In una nazione come il Congo dove il dato della violenza sessuale è elevatissimo, alcune donne cercano, attraverso l'indipendenza economica, di essere soggetti importanti della società civile.
Giovedi, 07/03/2013 - Celebrare la giornata internazionale della donna è un impegno che ho sempre assunto con gioia. Nel contempo sono sempre stato un po' scettico rispetto agli aspetti mondani dell' 8 marzo, quelli che ben si identificano con il termine "festa" e che fanno piacere soprattutto a molti operatori commerciali. Così penso che tutti quegli uomini che credono che celebrare la figura femminile si riduca a regalare un rametto di mimosa o magari un gioiello, farebbero bene a riflettere sui loro comportamenti nei confronti delle loro mogli, compagne, madri, sorelle o amiche, durante i restanti 364 giorni dell'anno. Allo stesso modo, a tutte quelle donne che, forse per un legittimo senso di rivalsa, pensano di festeggiare l'8 marzo scimmiottando certe deleterie abitudini degli uomini, tipo streap-tease maschili o peggio, consiglierei di dedicare quel tempo privilegiando azioni e discussioni più costruttive.
Per celebrare degnamente questa giornata preferisco quindi scrivere di realtà in cui la donna è simbolo di lotta, di rinascita da tutte le oppressioni a cui, purtroppo, è in genere sottoposta.
Ecco allora un grande segnale provenire dal Bukavu, cittadina del Congo ai confini con Rwanda e Burundi, sita in un'area tra le più ricche di risorse del mondo, ma dove la povertà è inconcepibile. Dove piove quasi tutti i giorni, ma non c'è nè acqua, nè elettricità, dove esistono terre tra le più fertili, ma la gente muore di fame. Sita in una nazione come il Congo, dove i resoconti della violenza sessuale potrebbero fornire materiale a migliaia e migliaia di film horror. Non si tratta di“semplici” stupri, ma di assalti sadici che comprendono mutilazioni, torture, umiliazioni e – abbastanza spesso – femminicidio finale.
E' in questo contesto che è nata "La città della Gioia delle donne" un insediamento ideato e costruito da alcune donne congolesi, stanche di essere "oggetto" della vita di altri, che hanno capito che per essere "soggetto" della propria vita occorre innanzitutto avere un'autonomia economica. Così mettendo insieme i loro scarsi averi, hanno iniziato a lavorare a questo progetto, superando ostacoli di ogni genere, A loro si è unita, nel febbraio scorso, Eve Ensler e la sua "V Day" (organizzazione che porta in giro per il mondo gli spettacoli in cui sono rappresentati i testi del suo “I monologhi della vagina”) che ha portato solidarietà e soprattutto fondi affinchè la "Women City of Joy" potesse diventare una realtà duratura.
La Città della Gioia ospiterà ogni anno 180 donne. E’ un complesso che comprende grandi aule, cortili, verande: sarà la loro “università”, quelle in cui le sopravvissute allo stupro e alla tortura, in maggioranza analfabete, acquisiranno conoscenze per poi istruire altre donne nei loro villaggi.
Ci sono corsi sui diritti umani, corsi di autodifesa, corsi professionali e di agricoltura e di uso del computer; c’è la volontà di esorcizzare i traumi con le sessioni terapeutiche e la danza, ma soprattutto ci sono loro, le donne che hanno costruito con le loro stesse mani la Città. Hanno subito abusi brutali per anni, sono state violate con fucili d’assalto e bastoni di legno, il che ne ha lasciate molte sterili e incontinenti per il resto della loro vita: eppure, nessuno è riuscito a spezzarne lo spirito.
Scrive la Ensler: "Ho ascoltato in queste settimane le storie che hanno buttato tante di queste ragazze nel buio. Storie di una ragazza il cui nonno aveva violentata e messa incinta, storie di ragazze esiliate ed espulse dopo stupri o anche dopo avere avuto bambini.
In uno dei nostri esercizi ho chiesto alle ragazze di darsi un nuovo nome, un nome che potrebbe descrivere e portare il significato di ciò che esse sono diventate qui e poi scrivere la loro nuova autobiografia. Alcuni dei loro nuovi nomi: Stella, Luce, Vittoria, Amore, Sara (perché era bella e ha lavorato), la regina."
Ci sarebbe ancora tanto da scrivere sulla forza, sul coraggio delle donne congolesi, ma credo questo mio piccolo contributo renda comunque l'idea del grande significato sociale della loro azione e che il loro esempio possa infondere fiducia a tutte le donne che ogni giorno lottano per una concreta parità di genere.
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