Manager e P.A. - Il recentissimo libro “Dalla Politica alla Buona Amministrazione”
Raimondi Marco Lunedi, 16/04/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2012
Il Piano strategico di Mandato, un metodo sperimentato con successo. Una conversazione con la senatrice Isa Ferraguti
Il recentissimo libro “Dalla Politica alla Buona Amministrazione”, scritto da Cristina Melchiorri, Bruna Brembilla e Paolo Manzoni (ed. Franco Angeli), presenta un metodo, il Piano strategico di Mandato (PSM), basato su una effettiva esperienza gestionale condotta nell’Assessorato dell’Ambiente della Provincia di Milano da Brembilla e Melchiorri, in cui il PSM è stato applicato con successo. Quindi, gestire con approccio manageriale la Pubblica Amministrazione Italiana è possibile. Ne abbiamo discusso con Isa Ferraguti, già Senatrice, e da anni Presidente della Cooperativa Libera Stampa, editrice di ‘noidonne’.
Presidente, non le sembra che nella gestione della “cosa pubblica” in Italia sia ancora approssimativo il ricorso ai metodi manageriali?
Beh, ci sono casi di ottima gestione e valenti professionisti nella Pubblica Amministrazione centrale e locale. Credo che gioverebbe una più diffusa applicazione di regole gestionali ispirate, almeno in parte, alla gestione d’impresa. E sono lieta che Melchiorri e Brembilla abbiano messo la loro esperienza a disposizione di tutti gli Amministratori e Amministratrici interessati.
Forse lei è un po’ troppo generosa nei confronti della P.A. italiana. Il cattivo funzionamento di molte strutture pubbliche ha un elevato costo per il sistema economico generale. Forse manca, nella nostra cultura pubblica, una giusta fiducia nei metodi manageriali. Diversa la situazione in altri Paesi, ad esempio negli Stati Uniti. Cito un paio di esempi. Negli anni ’60 fu Segretario della Difesa e Capo del Pentagono un uomo, Robert McNamara, che aveva fatto carriera in grandi aziende (fu anche presidente della Ford), e portò metodi manageriali di gestione in quegli organismi. Poi c’è il caso di Jimmy Carter, che fu Presidente degli Stati Uniti. Fu il primo, quando era Governatore dello Stato della Georgia, ad applicare una moderna tecnica di budget (il “Budget a base zero”) che venne poi ripresa dalle aziende private ed ebbe successo in tutto il mondo. In questo caso fu la P.A. ad esportare nuove tecniche manageriali verso le imprese e non il contrario…
Sono d’accordo e trovo interessanti i riferimenti che ha citato. Ma non è così semplice. Da un lato le competenze “tecniche” e manageriali, richiamano il punto dell’ affidabilità delle persone che dovranno gestire le risorse per realizzare i programmi, e quindi della selezione delle persone con responsabilità così importanti e delicate. Gli Stati Uniti sono la patria delle tecniche di management. Da noi questa cultura non è così diffusa neppure nelle imprese private. E l’amministrazione della cosa pubblica è diversa dalla gestione di una azienda privata. Ci sono leggi e regolamenti, procedure obbligatorie, normative. Insomma il manager pubblico ha libertà molto inferiore al manager privato. I metodi manageriali devono tenere conto di queste peculiarità.
Condivido. Mi è capitato diverse volte di essere consulente di organizzazioni pubbliche. Ho trovato persone esperte e serie. Ho colto però due carenze: in primo luogo, processi e sistemi di lavoro non abbastanza snelli per conseguire risultati visibili; e poi, la mancanza di cultura diffusa dei fondamenti della gestione manageriale.
A questo punto occorre chiedersi cosa può fare la politica. In primis, delineare i grandi obiettivi verso i quali orientare una collettività nazionale o locale, fare scelte di fondo di carattere sociale, economico-finanziario ed etico. Chi amministra vuole ottenere risultati il più possibile corrispondenti alle promesse elettorali. E questo non è facile. Allora la Politica (quella con la p maiuscola) deve anche assicurare le condizioni che facilitino la trasformazione di queste linee-guida in risultati visibili ai cittadini. E questo c’è poco.
Come cittadino mi chiedo come può esistere un così drammatico divario fra le promesse elettorali e i risultati effettivamente conseguiti. Una prima parte del divario (strategico) si manifesta nel tradurre gli obiettivi politici in traguardi e piani con cui raggiungerli. Infatti gli obiettivi indicati dalla politica sono necessariamente ampi e un po’ generici, mentre quelli manageriali, per essere utili, devono essere ben definiti e chiari, smart, cioè specifici, misurabili, accessibili, realistici, temporizzati e scomposti in obiettivi più semplici, più facili da comprendere, da misurare e da assegnare a colui o coloro che saranno incaricati di gestire le attività necessarie per raggiungerli. Questa è una operazione delicata poiché in questa traduzione dal politico al manageriale, si può rischiare di compromettere il “senso politico” degli obiettivi, anche perché è il momento nel quale viene pianificata l’allocazione delle risorse disponibili (scarse per definizione). Ma peggio sarà se questa traduzione non viene fatta o lo è in modo inadeguato, poiché le scelte risulteranno più arbitrarie. E questo primo divario, una volta che si è prodotto può essere difficilmente recuperato nel corso del processo gestionale. Il secondo “divario” è quello fra obiettivi e risultati effettivi. Nessun piano strategico, una volta formulato, garantisce da solo che i risultati perseguiti vengano raggiunti. A parte gli eventi esterni imprevisti, c’è sempre la difficoltà che qualunque manager incontra, di riuscire a far sì che struttura e risorse (umane, tecniche e finanziarie) operino in modo tale da realizzare i programmi previsti. E le organizzazioni pubbliche hanno maggiori vincoli e forte presenza di norme e regolamenti. Si è così diffusa nel pubblico una cultura che tende a non favorire la logica manageriale (quella “per obiettivi e risultati”), bensì quella “per adempimenti”, nella quale è dominante il rispetto della norma e delle regole. Ciò può portare alla passivizzazione del personale ai diversi livelli, annullandone quella proattività indispensabile nel buon funzionamento di qualunque organizzazione.
Concordo. Penso che Il Piano Strategico di Mandato sia uno strumento ben strutturato, che rende possibile guidare in modo manageriale quella trasformazione di obiettivi politici in risultati , con il forte coinvolgimento di tutti coloro che lavorano nell’ente. Mi auguro che questa best practice diventi una prassi diffusa nella Pubblica Amministrazione italiana.
*Senior Partner di Giano Management Srl e Docenti di Marketing Industriale presso il Politecnico di Milano
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