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Bisogna trovarla da soli la strada che conduce al vero

Bisogna trovarla da soli la strada che conduce al vero

Il tema del viaggio è il filo conduttore dei seducenti racconti della raccolta I racconti dell’ombra di Adriana Assini, Edizione Scrittura e scritture, 2012.

Giovedi, 29/01/2015 - Bisogna trovarla da soli la strada che conduce al vero



Il tema del viaggio è il filo conduttore dei seducenti racconti della raccolta I racconti dell’ombra di Adriana Assini, Edizione Scrittura e scritture, 2012.

Questo soggetto ha attraversato tutta la storia della letteratura. Nella sua accezione più moderna non è inteso come mero trasloco fisico ma come una fuga da se stessi: spostandosi non si calma il nostro male di vivere, il nostro spleen, ma lo si porta con sé. Il viaggio è allora il tentativo di evadere dal malessere che si trova in noi (ricordiamo a tal proposito le belle poesie di Charles Baudelaire sul viaggio, Invitation au voyage, Le voyage). Il solo viaggio valido è quello che l’uomo fa all’interno di se stesso: Bisogna però aver attraversato mari e valli, vagato per città sconosciute e ammirato differenti tramonti prima di capire che spesso ciò che andiamo cercando per le strade del mondo, lo portiamo già dentro di noi (p. 74).

Nei racconti gli spostamenti sono faticosi e perigliosi, normalmente lunghi, si svolgono in condizioni disagiate, nel cuore dell’ inverno, in mezzo alla neve, alla nebbia e al vento, e procedono ancor più faticosi e perigliosi perché affrontati di notte. L’oscurità domina – i tranelli dell’oscurità – e le parole notte e buio ricorrono moltissimo in tutti i racconti: Hai attraversato molte pianure e affrontato tante salite prima di fermarti tra queste mura. Adesso ti conviene dormire (L’eterno abbraccio del biancospino, p. 14); L’orologiaio attraversò boschi e pianure, tra la neve e il gelo. Soltanto a notte alta, inseguito dai lampi, riuscì a passare il ponte di legno che collegava una sponda della Mosella alla severa dimora del cliente (p. 53) (…) Dovete avere buone ragioni per venirci a trovare a quest’ora…di notte le strade sono nemiche e le sole luci che le illuminano sono quelle degli occhi dei lupi (L’orologiaio di Norimberga, p. 54).

Le località sono impervie e irraggiungibili perché lontane e ubicate in alto: Medea viveva in un borgo sospeso tra terra e cielo, esposto a tutti i venti (…) isolata dal resto del mondo (…) abita in un tugurio immerso nella nebbia (…) casupola in cima alla roccia (…). Dalla sua casa a picco sul vuoto (…). Vissero insieme in quella dimora sospesa, a un passo dalle nuvole, lontani da tutti (L’eterno abbraccio del biancospino). Difficile è il cammino che ci porta alla conoscenza del sé…

I protagonisti si mettono in viaggio per andare verso un borgo, un monastero, un castello isolato, una misteriosa fortezza: Lontana dai borghi e da strade sterrate, la misteriosa fortezza era stata l’unico capriccio del defunto sovrano, il quale, ancora in vita, ne aveva fatto scrigno superbo per i suoi segreti (L’ombra); oppure verso una dimora sospesa o severa, un modesto maniero: Possente e inospitale, il maniero affondava le sue radici di pietra nelle acque ghiacciate del fiume e nello sprovveduto viandante suscitò soggezione e timore (L’orologiaio di Norimberga).

Il castello, nella realtà come nelle favole (e questi racconti hanno il sapore di favola), rappresenta la sicurezza, come la casa, ma molto forte, cioè la solidità, è il desiderio di protezione cercato dai protagonisti dei racconti. Ma la sua stessa situazione lo isola in mezzo ai campi, ai boschi, alle colline. Ciò che racchiude è separato dal resto del mondo, ha un aspetto lontano, desiderabile e inaccessibile. Ciò che protegge il castello è la trascendenza dello spirituale, di cui è il simbolo: nasconde un potere misterioso e inafferrabile. La fortezza rappresenta il rifugio interiore, la caverna del cuore, il luogo privilegiato tra l’anima e la Divinità, o l’assoluto. Nei salmi 46, 59, Dio stesso è paragonato a una fortezza.

C’è un altro simbolo che rappresenta la saggezza e la forza: la quercia: Dalla sua casa a picco sul vuoto, poteva (Medea) abbracciare con il solo sguardo l’intero bosco di querce che si estendeva a fondovalle. Ma adesso anche quello, sepolto sotto una gelida coltre di neve, sembrava sparito nel nulla, per un sortilegio di maghi (L’eterno abbraccio del biancospino).

In questo libro, i simboli si rafforzano l’uno con l’altro e concorrono ad esprimere le idee: la quercia e la civetta (saggezza), il castello e il bosco (ricerca di interiorità), la fortezza e la quercia (bisogno di spiritualità), ecc.

Chi sono i protagonisti di questi racconti? Werner, maestro orologiaio, il grande Vlad Tepes, temuto Signore della Valacchia e della Transilvania, Dracul, detto l’Impalatore, terrore degli Ottomani, e d’altri popoli, l’ombra di Alarico re ucciso in battaglia, Lukas Huber, altro maestro orologiaio, frate Lorenzo.

Che cosa li spinge a intraprendere un viaggio così pericoloso? Un’urgenza, un assillo, una spina che tormenta, un desiderio, un sogno, un languore, una pena, un bruciore, una angoscia, una debolezza, un tormento, un’ossessione, un’ansia, una chimera, un tarlo, una richiesta urgente: ecco i termini che ricorrono nei racconti. Sempre insoddisfatti, i protagonisti dei racconti della Assini sognano l’ignoto più o meno irraggiungibile, sono dominati da violente passioni e insensati desideri e dall’ombra da cui tentano di uscire. Ecco allora che la parola “ombra” la troviamo nel titolo ed è anche il titolo di un racconto. E non solo: assieme alla parola penombra ricorre moltissimo nei testi. L’ombra è il nostro inconscio. La protagonista del racconto intitolato L’orologiaio di Norimberga, Margaretha, dice: Sono una donna solitaria, d’umore mutevole come le stagioni, all’incessante ricerca del significato supremo dei miei dolorosi moti interiori (p. 59).

Il viaggio all’interno di noi stessi implica immagini legate al sottosuolo, alla discesa, cripta, fondovalle. Margaretha Wogel sospinge Lukas Huber fin giù nei sotterranei, in un antro scavato nella roccia e illuminato soltanto dalla luce fioca delle torce (62). Luce debole della coscienza… Sciolte le nevi, potremo recarci nel bosco a fondovalle, dove il tuo desiderio sarà esaudito (p. 16); Dopo il pasto frugale, consumato in perfetto silenzio, l’ospite volle scendere giù nella cripta, tra vecchie tombe in penombra (p. 35); La mia vita trascorre lentamente nella penombra d’una bottega (L’eterno abbraccio del biancospino, p. 13)...

Attraversare la propria ombra, riconoscerla, percorrere il bosco – la selva oscura dantesca - significa incamminarsi verso la conoscenza: per esaudire la richiesta di eterna giovinezza fatta da Werner, Medea dice che bisogna aspettare il primo giorno di primavera: sciolte le nevi, potremo recarci nel bosco a fondovalle, dove il tuo desiderio sarà esaudito (p. 16). E così in primavera Medea scende nel bosco con Werner e durante una suggestiva cerimonia, intensa ma breve, Werner torna giovane. (L’eterno abbraccio del biancospino); Lasciò di buonora il monastero, annidato nella selva (…) (Un rosso da re, 57); Vi siete persa in un sentiero scuro, dice Mastro Huber a Margaretha Wogel che si è lasciata trasportare dalla sua parte oscura, dalla sua ossessione di fermare il tempo e di vivere un’eterna giovinezza. Dunque, il viaggio lungo che compiono i protagonisti di questi racconti è quello che ognuno di noi compie verso l’identità più profonda e più autentica, la verità di se stessio “La ricerca della verità passa anche attraverso sentieri dominati dall’ombra. D’altronde, il dio greco della luce non abitava forse nella dimora della notte?” (p. 58).

Non solo, è il viaggio alla ricerca della spiritualità (quercia) e del nuovo: Conosco quell’ansia e non la rinnego. Non è l’avidità del denaro che spinge certi uomini verso la ricerca del nuovo, ma la vivacità del loro pensiero e la voglia di sapere cose che altri invece ignorano (p. 70); Spesso, la praticità è brutale. Perché non provi a seguire la tua voce interiore? Fa bene all’anima mettersi alla ricerca di qualcuno o qualcosa, sia che appartenga al cielo sia alla terra. Soltanto cercando potrai dare un senso all’esistenza? (Un rosso da re, p. 73).

Il gufo, la civetta e il corvo. Quasi tutti i libri di Adriana Assini sono popolati dai gufi spesso in compagnia anche di civette e corvi: Chi la detesta, invita a diffidarne, descrivendola come una creatura ostile, circondata da gufi morti e nauseanti effluvi, sulla cui dimora il campanile del paese si rifiuta di gettare la sua ombra (p 10 ); Sebbene in soggezione al cospetto di una simile creatura, Werner s’andò subito a sedere, e intanto si guardava attorno stupito da ciò che vedeva: ampolle polverose, orci sbeccati, erbari consunti e civette. (L’eterno abbraccio del biancospino, p. 12) Indossato un mantello, il cavaliere si mise subito in cammino mentre, spuntata dal nero più profondo, una civetta prese a volargli al fianco, accompagnandolo per un tratto con quel suo canto triste che sempre induce in pessimi pensieri (L’ombra, p. 40).

Sul significato di queste presenze ho Insistito nel corso delle mie precedenti recensioni. In tutto il mondo, la civetta sembra essere una delle principali figure mitologiche. La troviamo in Africa, in America, in Asia e in Europa; è sempre in rapporto con tradizioni antiche. Nel mondo europeo, appare su ogni tipo di recipiente e assume tra gli altri il ruolo di protettrice. In più è un uccello che vive nella foresta, un luogo venerato come abbiamo visto, e che si sposta, senza problemi la notte. E’ simbolo di saggezza e normalmente è accompagnata da streghe.

Quanto al corvo: Con labbra mute e una corona di edere nera che le cingeva il capo, Medea chiamò a sé una schiera di corvi e intonò una cantilena capace di allontanare i venti e i tuoni (L’eterno abbraccio del biancospino, p. 18).

Lungi dall’essere un messaggero del malaugurio, è il simbolo di perspicacia caratteristica dei personaggi della Assini ed ha un ruolo protettore, come altri simboli analizzati, e premonitore.



Fausta Genziana Le Piane

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