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Blogger Italiana in Egitto denuncia media occidentali

Blogger Italiana in Egitto denuncia media occidentali

La blogger e scrittrice Sonia Serravalli, 39 anni, da 8 in Egitto,denuncia l'informazione «parziale» divulgata dai media occidentali dalla deposizione di Morsi alle odierne manifestazioni pro-Morsi. Serravalli vorrebbe si aprisse un confronto

Domenica, 18/08/2013 - E’ diventata blogger per vocazione, per missione, perché da sempre ama le parole scritte, quelle che lasciano traccia e se necessario, testimonianza. Sonia Serravalli ha 39 anni, una laurea in lingue, è ferrarese, ma la città estense, e la nazionalità italiana, le percepisce come una pelle che le si è ormai staccata, che talvolta rimette, quando torna in patria, per liberarsene subito con serenità. Vive a Dahab, sul mare, da 9 anni, scrivendo libri. E’ del 2007 L’Oro di Dahab (Il Filo Edizioni) , sull’attentato del 2006, e del 2011 Se baci la Rivoluzione (Ibuk Edizioni), entrambi finalizzati alla scoperta dell’incontro tra due culture mediterranee, quella araba e quella italiana, che secondo lei si guardano ancora con troppa diffidenza e incapacità di comprendersi. In Egitto, in mezzo a gente che ama, Sonia ha vissuto attentati, rivoluzioni e ha così deciso di mettere la propria voglia di raccontare il mondo e la propria idea di mondo, a disposizione della ‘causa’ degli egiziani. Con colleghi della comunità internazionale cura il blog, www.rivoluzionando.wordpress.com, nato con la rivoluzione egiziana del gennaio 2011. Con il milanese Marco Pieranelli e l’egiziano Tarek Khalifa ha recentemente fondato la pagina Facebook La verità sull’Egitto dopo il 30 giugno, con cui cerca di divulgare in molteplici lingue cosa succede in questo Paese dalla deposizione di Morsi in poi. Lei sta dalla parte degli Egiziani che si sono ribellati a Morsi, lei è contro i Fratelli Musulmani che invece lo rivorrebbero, ma lei è soprattutto per la verità, per un dibattito approfondito. «Vorrei che i media internazionali non emendassero, non falsassero, si limitassero a raccontare i fatti. Questo purtroppo non avviene e così l’Egitto che vivo io, e che viviamo noi tutti qui, non è quello delle immagini che passano in tv». Sa bene Serravalli che il suo parere non è il ‘verbo’, ma lo difende, anche da chi imputa che vivere al mare, e non a Il Cairo, rende più ‘superficiali’ certe prese di posizione. Lei scrolla le spalle, certa di operare al meglio. Le chiediamo quale potere affida alla parola, alla testimonianza diretta, e lei è un fiume in piena. «Scrivo dall’età di 5 anni, ma per quanto riguarda l’Egitto, sento particolarmente l'esigenza di testimoniare il vero quando mi scontro con canali che diffondono informazioni deformate. Parlano di popolazione spaccata in due, di golpe. Ma questa è la realtà che gli Stati Uniti vogliono dipingere, per giocare allo stesso vecchio gioco visto decine di volte negli ultimi decenni in Cile, Vietnam, Corea, Afghanistan, Iraq, Sudan, e per giustificare un intervento laddove servono petrolio, connivenze con il potere o, come in questo caso, il controllo del Canale di Suez e di Hamas. La situazione politica in Egitto è difficile, ma è resa molto più difficile dai mass media occidentali. Ne stiamo risentendo tutti, e non parlo solo del fatto che i milioni di persone che lavoravano nel turismo da due anni fanno fatica a mantenere le loro famiglie, parlo dell'immagine che viene data di questo Paese all'estero, soprattutto nelle ultime settimane. Parlo del fatto che le parole hanno un peso e un potere performativo e che bisogna stare attenti a usare termini come ‘guerra civile’, che non riguardano affatto la situazione fino ad oggi, con 40 milioni di persone che tra giugno e luglio si sono riversate nelle strade per gridare ancora una volta il loro sostegno a un governo transitorio dell'esercito in questa fase. Parlo dell'errore semantico dell'uso e ormai abuso della parola ‘golpe’, mentre non esiste democrazia più potente di quando il ‘demo’ scende in piazza a milioni per chiarire, in modo pacifico, che il loro Presidente non solo non ha rispettato le promesse né la volontà dei 700 martiri del 2011, ma stava smembrando il Paese, lo stava vendendo a pezzetti per interessi che non sono più nazionali, ma internazionali. Parlo del continuo sottolineare che Morsi fosse un presidente "democraticamente eletto", quando venne fatto credere a gran parte della popolazione che non votare lui andasse contro la propria religione. Il mondo intero ha visto che il popolo si è espresso, l'esercito si è trovato costretto a prendere una posizione per evitare una guerra civile. Che sia forse questo – si interroga - a dare fastidio al resto del mondo? Che siano stati i primi a farlo? E che un ‘colpo di stato popolare’ come lo definiscono qui, successivamente affiancato dall'esercito, dia fastidio in quanto nuovo fenomeno storico e sociale? Che non lo si voglia chiamare con il suo vero nome e lo si voglia per forza sporcare, perché rappresenterebbe un pericolo enorme, fornendo l'esempio ad altre decine di nazioni sull'orlo del baratro? Serravalli ce l’ha particolarmente coi Tg italiani che in questi giorni, quelli delle manifestazioni Pro-Morsi «divulgano notizie non corrispondenti alla realtà. Quelli che lo rivogliono, e manifestano, sono circa 700.000 contro gli 80 milioni di cittadini – osserva - . Molti sono confluiti in Egitto da Siria, Afghanistan, Palestina, Yemen, Libia… ». Serravalli sa di avere opinioni non sempre condivisibili, ma le enuncia comunque «affinché almeno ci si confronti, perché i problemi dell’Egitto non riguardano solo l’Egitto». Trae la sua energia dagli egiziani stessi, «con cui parlo, con cui convivo, che intervisto. Qualcuno direbbe che qui, in questo Paese, mi ha portato il caso, ma io credo che tutto abbia un significato. Non sono mai partita per una vacanza e basta. Sono sempre partita per guardarmi intorno e inserirmi il più possibile, per conoscere le realtà da dentro. Rimango qui per un senso di appartenenza e di casa che non ho mai provato altrove». E dell’Italia? «Sento staticità, immobilismo e l’illusione disturbante che in fondo vada bene così. Non ritrovo più la spinta vera al concetto di libertà e democrazia».



Camilla Ghedini

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