Venerdi, 26/03/2021 - Ieri è davvero scomparso un Leone della Cinematografia non solo francese, ma internazionale: si parla di Bertrand Tavernier, classe 1941.
Subito è stato ricordato dal Presidente, dal Consiglio di amministrazione, dal Direttore della Biennale Cinema, Alberto Barbera, e dalla Biennale di Venezia tutta con particolare stima ed affetto: lui era stato un eccellente cine-critico, ai tempi della Nouvelle Vague, pur se aveva costituito una specie di fronda fondando il Cine Club Nickelodéon, legato ai film americani di serie B, i cosiddetti beta-movies ed aveva intervistato registi statunitensi quali John Ford, Raoul Walsh, Joseph Losey, John Huston.
Nato in una famiglia di letterati – il padre era stato poeta e scrittore – aveva iniziato sulla pagina scritta, tra Positif ed i Cahiers du Cinéma, come poi Truffaut, Godard, Rivette, Rohmer, i padri fondatori della Nouvelle Vague e come i nostri Antonioni, Vancini, in Italia, sulla rivista Cinema, diretta da Vittorio Mussolini, per poi passare alla pagina...visiva.
L’immagine e la macchina da presa avevano carpito il suo cuore ed il suo futuro: così esordì alla regia a 32 anni, nel 1974, con il lungometraggio L'orologiaio di Saint-Paul, vincitore dell'Orso d'Argento al festival di Berlino e del Premio Louis-Delluc.
Fu la pellicola, tratta da un libro di G. Simenon, che lo fece avvicinare a Philippe Noiret, poi suo attore-feticcio per vari film, tutti davvero eccellenti come lo splendido Que la fête commence - Che la festa cominci, del 1975: ambientato nella Francia del Reggente Filippo d'Orleans, Noiret, anche qui affiancato da Jean Rochefort - altro mostro sacro della cinematografia d’oltralpe, nei panni dell'ambiguo ed arrivista suo consigliere, l’abate Dubois e poi Il giudice e l’assassino del 1976 e Colpo di spugna, del 1981.
Premiato col Leone d’Oro alla carriera alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica nel 2015, Tavernier ne era stato ospite assiduo fin dal 1976 proprio con Il giudice e l’assassino ed aveva partecipato due volte al Concorso, nel 1986 con il bellissimo Round Midnight – Intorno a mezzanotte (Oscar per la colonna sonora e nomination per il protagonista, il sassofonista statunitense Dexter Gordon) e nel 1992 con il poliziesco L. 627 – La legge 627, un film anticipatore del cinema-verità, scritto dal regista insieme all'ex agente di polizia Michel Alexandre che descrive la vita quotidiana della squadra antidroga di Parigi.
Molte anche le sue attrici d’elezione, anche se non tutte-feticcio, certo, ma valorizzate nella loro arte performativa da plots di effetto ed acuti.
Si ricorda, dunque, Un dimanche à la campagne - Una domenica in campagna (1984, Palma d'oro per la regia a Cannes), il tramonto della vita di un pittore narrato in una sola giornata di fine estate dove la figlia Irene (Sabine Azéma, la compagna-musa di Alain Resnais) passa come meteora, e La vie et rien d'autre - La vita e nient'altro (1989), dolorosa riflessione sulla morte e sulla guerra negli occhi di un ufficiale - di nuovo un Philippe Noiret sopra le righe ben affiancato dall’Azéma, incaricato di scegliere le spoglie di un soldato che diventerà il milite ignoto nel sacrario nazionale.
Indimenticabile pure La passion Béatrice - Quarto comandamento (1987) un film storicamente filologico, degno di Robert Bresson, delicatamente interpretato da Julie Delpy, oggi anche ottima regista.
Ma c'è un film, su tutti, di Tavernier che forse, e per l’interprete e per la trama, è rimasto nel cuore di molte e di molti: La mort en directe - La morte in diretta (1980), protagonista una Romy Schneider, donna di successo, scrittrice e poi malata terminale che viene convinta da un'emittente televisiva a vivere sotto le telecamere i suoi ultimi giorni. Ma lei ci ripensa e fugge, inseguita da un cameraman in incognito (Harvey Keitel), che la filma di nascosto e contro la sua volontà.
Una critica feroce e spietata, pur piena di pathos e di empatia, ai mass media, anticipatrice tremenda di oltre 20 anni di ciò che, ormai, ci passa, ‘normalmente’ sotto gli occhi tutti i giorni, guardando il…telegiornale all’ora di cena, coi nostri figli.
Grande Tavernier, simile, nel suo attraversare vari generi, ad un altro grande francese par suo, nato a fine secolo XIX, Julien Duvivier: i suoi Don Camillo – magnifiche co-produzioni italo - francesi – son, a tutt’oggi, le migliori e più sensibili pellicole tratte dai libri del nostro Giovanni Guareschi.
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