Badanti dopo la pandemia: tra crisi, nuovi bisogni di assistenza e mancanza di politiche
Tra le tante categorie colpite dall’emergenza Covid nessuno parla delle donne che continuano a prendersi cura in casa di anziani e persone fragili. Una ricerca ci restituisce un quadro esauriente
Lunedi, 19/04/2021 - Chi sono e quante sono le “badanti” nel nostro paese? Cosa c’è dietro questa realtà? evocata per il ruolo essenziale di assistenza alle persone anziane ma più spesso ignorata dalle agende di governo? E’ cambiato qualcosa in questo mondo composto da quelle donne che incontriamo nelle strade o nei giardini accanto a persone anziane non pienamente autonome? La pandemia ha portato cambiamenti e problemi alla loro condizione?
A dare risposte a queste domande ci ha pensato un’indagine realizzata, nell’ambito del progetto “Time to care” da due ricercatori dell’Associazione per la Ricerca Sociale, Sergio Pasquinelli e Francesca Pozzoli (http://www.qualificare.info/home.php?id=729) e che viene presentata il 21 aprile sui canali live streaming Aclilombardia, titolo "Badanti dopo la pandemia".
L’indagine non fa solo una fotografia ma, sulla base di un percorso di ricerche che dura nel tempo, esamina i cambiamenti che questo mondo ha avuto negli anni, tracciando delle prospettive. Accanto alla raccolta di dati i ricercatori hanno infatti portato avanti un’indagine a campione tra le interessate che copre tutto il territorio nazionale. Ad inizio 2020 le persone regolarmente occupate come “badanti” erano 407mila circa, di cui il 92% donne. Ma il più ampio insieme di lavoratori domestici regolari composto da badanti e da colf ammontava a 848mila.
Da altre ricerche si sa che in realtà le badanti impiegate irregolarmente rappresentano il 60% del totale facendo quindi salire la cifra a circa un milione. Se si mettono a confronto questi numeri con quello degli anziani con problemi funzionali o con limitata autosufficienza (2,6 milioni di persone) si deduce che un anziano su tre potrebbe avvalersi come assistente familiare di una badante. In realtà la situazione è molto più complessa e anche in cambiamento. Chi sono queste lavoratrici? l’88 % sono straniere, con un aumento negli ultimi anni di uomini soprattutto tra i conviventi (9%) ma di recente è cresciuta anche la presenza di italiane (12%). Entrando ancora più dentro, la ricerca evidenzia un cambiamento nel profilo di queste lavoratrici che rispecchia anche la storia dell’immigrazione di donne nel nostro paese: aumenta l’età e gli anni trascorsi in Italia per un gruppo consistente, evidenziando un consolidamento significativo di questa presenza.
Ma emergono cambiamenti nei comportamenti soprattutto per quella parte di prima emigrazione, che proveniva soprattutto dai paesi dell’est europeo: da prevalentemente pendolari c’è stata una tendenza di queste donne a insediarsi sempre di più nella società italiana. Cala anche la percentuale delle “coresidenti” che riguardano soprattutto la generazione più avanzata nell’età e cambiano le percentuali che riguardano le provenienze: calano i flussi dal Sud America, aumentano quelli da paesi asiatici accanto a quelli dei paesi dell’est europeo, che rimangono prevalenti.
Più della metà sono coniugate e con figli ma di questa parte meno della metà hanno la famiglia residente non nel nostro paese. Quanto al livello di istruzione si dividono equamente tra chi ha una licenza elementare, chi quella media e chi ha una qualifica professionale e di istruzione più elevata, con una tendenza tra le più giovani ad elevare il livello.
Cambia anche il profilo lavorativo di queste donne: chi convive con la persona che assiste rappresenta più di un terzo del totale, mentre tra le fasce più giovani cresce il numero di quelle che, pur lavorando a tempo pieno, hanno o cercano una autonomia abitativa. Il 2020 ha portato qualche cambiamento? Gli eventi determinanti sono stati la pandemia e il provvedimento di regolarizzazione.
La pandemia ha prodotto una spinta a regolarizzare molti rapporti già esistenti per affrontare le norme restrittive nei movimenti delle persone ma nell’insieme dell’anno si è registrata una diminuzione delle occupate, probabilmente dovuta alla situazione di lockdown che ha portato tante famiglie a riorganizzarsi in casa e a ridurre le spese. Non a caso se nella prima metà del 2020 c’era un saldo positivo di badanti di oltre 8.600 unità nella seconda metà moltissimi sono stati i casi di chiusura dei rapporti o di riduzione degli orari. Per quanto riguarda la sanatoria le domande presentate hanno riguardato per l’85% il lavoro domestico (colf e badanti) ma, sottolinea la ricerca, anche con inediti fenomeni di crescita per quanto riguarda le donne provenienti dall’ Asia, a fronte di una presenza prevalente proveniente da altri paesi che fa sospettare anche usi impropri di regolarizzazione.
Se si guardano poi i dati sulle forme di lavoro emerge un quadro complessivo di questo settore sempre più diversificato e sempre più difficile ad essere riportato a letture univoche: accanto alla fetta sempre rilevante di lavoro nero e ad un’area ancora consistenze di donne coresidenti (28%) c’è una platea di occupate per brevi periodi, di lavoratrici a part time (circa 1/3), spesso più formali che reali per ridurre i costi dei contributi, ma anche un numero crescente di lavori a tempo pieno.
Oltre a fornire un quadro leggibile della situazione la ricerca si proponeva anche di cogliere le tendenze e le aspettative delle protagoniste rispetto a possibili cambiamenti della loro situazione. Man mano che il settore si modifica anche nella composizione e nell’età emerge, anche se in modo limitato, un’aspirazione a migliorare la propria situazione, pur confermando la tendenza a volere svolgere un lavoro legato alla cura delle persone , magari in altri contesti e forme: nelle case di riposo, in ospedale, in servizi organizzati a domicilio.
Così come cresce la consapevolezza della necessità di un miglioramento sul piano delle acquisizioni professionali. Un dato in contrasto con la situazione di un mercato del lavoro femminile così esposto a forme di precariato e di fragilità che non favorisce sviluppi nel settore privato della cura alle persone, nè offre percorsi accessibili di formazione e riqualificazione per donne adulte.
Sulla base di questi elementi, pieni di luci ed ombre, la ricerca si proietta su alcune questioni che riguardano il futuro. La prima è: in un paese dove cresce la popolazione ultra 65enne perché il numero di occupate come assistenti familiari non cresce e si sviluppa di pari passo? Una delle spiegazioni sta certamente nel fatto che in materia di politiche di immigrazione regolare il paese è bloccato da anni, dal momento che da più di sei anni non è stato più emanato un vero decreto flussi che potesse consentire un ingresso regolare anche di questo tipo di lavoratrici. In mancanza di questa politica si impedisce di creare ogni anno una quota di lavoro regolare significativo in questo settore. Ma accanto a quest’aspetto ci si sofferma su un problema che è stato oggetto in questi anni di attenzione e di sperimentazioni da parte di settori pubblici e privati che si occupano degli sviluppi del lavoro di cura: può questo mercato del lavoro organizzarsi in modo meno individualistico e irregolare, aprendo a queste donne percorsi di maggiore regolazione e valorizzazione professionale ed economica?
Da anni si è cercato di creare e sperimentare strumenti di incontro tra domanda e offerta con l’obiettivo di aumentare il livello delle regole ma anche di supportare tali prestazioni con interventi che migliorino la qualità professionale anche dal punto di vista dei bisogni delle persone assistite. Gli esempi sono diversi: dalla forma più diffusa di sportelli di incontro tra “badanti” e famiglie, ai registri creati a livello locale, all’organizzazione di gestione di forme di assistenza limitate nel tempo e nell’orario offerte da agenzie di lavoro somministrato, a forme di servizi integrati di assistenza domiciliare supportata anche da strumentazioni tecnologiche (vedi la teleassistenza).
L’obiettivo di fare entrare questo settore di lavoro in un ambito di maggiore riconoscibilità perseguito da organizzazioni profit e non profit, ha trovato però spesso ostacoli nelle compatibilità economiche di un costo meno sostenibile dalle famiglie rispetto a quello di un rapporto privato, ma anche nelle resistenze e difficoltà di spostare ad un livello più organizzato le stesse badanti.
Le opinioni raccolte dalle stesse protagoniste hanno evidenziato da un lato un certo desiderio di uscire dalla situazione attuale di precarietà e di poca valorizzazione ma anche un certo timore di affrontare nuove strade. C’è infine un capitolo finale della ricerca che riguarda un argomento poco esplorato fin’ora: il rapporto tra la presenza delle badanti e il ruolo dei caregiver familiari, spesso i datori di lavoro e comunque i riferimenti principali. Nella gestione di cura delle persone fragili che livelli di sintonia, simmetria o al contrario di frizione si creano? Che elementi o criticità emergono nel complesso? Che parallelismi o differenze tra le due figure? Intanto la prima cosa da sottolineare che entrambe sono spesso donne. Ma nel caso della badante l’autopercezione del proprio ruolo è soddisfacente mentre la maggioranza dei caregiver si sente sacrificata e poco supportata dalle istituzioni. E’ interessante poi che mentre la badante risulta avere un certo interesse a formarsi e imparare di più per il proprio lavoro il caregiver esprime minore disponibilità a migliorare le proprio competenze e ritiene più importanti per le badanti le doti umane e di empatia rispetto a quelle professionali. In generale però si ritiene positivo da parte del caregiver il rapporto con la badanti. Sull’uso di nuove tecnologie le due categorie si comportano in modo abbastanza simile con un diffuso analfabetismo digitale. Infine da entrambe le parti c’è una scarsissima conoscenze di forme diverse e organizzate di assistenza rispetto alla forma tradizionale di cura individuale in casa.
Le questioni e gli interrogativi che la ricerca pone sono quindi tante e di grande attualità. Riguardano da un lato il miglioramento della condizione di tante lavoratrici, soprattutto provenienti da altri paesi, la loro considerazione nelle nostre società; ma anche il futuro dell’assistenza alle persone, il valore dato dentro e fuori al mercato di tale lavoro, il rapporto tra ruolo delle istituzioni pubbliche e le attività private di cura e assistenza. E dietro a queste questioni c’è una grande domanda: aldilà delle tante forme con cui il lavoro di cura viene offerto, quando ci saranno politiche e interventi organici che mettano al centro tale tipo di lavoro come essenziale per tutta la società?
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