inizio questa lettera a Rangoon, la capitale storica della Birmania, ma la connessione è lenta e incerta, il tempo è stretto tra un incontro e l’altro e queste righe sorvoleranno l’Oceano Indiano con me. Da Rangoon a Kuala Lumpur, ad Abu Dhabi, a Milano. E dire che io sono rimasta a “I pirati della Malesia” di Salgari.
Vorrei darvi conto di questo viaggio, che intreccia vita e politica in questa nuova fase della mia vita, come sempre. L’impegno per la democrazia continua, per me e con voi.
Il 7 agosto, a Naypyidaw, abbiamo incontrato Aung San Suu Kyi, che ha ricevuto molti inviti a venire in Italia, alcuni portati da noi. E’invitata a Parma, dal Sindaco Pizzarotti e dal Ministro della Cultura Bray, ad un concerto nell’ambito del Festival Verdi. L’incontro con la musica di Verdi è parte del mio itinerario spirituale con lei. Le ho portato dei cd, di Verdi e di musica classica, so che li ascolta, in particolare l’Aida. E’ invitata dall’Università di Bologna, che le ha conferito la laurea honoris causa in filosofia nel 2000, dalla Fondazione per le Scienze Religiose di Bologna sul dialogo interreligioso, dall’Università di Reggio Emilia sul tema dell’educazione, dalle città di Roma e Torino di cui è cittadina onoraria, dal Presidente del Senato della Repubblica. L’attendono anche il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, la Presidente della Camera dei Deputati, il Ministro degli Esteri Emma Bonino. L’Italia l’attende.
Nell’incontro con lei abbiamo anche parlato del problema politico più urgente, il cambiamento della Costituzione del Myanmar che, come sapete, comprende norme discriminatorie e non democratiche, e del sostegno internazionale al riguardo. Ci ha salutato con un “arrivederci in Italia”, “ciao” e “grazie”. Il mio scambio con lei in francese e l’abbraccio che ci accompagna sono il segno di una vicinanza spirituale profonda della quale sono infinitamente grata.
Il giorno successivo, l’8 agosto, abbiamo partecipato – erano con me Giuseppe Malpeli e Alberto Brunazzi – al Silver Jubilee dell’8-8-’88. Venticinque anni dopo la grande rivolta degli studenti che è costata migliaia di morti. Allora Aung San Suu Kyi era appena arrivata a Rangoon da Londra dove viveva, al capezzale della madre. Il 26 agosto pronuncerà il suo primo discorso pubblico presso la Shwedagon Pagoda, in casa sua nascerà la Lega Nazionale per la Democrazia e Aung San Suu Kyi rimarrà per sempre nel suo Paese. Agli arresti domiciliari per più di 15 anni.
L’8 agosto ci siamo sentiti profondamente partecipi della storia dolorosa e nobile della Birmania. Eravamo tra le delegazioni straniere. Accanto a noi l’Ambasciatore americano e rappresentanti della Norvegia. Noi eravamo l’Italia. Presenti i familiari delle vittime, alcuni ribelli in divisa militare che vivono nella foresta, i capi delle etnie, anche funzionari del Governo. Moltissima gente nel centro congressi e migliaia fuori, in attesa di Aung San Suu Kyi. Tra i messaggi quello del Presidente del Parlamento. Min Ko Naing, capo di “Generazione ’88” insieme con Ko Ko Gyi, che avevamo incontrato in precedenza nella loro sede, ha aperto i lavori. Min Ko Naing ci è venuto a salutare contento di rivederci. Verità e riconciliazione, scorrevano foto e slide, una frase di Desmond Tutu “Senza perdono non c’è futuro” e “Perdonare non significa dimenticare”. Un discorso breve, a braccio, intenso. Quasi una sintesi dei valori della democrazia e dei drammi della storia. Tutto pagato a carissimo prezzo. Erano lì sereni, concentrati sul futuro. Ogni confronto con l’Italia mi era semplicemente impossibile.
Quando, verso le 14.30, è arrivata Aung San Suu Kyi da Naypyidaw – circa 400 km – l’hanno accolta con l’augurio di lunga vita. Centinaia di fotografi l’hanno circondata, poche e piccole le telecamere. Si è seduta in prima fila, accanto al capo dell’etnia Shen e a Min Ko Naing. Non aveva fiori tra i capelli. In segno di lutto? Poi è salita sul palco per il suo discorso, a braccio. Era per me la prima volta. Al microfono, coperto di fiori, comincia a parlare nella sua lingua armoniosa, semplicemente una conversazione con il suo popolo. Nessun tono da comizio. Ragiona e riflette con loro, sorride, si sente che sta bene con la sua gente. Mi affido all’interprete. Parla della situazione, del futuro, si capisce cosa pensa della democrazia. Esprime un grande equilibrio, quello che serve per la complessità della Birmania oggi. Dice, pensando al passato, che il dolore è amaro e con l’amaro non si costruisce il futuro. Tutto quello che dice lo sa per averlo vissuto e sofferto. E’ credibile come nessun altro. E’ la sua forza.
Ribadisce che il destino della Birmania si può conseguire solo attraverso la non violenza, si sente che sa quanto costa la violenza. Con la fretta e con la violenza si producono solo ferite, non bisogna arrivare alla meta con ferite da curare. Lo dice in questo giorno. Dice che bisogna ragionare, analizzare le esperienze, il passato. Che bisogna cercare il bene non per sé ma per tutti, la democrazia è questo, non è libertà solo per sé. Parla dell’unità così necessaria nella Birmania delle molte diversità. L’unità è un valore in più. Ci sono in Birmania 60 milioni di birmani, 60 milioni di pensieri diversi. Ci vuole confronto, approfondimento. La complessità è grande: in economia, nella vita sociale ci vuole equilibrio. Sento che è Lei l’unità della Birmania oggi. Parla del destino del suo Paese, lei è lì. Parla del dialogo necessario con i militari, e subito dopo dice, decisa, che bisogna cambiare la Costituzione. Grande applauso. Dice che la pace non c’è ancora. Parla del cambiamento del mondo, dice che la Birmania deve essere dentro quel cambiamento e lì definire il proprio profilo nazionale.
Ringrazia il popolo, i democratici, il mondo. Ringrazia gli anziani che hanno speso le loro energie per la democrazia e adesso non sanno come sarà la loro vecchiaia. Li rispetta molto. Parla dei bambini, sapremo poi da U Tin Oo che durante gli arresti domiciliari studiava politiche per loro, e dopo la liberazione ha fatto nascere la rete dei ragazzi. Il futuro comincia lì.
Scende dal palco, un grande applauso e molti “grazie”, in birmano “gesù de marè”. Tutti la circondano. Siamo consapevoli del momento che stiamo vivendo. Usciamo subito dopo il suo discorso, ci attende l’Arcivescovo Charles Bo, sempre cordiale e accogliente.
Passiamo tra la folla, abbasso lo sguardo sul terreno bagnato dal monsone, sconnesso da secoli, tra le buche e gli infradito. In attesa del pulmino Giuseppe, Alberto e io parliamo del discorso. Siamo ormai parte di questa storia, anzi questa storia è parte di noi. E anche di voi, perché è la medesima storia che stiamo vivendo.
Sulla strada per raggiungere l’arcivescovado, vediamo il vecchio palazzo dove il 19 luglio 1947 è stato assassinato Aung San, con i suoi compagni. In seguito fu sede di ministeri, poi trasferiti a Naypyidaw. Il palazzo ora è in vendita, pare con qualche vincolo. Tutti i regimi tendono a riscrivere la storia, cancellando i suoi simboli.
L’incontro con l’Arcivescovo è tra amici, la Chiesa della Birmania è piccola, e ha molte vocazioni. Dopo, verso sera, vado in cattedrale. Sui gradini alcune persone recitano il rosario, di fronte a una statua della Madonna tra il verde, di là dal prato. Alla fine intonano il canto “E’ l’ora che pia”, come da noi. Alcuni ragazzi giocano a palla, come in oratorio. Il Vescovo Charles Bo è salesiano.
Nei giorni del nostro viaggio, da domenica a domenica, voli compresi, abbiamo incontrato molte persone straordinarie, vecchi e giovani, uomini e donne, tutti con mesi e anni di carcere sulle spalle.
Come U Tin Oo, il numero 2 della Lega Nazionale per la Democrazia, l'ex generale dell’esercito di 89 anni che fin dall'inizio ha sostenuto Aung San Suu Kyi. Più giovane di tutti i giovani, con lui parliamo della situazione politica e di educazione. A novembre sarà da noi Thein Lwin, responsabile scuola della Lega Nazionale per la Democrazia. Alberto dice a U Tin Oo che gli ricorda suo zio, il senatore Giacomo Ferrari comandante partigiano, e U Tin Oo gli parla di Aung San: intelligente, simpatico, semplice, gran lavoratore.
I fili della storia sono robusti, quando intrecciano l'impegno dell'umanità per la libertà.
Abbiamo incontrato Aye Thi Khaing, della Federazione dei Contadini,che sono la maggioranza nel Paese. E poi Phyu Phyu Thein, parlamentare della Lega, medico, sulla trincea dei malati di AIDS, e Su Su Nway, avvocato che difende i contadini e ha fondato una loro associazione. Abbiamo incontrato alcuni rappresentanti del movimento degli studenti (ABFSU), quello storico che negli anni '30, e poi negli anni '40 con Aung San, e nel 1996 fino ad oggi ha segnato i passaggi politici della Birmania. Sono sempre stati gli studenti l'anima della riscossa democratica. Questa volta ho portato con me, per i miei pensieri interiori, il libretto di Romano Guardini “La Rosa Bianca”, la storia degli studenti di Monaco di Baviera che nel 1943 si sono ribellati a Hitler, sono stati catturati e ghigliottinati. L'ho ricordato agli studenti birmani, conoscevano La Rosa Bianca. Con tutti abbiamo aperto rapporti di collaborazione con l'Italia. L'Associazione “Amici della Birmania” sarà un tramite prezioso della collaborazione tra i due popoli. Abbiamo visitato una scuola primaria statale, accanto a una fogna e a una discarica a cielo aperto. Tanto precaria nella struttura, con le aule divise da armadi, fatiscente nell'insieme, tanto carica di dignità e di serietà nelle persone che la costituiscono, dai bambini, agli insegnanti, ai genitori, al direttore. La sera ho visto l'autista del pulmino, un ingegnere, progettare su un foglio con un geometra amico i vetri che mancano alle finestre. Un primo aiuto concreto, non costa molto, insieme possiamo farlo. Tutto è povero, nelle città e nelle campagne, sconnesso da secoli, ma tutti guardano al futuro. E la crescita in Birmania per l'anno prossimo è data all'8%.
L'ultimo giorno incontriamo U Win Tin, 84 anni, nella sua casa modestissima tra gli alberi e la strada. Giornalista, con molti anni di carcere sulle spalle, intellettuale di grande valore, parla a lungo con noi del tema politico cruciale per la Birmania: la forma dell'unità tra le molte differenze. Non basterà la parola federalismo, proclamata dal Governo. Dice che la vera anomalia è la presenza in politica dei militari, e dei loro amici. Parliamo dell'Unione Europea, e sento la nostalgia della sua forza politica.
A sera, andiamo alla Shwedagon Pagoda. Un acquazzone monsonico ci inchioda, scalzi, sul pavimento scivoloso. Seduti con altri in preghiera, un po’ al coperto, guardiamo la cupola dorata. La mattina, dalla finestra del mio albergo, la vedevo emergere nel verde e tra le nuvole in una luce rosa. E recitavo le Lodi. La sera, Compieta, di fronte a lei.
Quasi impossibile telefonare in Italia. Ma sapevamo che si continuava a parlare di IMU. E di Berlusconi, fisiologicamente al tramonto. Come risorgere? Il problema non è solo lui, siamo principalmente noi. Di noi ha bisogno la nuova Italia.
In Birmania sono in cammino, forse aiuteranno anche noi a ritrovare la nostra anima democratica. Essa sarà il perno di una nuova strategia per l'Italia. Nell'Europa e nel mondo, da soli ormai siamo niente.
Cari Amici, a presto, dunque. Un anno straordinario, questo 2013, che non è ancora finito.
Nel biglietto di auguri per il 2013, parlavo di Aung San Suu Kyi e del bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi. Quasi una premonizione. Poi è arrivato il viaggio da lei, non facile da mettere in conto sul finale di legislatura. E poi l'impegno per le celebrazioni verdiane, chiamata dal Ministro Bray come sua vicaria alla Presidenza del Comitato Nazionale. Giorni intensi di lavoro, complessi ma molto belli. Le opere del Maestro che “pianse e amò per tutti” sono l'alfabeto del sentimento umano. Ci saranno celebrazioni a Pechino, come a Roncole Verdi. Questa storia di Verdi che si intreccia con Aung San Suu Kyi è così sorprendente, e così naturale.
Guardo a questi miei giorni con animo colmo di stupore e di gratitudine. Come posso, desidero mandarvene l'eco. Li vivo non solo con voi, ma anche, in un certo senso, in nome vostro. Continuando il mio impegno.
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