, Francia, Italia e Stati Uniti, con percentuali di crescita tra l’80 e il 700 per cento.
Visto il successo di questa catena di prodotti, anche alcune multinazionali hanno intrapreso una produzione con l’etichetta di commercio equo.
L’industria svizzera Nestlé ha lanciato un caffè certificato come prodotto equo e solidale dal nome “Partners' Blend”, realizzato da cinque piccole cooperative in Etiopia e Salvador.
Questo caffè, riporta l’etichetta, “aiuta gli agricoltori, le loro comunità e l’ambiente”.
La certificazione è stata rilasciata dalla Fairtrade Foundation, con sede in Gran Bretagna, membro della Flo-I, malgrado molti gruppi boicottino la compagnia accusata di incoraggiare le madri all’uso di latte artificiale durante l’allattamento. Cosa grave se si considera che questo
induce le donne a smettere di allattare, provocando indirettamente la morte di migliaia di bambini per mancanza di acqua pulita, oltre a provocare ulteriori difficoltà per il recupero di denaro per acquistare il latte.
Dal Wto di Hong Kong
Anche in occasione del recente incontro dell’Omc - Organizzazione mondiale del commercio - di Hong Kong - svolto dal 13 al 18 dicembre 2005 - il movimento per il commercio equo ha tenuto una “fiera del commercio equo e solidale” ad un isolato di distanza dal Centro espositivo di Hong Kong, dove si sono riuniti gli intermediari commerciali dell’Omc. Ma ancora oggi, “libero scambio” e “commercio equo” sembrano due visioni incompatibili.
I sostenitori del commercio equo dichiarano che gli scambi tra paesi sviluppati e meno sviluppati non sono alla pari, e che diventerebbero più equilibrati solo se i paesi più deboli venissero tutelati. Chi opera nel libero scambio sostiene che a lungo termine i mercati colmeranno il divario, e sia i paesi ricchi che quelli poveri beneficeranno del pieno accesso ai mercati degli altri, affermando, in quest’ottica, che il libero mercato equivale al commercio equo.
”Un principio chiave nelle politiche commerciali - attualmente assente in ambito Omc - è che ogni paese dovrebbe avere diritto alla sicurezza e sovranità alimentare, ed essere autorizzato a proteggere i settori strategici della propria economia”, ha dichiarato Monica Di Sisto, co-autrice della Dichiarazione di intenti comuni.
”Il movimento per il commercio equo sostiene inoltre che i paesi ricchi hanno l’obbligo morale di fermare ogni forma di sussidio distorsivo della concorrenza e che provochi dumping sui mercati mondiali, ricordando come l’impatto di queste pratiche sui più poveri sia stato devastante”, prosegue la dichiarazione.
Multinazionali in agguato
Paolo Pastore, direttore di Transfair Italia (certificatore di prodotti destinati al commercio equo, e membro della FLO-I) è contrario alla certificazione di un singolo prodotto, che può portare alla riabilitazione (vedi il caso Nestlé) di una compagnia altrimenti non verificata.
”Non abbiamo paura di lavorare con le multinazionali su questioni di commercio equo, ma solo se dimostreranno che si stanno davvero muovendo verso la responsabilità sociale, rispettando le norme internazionali dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), e se permetteranno ad altri di monitorare il loro operato”, ha detto Pastore.
”Ciò significa che serve un cambiamento a 360 gradi, e non su un unico prodotto o settore”, ha proseguito il dirigente. “Lo stesso deve accadere a livello governativo: per favorire un commercio davvero libero e globalizzato, le regole devono riguardare non solo gli aspetti economici e commerciali, ma anche una migliore distribuzione delle risorse, la cancellazione del debito ai paesi più poveri, e il benessere della gente che vive in quei paesi”. (Fonte: Ips)
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