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Brevi dal mondo

Brevi dal mondo

Notizie - Contro le violenze in Congo / USA / Arabia Saudita / Myanmar / Argentina...

Angelucci Nadia Mercoledi, 13/05/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2009

AFRICA / Repubblica Democratica del Congo

Monumento per le donne vittime di stupri a Goma



Una statua alta tre metri è stata collocata davanti all’Istituto Metanoia della Libera Università dei Grandi Laghi (ULPGL), a Goma , capoluogo della provincia orientale del Nord Kivu. Rappresenta una figura femminile calpestata dagli stivali dei suoi torturatori e vuole ricordare le donne violentate. Le organizzazioni femminili locali hanno più volte denunciato che, malgrado la recente fine del conflitto armato, gli stupri e le violenze che colpiscono le donne proseguono. Nel giugno 2008 l’Assemblea generale della Nazioni Unite, anche in conseguenza dei reati commessi nell’est della Repubblica Democratica del Congo, ha adottato all’unanimità la Risoluzione 1820 secondo la quale lo stupro in zone di conflitto può costituire “crimine di guerra, crimine contro l’umanità” o “un atto all’interno del genocidio”. Tale Risoluzione apre di fatto la strada a possibili incriminazioni per chi compie questo reato di fronte alla Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja,





STATI UNITI / America del Nord

In aumento le denunce per violenza sessuale nell'esercito



Secondo quanto riportato in uno studio del Pentagono, nell'ultimo anno le denunce per violenza sessuale che coinvolgono i soldati dell'esercito statunitense, sono aumentate dell'8 %.

2923 sono i casi riportati ma, secondo le stime, corrisponderebbero solo al 20% delle violenze realmente consumatesi. La cifra comprende sia violenze contro i civili che quelle avvenute all'interno dell'esercito. Dei 2923 casi per stupro tuttora in giudizio durante il 2008, 163 sono avvenuti in Iraq e in Afghanistan, con un incremento di un quasi un quarto rispetto all'anno precedente. La notizia pone, ovviamente, il Pentagono in una posizione difficile tanto che la responsabile del Sexual Assault and Prevention Office, dottoressa Kaye Whitley, ha tentato di smorzare le polemiche dichiarando che l’aumento del numero di cause legali non significa necessariamente un aumento della violenza, quanto piuttosto una maggiore propensione alla denuncia. D’altra parte, però, le stime fornite dallo stesso Pentagono fanno rilevare come i casi riportati alle autorità inquirenti costituirebbero solo un quinto di quelli commessi. Altro elemento particolarmente sgradevole è il fatto che dei 2763 casi denunciati nel 2007, solo 832 sono arrivati ad una conclusione giudiziaria.



MEDIO ORIENTE / Arabia Saudita

No alle donne in TV

In una dichiarazione inviata al Ministro per l’Informazione un gruppo di 35 religiosi afferma che "per nessun motivo" le donne debbono apparire sullo schermo televisivo o i loro volti sui giornali. “Nessuna donna saudita deve apparire in televisione, per qualsiasi motivo” e “di nessuna i giornali debbono pubblicare le immagini”, asseriscono i 35. La dichiarazione è firmata da docenti della ultraconservatrice Imam University, da studiosi islamici, da un giudice e da alcuni funzionari statali.

Nella televisione di Stato, malgrado le restrizioni che subiscono le donne nel paese, ci sono giornaliste donne che compaiono in video, anche mostrando il loro volto.

Nel documento, i religiosi si appellano al fatto di essere a conoscenza di una “ben radicata corruzione nel Ministero dell’informazione e della cultura, in televisione, radio, stampa, circoli culturali e fiere librarie” e chiedono con forza al Ministero dell’Informazione di mettere in atto una ‘riforma’ che dovrebbe comprendere, oltre il divieto alle donne di comparire, anche quello di trasmettere in televisioni spettacoli musicali.

E’ ovviamente un tentativo di pressione sul nuovo responsabile del dicastero dell’informazione, il ministro Abdel Aziz Khoja, ma sono assai ridotte le possibilità che trovi accoglienza. Khoja, infatti, è stato nominato il 14 febbraio, nell’ambito del ‘nuovo corso’ voluto da re Abdullah che punta a ridurre il peso della componente più intransigente dal governo. In seguito al rimpasto numerosi esponenti dell’area più conservatrice sono stati rimossi; tra questi, quattro ministri, il presidente del Majlis al-Shura e quello della Corte Suprema, il capo della polizia religioso (la muttawa). La maggiore e più avanzata novità della riforma è però stata la nomina della signora Noura al Fayez come vice ministro dell’Educazione. Il fatto rappresenta un cambiamento incredibile in un paese in cui le donne debbono avere un “custode” (il padre o il fratello o il marito), vedono i loro diritti fortemente limitati e non possono neppure guidare l’automobile.



ASIA / Myanmar

L’Onu denuncia la detenzione illegale di Aung San Suu Kyi



Il comitato delle Nazioni Unite sulle detenzioni arbitrarie – organismo indipendente formato da esperti provenienti da Cile, Pakistan, Russia, Senegal e Spagna, e legato al consiglio dell’Onu per i diritti umani – chiede la “liberazione immediata” della Premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi e definisce la sua detenzione “illegale” in quanto violerebbe le “norme del diritto internazionale” e lo stesso “ordinamento giuridico birmano”. La leader del partito di opposizione Lega nazionale per la democrazia (Nld) e premio Nobel ha trascorso 13 degli ultimi 19 anni confinata nella sua abitazione. Non è la prima volta che l’Onu denuncia la situazione di Aung San Suu Kyi come violazione delle norme internazionali ma la contestazione attuale mette in evidenza che “il regime di arresti domiciliari” a cui è sottoposta la leader politica sia contrario anche all’ordinamento giuridico del Myanmar”. La legge prevede, infatti, un periodo massimo di cinque anni di detenzione. Secondo la legislazione birmana sulla protezione dello Stato promulgata nel 1975, infatti, possono essere arrestate senza onere della prova solo le persone che “minacciano la sicurezza nazionale” e il provvedimento di fermo è rinnovabile per un massimo di cinque anni; Aung San Suu Kyi ne ha trascorsi oltre 13 agli arresti. Il fatto che la Premio Nobel rappresenti “una minaccia alla sicurezza dello Stato o alla quiete e all’ordine pubblico” inoltre deve essere dimostrato.

Jared Genser, consigliere legale di Suu Kyi con base a Washington, ha accolto con favore la presa di posizione del comitato Onu perché “avrà importanti ripercussioni” sull’azione delle Nazioni Unite “nei confronti di Paesi come Cina, Russia e altri che hanno sempre protetto la giunta”.



AMERICA DEL SUD / Argentina

Legge contro la violenza

E’ stata approvata con un’ampia maggioranza una legge che intende prevenire e punire la violenza contro la donna in tutti gli ambiti delle sue relazioni interpersonali. La norma, che sarà applicata a livello nazionale, contempla non solo la violenza domestica ma anche quella che si produce nei luoghi di lavoro, nei partiti politici, nell’informazione, nei servizi di salute riproduttiva. E’ stata approvato anche un articolo che istituisce la creazione del Registro Nazionale dei condannati per reati contro l’Integrità sessuale.

La nuova legge definisce la violenza contro le donne come “ogni tipo di condotta, azione o omissione che, in maniera diretta o indiretta, tanto in ambito pubblico come in quello privato, basata in una relazione diseguale di potere, intacchi la vita, la libertà, la dignità, l’integrità fisica, psicologica, sessuale, economica o patrimoniale e la sicurezza personale” specificando che vengono inclusi anche tutti gli atti e le azioni commessi “dallo Stato o dai suoi rappresentanti”.

La grande novità della norma risiede nel fatto che, fino a questo momento la legislazione si era occupata solo della violenza intrafamiliare, cioè quella commessa da un familiare mentre ora c’è uno specifico richiamo alla violenza di genere nelle sue varie forme (fisica, sessuale, economica, simbolica) e a tutti i livelli dello Stato (organismi pubblici, partiti politici, imprese, sanità pubblica).

Altro tratto fortemente innovativo è l’attenzione sulla violenza mediatica che viene definita come la diffusione di messaggi stereotipati che in maniera diretta o indiretta promuovano lo sfruttamento delle donne o della loro immagine, e attentino, disonorino, umilino o discriminino la dignità delle donne.

La norma include altresì definisce come violenza ogni atto che metta in pericolo la libertà riproduttiva e che minacci il diritto della donna a scegliere liberamente e responsabilmente il numero di gravidanze e l’intervallo tra una e l’altra.



(13 maggio 2009)

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