Il Comitato a sostegno della giornalista turca lancia alcune iniziative di sensibilizzazione anche in vista del Simposio internazionale per la giustizia e contro la tortura
Il 14 gennaio, organizzato dal Comitato di sostegno ad Ayten, si è svolto alla Casa internazionale delle donne un incontro a cui era presente in collegamento on line Ayten Öztürk, la giornalista socialista turca prelevata illegalmente nel 2018 all’aeroporto di Beirut dove si trovava in attesa di raggiungere l’Europa dopo essere stata per 10 anni in Siria per sfuggire alle persecuzioni del governo turco; riportata incappucciata in Turchia e brutalmente torturata per sei mesi in un luogo di detenzione segreto è stata in seguito incarcerata per anni senza prove e infine condannata a due ergastoli con l’accusa di avere assistito (non partecipato!) ad un linciaggio. Attualmente è agli arresti domiciliari in attesa di una sentenza definitiva, costretta a tenere le cavigliere elettroniche giorno e notte, dunque sempre sotto controllo. Una storia difficile da accettare e che la dice lunga sulla situazione generale in quel paese che, a ben ricordare, ha l’aspirazione di far parte dell’Europa. L’incontro è stato un crescendo di emozioni. Ha coordinato i lavori Liliana Ciorra che segue da tempo Ayten, al suo fianco un compagno turco ha tecnicamente reso il collegamento perfetto in ogni sua parte.
La prima ad intervenire è stata Maura Cossutta, Presidente della Casa internazionale delle donne, che ha dato il benvenuto a tutte/i e ha sottolineato il grande coraggio della giovane turca e l’importanza di essere al suo fianco per ottenere per lei piena giustizia, così come è importante essere vicine alle donne afgane e iraniane che stanno vivendo giorni drammatici. Ha affermato che sono tutte donne straordinariamente coraggiose e questo coraggio delle donne è oggi un dato politico che si impone in modo inedito nella scena internazionale, che rivendica libertà per tutte le donne, ma anche libertà per i loro popoli, contro ogni fondamentalismo, contro ogni violenza patriarcale, contro tutti i fascismi. E contro le guerre, che sono il prodotto più feroce del patriarcato. Per questo, ha aggiunto, la loro lotta è anche la nostra, contro il governo delle destre, per la difesa della pace, contro il nazionalismo, il militarismo, per la libertà femminile. Concludendo ha detto che questo incontro è molto importante per accendere e tenere sempre accesi i riflettori sulla storia di Ayten ed è anche molto importante per la Casa Internazionale delle donne, perché possa sempre più caratterizzarsi nel suo profilo internazionale.
Rosanna Marcodoppido dell’Udi La Goccia, che sin dall’inizio ha collaborato con Liliana per tessere relazioni al fine di costruire questo Comitato, ha ricordato il dolore e l’indignazione provate di fronte al racconto di questa terribile vicenda. Ha ritenuto innanzitutto necessario farla conoscere nel nostro paese. Il suo articolo “Il coraggio di Ayten” pubblicato ai primi di giugno su Noi Donne e rilanciato sui social, è stata solo una piccola goccia in un mare di colpevole silenzio. Il sostegno ad Ayten, ha sottolineato, non è tanto una questione di solidarietà, che pure è necessaria sempre. Si tratta secondo lei di sorellanza, una precisa categoria della politica delle donne basata sulla convinzione che il valore della libertà e dignità di una è in stretta connessione con quello delle altre, di tutte le altre e che lottare per affermare questo valore ovunque è l’unico modo per costruire ovunque una civiltà nuova, il più possibile libera dalla violenza per tutte e tutti.
Liliana, nell’introdurre l’intervento della giornalista turca, ha sostenuto che questa vicenda può essere letta da un lato come la metafora di un popolo che si ribella alla dittatura fascista utilizzando ogni mezzo, compresa la stessa vita attraverso ad esempio lo sciopero della fame, pratica molto diffusa e purtroppo a volte con esiti tragici come è successo ad una delle sorelle di Ayten. Ma è anche d’altro canto la metafora di uno stato autoritario, sostanzialmente fascista, che reprime con ogni mezzo possibile, anche la tortura, tutto ciò che sfugge al controllo e all’imposizione di un sistema che non rispetta neanche i più elementari diritti umani.
In un commosso silenzio ha iniziato a parlare Ayten nella sua lingua, il viso molto pallido (chissà se riuscirà mai, e quando, ad essere illuminato dal sole). Con l’aiuto di una traduttrice ha ripercorso le fasi più drammatiche della sua detenzione, le tante forme di tortura subite per indurla a parlare, ma anche la violenza di questi lunghi mesi agli arresti domiciliari, con le continue irruzioni della polizia nella sua casa per verificare il corretto funzionamento delle cavigliere elettroniche che non pochi fastidi le danno soprattutto di notte, o per rovistare tra i cassetti lasciando poi tutto per terra e in disordine: un modo per ricordarle da quale parte è il potere, un potere senza limiti di legge. Ayten durante il collegamento si è fermata più volte per esprimere la sua gratitudine, sottolineando l’importanza che ha per lei il sostegno delle donne italiane; ha invitato tutte alla sua casa e, nell’immediato, ad un Simposio internazionale via Zoom, lei presente, per la giustizia e contro la tortura, che si svolgerà il 29 gennaio dalle ore 13. Tutte possono partecipare. Sono poi ripresi gli interventi.
Giulia Potenza, della segreteria nazionale dell’Udi, ha ricordato che la Turchia ha rigettato la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa del 2011, il documento internazionale più completo ed efficace contro la violenza maschile sulle donne firmato proprio nella città turca. Ha parlato anche lei di come in particolare le donne siano sempre e comunque bersaglio privilegiato della violenza, anche a livello internazionale, come ci ricorda il dramma delle Afghane per le quali l’Udi si è attivata in prima persona, e delle Iraniane, per fare solo alcuni esempi. Sul fronte della Turchia, aggiunge, la dittatura di Erdogan risulta troppo comoda per tanti, per questo motivo si ignora o si lascia correre sulle torture eseguite giornalmente nei confronti di dissidenti politici e migranti, sugli abusi sessuali di cui sono purtroppo vittime molte delle donne imprigionate. Ayten è qui per ricordarci che invece questa cruda e intollerabile realtà è proprio a due passi da noi, e anche lo Stato italiano deve prendere provvedimenti per porre fine a questo atteggiamento omertoso.
Oria Gargano, Presidente della Cooperativa Be Free, ha affrontato il ruolo della Turchia nella tratta di esseri umani e nel fenomeno migratorio. Ha denunciato in particolare gli accordi che l’Italia e l’Europa hanno fatto con quel governo fascista, con una politica estera ricattatoria e spregiudicata. Secondo lei non si può prescindere da uno scenario internazionale in cui i diritti umani perdono valore a ritmo continuo e verso il quale dobbiamo rivolgere proteste e contestazioni. Non è forse vero che Erdogan fa pesare il ruolo del suo paese per quanto riguarda la questione dei migranti, essendo nodo cruciale da paesi come l’Afghanistan, l’Eritrea, la Siria e tanti altri che non hanno governi democratici e/o vivono situazioni di vere e proprie guerre di cui nessuno si occupa? Non è forse vero che nel conflitto Russia Ucraina Erdogan ha fatto valere il suo peso diplomatico, sia facendo da interlocutore tra Putin e Zelens’kyj, sia imponendo alla Svezia di non accogliere più profughi Curdi se vuole entrare nella Nato? La questione è dunque molto complessa perché i diritti umani vengono violati all’interno di un sistema complessivo che li considera secondari, ininfluenti rispetto a strategie di potere. Per Ayten, con Ayten e con tutte le donne dell’Iran, dell’Afghanistn, ma anche dell’Europa, dell’Italia, dobbiamo stringere alleanze perché la sorellanza diventi una lotta vincente.
Liliana ha ripreso la parola per sollecitare un’apertura del Comitato ad altre associazioni e per informare su alcune decisioni condivise tra cui una interpellanza parlamentare e un lavoro di informazione più puntuale rivolto ai mass media.
L’incontro, durante il quale si è anche firmato un appello per la liberazione di Ayten, si è concluso con un monologo teatrale di Rosa Colella da lei magistralmente recitato: prosa, poesia e canto in un intreccio di forte intensità e drammaticità hanno restituito nella sua interezza la storia di Ayten. A quel punto l’emozione accumulata è esplosa nei saluti finali e negli abbracci. L’impegno unanime, è stato detto da tutte, è quello di continuare a sostenere la lotta di Ayten fino a quando lei riuscirà ad ottenere giustizia e tornerà ad essere una donna libera. Almeno lei, a cominciare da lei.
Il Comitato di sostegno ad Ayten, Roma, 24 gennaio 2023
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