di Adriana Moltedo esperta di Comunicazione e Media
Stiamo vivendo una situazione senza precedenti e siamo messi alla prova da un choc sociale ridotti a intrusi e confinati ai margini della storia e Alexandra Leclère con 'Benvenuti…ma non troppo' ci porta a riderci sopra.
Piacevole, paradossale commedia umoristica francese che rivela come la grettezza prevalga sulla generosità sbandierata gratis.
Un vento di panico si scatena in tutta la Francia, soprattutto al civico 86 di rue du Cherche Midi, dove sorge un lussuoso palazzo dell'area più esclusiva del centro parigino. Il 6° Arrondissement è uno dei quartieri residenziali più ricercati Parigi. Rive Gauche, palazzi nobili, belli, eleganti. Insomma un emblema della stanzialità borghese più agiata.
Il Governo obbliga all’accoglienza di rifugiati, lavoratori poveri e senzatetto in genere a quelle famiglie che vivono in appartamenti più grandi rispetto alle loro necessità vitali; e calcolando la quantità dei “residenti supplementari” da ospitare in base a particolari coefficienti come i metri quadri disponibili e il numero dei componenti il gruppo familiare.
E già questo detto in questo momento storico se non fa tremare dalla paura, fa morire dalle risate.
Al centro del film la regista colloca una coppia di destra che scopre la tolleranza e l’alterità, e una di sinistra che si rivela permeabile ai pregiudizi. Didier Bourdon e Karin Viard, coniugi reazionari abbonati a Le Figaro, e Valérie Bonneton e Michel Vuillermoz, omologhi bohèmes e assidui lettori di Libération, incarnano forzando fino alla caricatura la cattiva coscienza del paese tra salti d’umore incomprensibili e ritorno all’ordine.
Una portinaia xenofoba del Front National (l’attrice Josiane Balasko), che fa magheggi come tutti i portieri. Un aristocratico solitario e bizzarro (l’attore Patrick Chesnais) con vocazioni omosessuali, che ospita per risolvere la sua solitudine il quale apre la sua porta in modo fin troppo indiscriminato. Due anziani coniugi ebrei Abramovitch che, ancora tormentati dai ricordi dell'occupazione nazista, preferiscono rifugiarsi in un minuscolo monolocale piuttosto che ospitare degli estranei. Una serie di senza tetto che si divertono a vivere più degli altri dove la notte è fatta per amare. Una Torre di Babele.
La monotonia del condominio verrà messa a soqquadro da questa coabitazione forzata, e nel confronto con i nuovi arrivati gli inquilini benestanti scopriranno la loro vera indole.
Dopo una iniziale contrapposizione, in cui tutti i personaggi coinvolti saranno costretti a gettare la maschera, portando alla luce la loro vera natura, quasi sempre intrisa di egoismo e discriminazione Strada facendo, sono costretti a fare un po’ tutti, prima obtorto collo poi con più convinte e addirittura solidali attenzioni nel superamento di ogni ostacolo o pregiudizio. Allora ogni cosa si rimescola e accade perfino che i padroni di casa finiscano per dormire da un’altra parte o addirittura sul pianerottolo del palazzo, nel totale rivolgimento che precede il ritorno alla “normalità” quando, con l’arrivo dei primi caldi e la fine dell’emergenza, ogni cosa e persona viene rimessa al suo posto. Dentro e fuori, sono le donne che risolveranno la convivenza per l’antico mestiere di cura.
Il tema dell’accoglienza, della solidarietà, dell’emergenza, fanno cambiare anche i personaggi che non rimangono chiusi in un macchietta ma si evolvono e si modellano grazie ad un sceneggiatura frizzante, firmata dalla stessa regista, che lascia ampio spazio ai dialoghi e al confronto.
La convivenza inizialmente ha dei momenti difficili dovuti a stereotipi che si pretende di denunciare. Se i benestanti attraversano il film senza esistere, senza amore se non alimentando ciascuno il proprio ‘modello ricorrente, i senza tetto sono senza educazione, i disoccupati parassiti, la coppia di ebrei spilorcia e arroccata nel suo appartamento, l’operaio dell’Est ladro. Ma alla fine il film ripara in una grande comune fraterna. E sono le donne che operano questo finale.
Film divertentissimo, animato da un bel gruppo di attori. Ridiamo delle nostre debolezze, riflettendo sulle cupe meschinità che ci appartengono.
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