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Benedetta ‘cricca’

Benedetta ‘cricca’

Vaticano SPA - Il potere economico della Chiesa cattolica e gli scandali finanziari che la coinvolgono. Sono una ‘croce’ per il cardinale Sepe, che assolve preventivamente i giudici e i giornali che ne parlano

Stefania Friggeri Lunedi, 06/09/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2010

“Accetto la croce e perdono dal profondo del cuore quanti, dentro e fuori la Chiesa, hanno voluto colpirmi”. I cattivi cui allude il cardinale Sepe sono i giudici di Perugia che stanno indagando sui rapporti oscuri fra Propaganda Fide e la “cricca gelatinosa” degli affari. La prima difesa di monsignore dunque è il vittimismo. E l’attacco a chi chiede trasparenza (la magistratura e la stampa), come ormai è costume nell’Italia di Berlusconi. Un atteggiamento inconcepibile nella patria di Papa Ratzinger, la Germania, dove gli enti che ricevono soldi pubblici, diocesi comprese, devono rendere pubblici i loro bilanci. Ma in Italia l’impero immobiliare vaticano, a capo del quale sta il cardinale Sepe, sfugge ad ogni controllo, ed infatti non è la prima volta che viene travolto dagli scandali. Concludendo una sua documentata ricostruzione degli anni sessanta e settanta, C. Rendina scrive: “questo danaro ‘sporco’ è finalizzato anche ad altro scopo, l’acquisto di beni immobili e la rivendita degli stessi, spesso attraverso società-ombra gestite direttamente da enti ecclesiastici, spesso di breve esistenza, se non fantomatici… Un immenso patrimonio che raccoglie un quarto di Roma”. E dintorni.

Ma in questo Basso Impero berlusconiano, dove chi vive all’ombra del potere sente di godere dell’immunità, il cardinale Sepe si sente protetto anche dalla condotta abituale del Vaticano: in un clima quasi ossessivo di riservatezza e discrezione, ogni operazione che movimenta danaro è coperta dal silenzio e le scarse informazioni, sempre a macchia di leopardo, sono frantumate in rendiconti parziali, tipo: “Il Vaticano si dilunga e non tralascia una virgola sulle spese della propria tipografia, sugli incassi ottenuti dalla vendita dei biglietti ai musei, ma nulla trapela, ad esempio, sugli utili della propria banca” (G. Nuzzi). Cioè lo IOR, che rimane inaccessibile senza le necessarie entrature, anche perché “il Vaticano ammette a fatica la sua esistenza” (ibidem).

In ogni caso la Chiesa non abbandona mai le pecorelle smarrite. Vedi il caso della maxitangente Enimont: pervenuta la rogatoria da parte del pool di Milano, il Vaticano rimandò la risposta il più a lungo possibile, infine applicò la consueta, sperimentata tattica: offrire ai magistrati la conferma di quanto già sapevano, aggiungendo solo ciò che probabilmente avrebbero scoperto di lì a poco. Per non dire che, quando scoppiò lo scandalo dell’Ambrosiano (macchiato dal sangue di Ambrosoli, Calvi e Sindona) e la procura chiese l’arresto di Marcinkus, il monsignore la fece franca grazie all’art. 11 dei Patti Lateranensi: chi lavora in strutture centrali della Santa Sede non può essere né indagato, né arrestato, né processato in Italia (è il tipo di immunità previsto dal lodo Alfano).

Ma non è che in Vaticano fossero tutti sodali dei corrotti, anzi c’era chi voleva fare pulizia. E infatti, dopo la tragica storia dell’Ambrosiano, venne avviata una riforma dello IOR e venne allontanato Marcinkus, principale responsabile delle alchimie finanziarie della banca vaticana.

La storia degli scandali finanziari in Vaticano tuttavia non ebbe fine qui: sia perché, pur di tutelare la sua immagine la Chiesa protegge le malefatte dei religiosi dalle indagini degli inquirenti, come nel caso dei preti pedofili; sia perché nessuna riforma, per quanto seria, può sradicare una struttura generata dalla consuetudine e da una impostazione mentale volta alla creazione della Chiesa trionfante. Cioè del potere. Infatti negli anni successivi monsignor De Bonis, profittando degli accordi con lo Stato italiano - che consentono alla banca vaticana di operare fuori da ogni controllo - continuò a tessere quella ragnatela che gli permetterà di creare uno IOR parallelo: una banca “offshore” per riciclare il danaro “sporco” con conti criptati sui quali, negli anni novanta, transiteranno operazioni illecite mascherate da opere di carità. Un affare da centinaia di miliardi di lire. E quando nell’Italia di Mani Pulite la lavanderia vaticana, che operava al centro di Roma in regime di extraterritorialità (un vero paradiso fiscale), venne coinvolta nello scandalo della maxitangente Enimont, come rispose il Vaticano? Promoveatur ut amoveatur: De Bonis, che aveva gestito le mazzette, venne promosso a prelato dei Cavalieri di Malta ed allontanato. Ma non tutti sono ciechi. Giorgio Bocca, che non ignora come la complicità del Vaticano col mondo politico-affaristico sia strutturale al sistema, ebbe a scrivere: “al gran ballo dei corrotti partecipavano in frenetico concerto politici, industriali, banchieri, dirigenti della Consob, vertici dello IOR, giudici”.



(12 settembre 2010)

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