Venerdi, 02/09/2011 - Entra nel vivo oggi il convegno di studi organizzato dalle ACLI sul lavoro. Nella giornata inaugurale di ieri il presidente dell’organizzazione Andrea Olivero aveva aperto ufficialmente, con un intervento appassionato, tutto proteso a ribadire la centralità dell’uomo nel mondo del lavoro, il 44° Incontro nazionale di studi presso il Centro Mariapoli di Castelgandolfo, sul tema “Il lavoro scomposto. Verso una nuova civiltà dei diritti, della solidarietà e della partecipazione”. Olivero, riferendosi alla crisi economica e politica che stiamo vivendo aveva evidenziato “il grave deficit di autorità per mancanza di visione strategica” delle leadership occidentali e aveva ribadito la necessità di “guardare con forza alle persone, a quello che accade nelle loro vite quando la crisi non è fatta più di numeri, percentuali e algoritmi, ma di costi umani e sociali, per i singoli e per le famiglie, per i lavoratori e per le imprese”. La ricerca di Iref, Centro di studi e ricerca ACLI, sul lavoro, al centro di questo incontro evidenzia una situazione desolante, fotografando una realtà in verità nota ai lavoratori. Il divario tra i dirigenti e gli operai/impiegati ha raggiunto ormai una forbice ‘sudamericana’: rispetto alla retribuzione media quotidiana (82 euro), un dirigente guadagna 340 euro in più al giorno, un quadro 111 euro, un impiegato 6 euro in più, mentre un operaio si mette in tasca un salario giornaliero di 16 euro inferiore alla media. In questo panorama le donne sono il classico vaso di terracotta: ricevono mediamente al giorno 27 euro in meno; il divario retributivo uomo-donna è una costante della struttura salariale italiana. Le donne sono inoltre la categoria maggiormente interessata da un tipo di occupazione definita ‘non standard’ cioè non a orario pieno e non a tempo determinato: sono infatti l’80,1% e in due casi su tre in un’età compresa tra i 30 e i 49 anni, occupate nel settore dei servizi nell’83,8%; il profilo di queste lavoratrici è quello di una madre che lavora a tempo parziale. La percentuale di lunga durata sul totale dei disoccupati è pari in Italia al 45,7% a fronte della migliore performance europea, quella svedese, pari al 12,6%. Malgrado questi dati, nonostante l’approccio scientifico e profondo degli altri interventi della mattinata e l’invito del cardinale Bertone a mettere il diritto al lavoro alla base della dignità umana e fuori dalle leggi di mercato, il Ministro Sacconi, che evidentemente preferisce far finta che queste inchieste non esistano per poter continuare a dire che il nostro paese ha forse qualche mal di testa ma sostanzialmente è in salute, ha fatto un intervento tutto all’attacco, che ha suscitato anche qualche protesta in sala. Il Ministro del lavoro ha esordito ricordando che il mercato del lavoro si è andato globalizzando e adesso un ragazzo italiano è costretto ad entrare in competizione con un ragazzo cinese; è’ una realtà complicata ma non è mica colpa nostra, sembra volerci dire Sacconi, che infatti ci consiglia, subito dopo, di “rifarci ai valori della tradizione nazionale”. E’ gioco facile affermare la centralità della famiglia in un assemblea di chiaro stampo cattolico: “E' finito il tempo lungo del colonialismo. Per chi ha la vocazione all'universalismo, come penso l'abbia il nostro paese, la sfida è quella di rifarsi ai valori della tradizione nazionale. Vi sto chiedendo di uscire tutti da processi di secolarizzazione che hanno invaso anche corpi sociali di tradizione cattolica”, ha esortato ancora, aggiungendo che occorre “saper riconoscere anche i valori del matrimonio e della procreazione come uno sviluppo della propria persona e delle proprie competenze, non come un limite”. Si lascia poi andare ad affermazioni così bigotte che suscitano proteste anche una sala tradizionalmente portata all’accoglienza: per esaltare il ‘modello italiano’ (quello della famiglia che se la vede da sola e lava i panni sporchi in casa propria), si lancia all’attacco delle socialdemocrazie nordeuropee dove il sussidio di disoccupazione permette al disoccupato di ubriacarsi tutto il giorno e poi tornare a casa e picchiare la moglie; queste cose da noi non accadono, dice il Ministro tra le proteste in sala. E sempre le stesse socialdemocrazie, continua, hanno permesso una crescita della natalità ma sono “figli senza famiglia”; qui pensiamo si riferisca al fatto che in questi paesi le donne generalmente lavorano, che i servizi sociali funzionano e che le donne non sono obbligate a dividersi tra lavoro, cura dei figli e degli anziani e naturali aspirazioni ed interessi fuori dalle mura domestiche. Quello che emerge dall’intervento del nostro Ministro del lavoro è assolutamente deprimente e non solo per l’immagine di un’ idea di paese che si guarda l’ombelico e dice ‘che bello!’ ma anche per il livore con cui questo Governo si rivolge a chi non condivide le sue posizioni. Occorre infatti ricordare, ed è assai grave in un momento di crisi profonda, strutturale e di coesione sociale, che un Ministro si rivolga a chi lo contesta, durante un’assemblea di cattolici, con espressioni del tenore ‘bastardi anni ‘70’, io sono anticomunista’, ‘chi mi contesta è un cretino’. Tra un ‘paese di m….’ e ‘coglione chi vota a sinistra’, l’episodio odierno di Sacconi fa quasi ridere. Preoccupa invece, e anche molto, nonostante i ripetuti inviti del Capo dello Stato, delle gerarchie cattoliche e il delicato momento che stiamo attraversando, la mancanza di spessore istituzionale e di capacità di reale ricomposizione delle diversità. Sacconi invita alla coesione nazionale ma non ha miglior soluzione che trovare capri espiatori – addirittura negli anni ’70, nel valore della laicità e nell’istruzione pubblica che non ha saputo formare al lavoro – ai fallimenti della classe politica e imprenditoriale, assolti, nel suo intervento, da ogni responsabilità.
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