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Benedetto XVI e il<br>“capitalismo reale”

Benedetto XVI e il
“capitalismo reale”

Enciclica Caritas in veritate - Il testo, che molte speranze vorrebbe suscitare in un rinnovato ruolo di guida della chiesa cattolica nel mondo, non offre però risposte ad ansie e domande di senso degli uomini e delle donne del nostro tempo

Pellegrini Paola Lunedi, 31/08/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2009

Con la sua terza enciclica Caritas in veritate, Benedetto XVI affronta i temi dello sviluppo e delle diseguaglianze nel mondo governato dal liberismo e da una organizzazione delle relazioni internazionali priva di regole e affidata a istituzioni mondiali ormai inefficaci a garantire la cooperazione e la redistribuzione di risorse. La tesi di fondo del testo, forse troppo vasto e complesso da rischiare la genericità, è che le risposte alla crisi attuale del capitalismo vadano ricercate nell’etica, e specificamente quella della Chiesa cattolica. Così, se da una parte l’enciclica appare come grande riflessione sulla necessità di riprogettare il sistema economico ai fini del bene comune e dei diritti dei lavoratori, passando per la dignità del lavoro, contro l’irresponsabilità del mercato e del profitto, dall’altra è l’occasione per riconfermare che fuori dalla carità cristianamente intesa non c’è verità possibile nelle scelte umane. Il Papa colloca così la Chiesa cattolica al centro della scena mondiale, affrontando, con accenti inaspettati, quasi da socialismo cristiano, l’impatto della crisi finanziaria che ha investito le economie di tutto il mondo e denunciando il prezzo altissimo che i lavoratori del primo e del terzo mondo pagano ai processi di deregolamentazione del mercato del lavoro, alle delocalizzazioni; fino all’egoismo sfrenato dei gruppi dominanti del capitalismo che ha prodotto una immensa crescita della ricchezza mondiale e, insieme, l’aumento della povertà, delle disuguaglianze e l’esclusione dei popoli poveri dalle risorse materiali e dalla conoscenza. Secondo Benedetto XVI il capitalismo deve dunque rivedere le sue regole, i poteri devono combattere la corruzione, le ricchezze devono essere redistribuite, la cooperazione tra i popoli ha bisogno che l’Onu e gli altri organismi internazionali si impegnino per rendere trasparente ed efficace la loro azione, così come una nuova etica della responsabilità deve guidare la tutela dell’ambiente e lo sfruttamento delle risorse del pianeta. L’enciclica è stata accolta con immediato entusiasmo da osservatori, forze sociali, commenti politici rigorosamente bipartisan, come la voce da tempo attesa per scuotere le coscienze e stimolare un cambiamento di rotta effettivo nella politica e nell’economia. Purtroppo le aspettative suscitate da carità e verità cristiane si dovranno scontrare con la forza e il potere del denaro e del capitalismo reale, e certo la storia del secolo scorso e di questo inizio del nuovo millennio non rassicura. Né l’invocazione del papa si pronuncia su questa storia e sulla storia stessa del cattolicesimo. L’enciclica non lo dice, ma basterebbe pensare alla vicenda postconciliare e all’atteggiamento della chiesa cattolica verso la teologia della liberazione per ricordare che, per paura del comunismo ateo, essa si orientò al sostegno del capitalismo più duro in Africa e America Latina - fino al sostegno ai regimi militari e golpisti - e al silenzio sul martirio di preti schierati al fianco dei poveri come monsignor Romero. Una storia che ha riguardato anche altre parti del mondo, un abbraccio pesante tra Chiesa e capitalismo che ha orientato il più delle volte il sostegno a governi moderati, neocentristi o addirittura di destra anche in Europa, prima durante e dopo il tempo che ci separa dalla caduta del muro di Berlino. Certo, già Wojtyła, alla fine della sua vita e del suo magistero ebbe accenti inusitati, lui - il campione della lotta contro i paesi del socialismo reale - di forte critica, quasi di stupefatto dolore di fronte al volto selvaggio del capitalismo e ai suoi valori declinati in consumismo e in mercificazione pressoché totale della vita individuale e sociale del nostro tempo. La cifra profonda dell’enciclica è dunque nella conferma di una centralità della cultura e della scala valoriale della chiesa cattolica contemporanea: forti riferimenti sociali fondati sull’etica, non certo sulla messa in discussione degli assetti economici e politici dominanti, appello alla buona volontà degli uomini guidati dalla verità della fede, senza nessun superamento dei dogmi che imbrigliano il discorso pubblico della chiesa su posizioni etiche rigide e integraliste: sulla scienza e l’uso della tecnologia, la sessualità umana e il giudizio sulla contraccezione e l’aborto, la fine della vita e la libertà di scelta. Non è un caso che su questi temi si concluda un testo che molte speranze vorrebbe suscitare in un rinnovato ruolo di guida della chiesa nel mondo, e che non offre, invece, su un più alto sostegno di comprensione pastorale le risposte alle ansie e delle domande di senso degli uomini e delle donne del nostro tempo.



(1 settembre 2009)

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