‘Vermiglio’: morire e rinascere in un paese del Trentino, tra sorellanza e paesaggi di fiaba
Candidato agli Oscar 2025 per l’Italia, il film di Maura Delpero, già vincitore del Leone d’Argento al Festival di Venezia, incanta e restituisce la bellezza di un territorio, di un dialetto, di un ‘lessico familiare’
Mercoledi, 02/10/2024 - Si sa quanto conti, di questi tempi, il passaparola fra amici e parenti per valorizzare un’opera, in particolare cinematografica, e riempire le sale consigliando ‘quel’ film: di certo ha contato molto per ‘Vermiglio’, secondo lungometraggio diretto da Maura Delpero, uscito alla fine di settembre con poche copie e giunto, pian piano, in vetta alle classifiche, tanto da ottenere il secondo posto, nello scorso week-end, con un incasso di 397.973 euro (dopo il cartoon Cattivissimo me 4).
Indubbiamente la qualità estetica e narrativa di ‘Vermiglio’ - film rivelazione dell’81a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia (dove ha vinto il Leone d’Argento, Gran Premio della Giuria) e scelto nei giorni scorsi per rappresentare l’Italia alla corsa agli Oscar 2025 - cattura ed incanta lo spettatore, pur essendo un film in dialetto (con i sottotitoli), girato sulle montagne del Trentino, a Vermiglio, appunto, un paesino della Val di Sole dove la regista ha, nella vita reale, delle ascendenze familiari paterne.
Dopo il suo film d’esordio, ‘Maternal’, premiato al Locarno Film Festival nel 2019, la brava Maura Delpero - originaria di Bolzano – torna con un’opera completa e matura, che fonde l’estetica cinematografica con il racconto d’autore, sempre raccontando le relazioni, le persone, con aspirazioni e sentimenti, soprattutto le donne, le bambine e i bambini, attraverso il lessico familiare del quotidiano vivere in un paese delle montagne del Trentino sul finire della Seconda Guerra Mondiale.
Dunque il film mostra anche un’Italia (in questo caso il nord ma il suo racconto può valere per ogni luogo che deve fare i conti con le ferite di una guerra) che rivela, oltre ad un modo di vivere antico e legato ai ritmi della natura, anche le conseguenze dei conflitti, la fame, la morte, la difficoltà di poter realizzare i propri sogni, gli eventi imprevisti e le profonde sofferenze della gente umile. Il film è stato girato in dialetto, quasi completamente con attori non protagonisti (“ho trovato i miei attori nei bar”, racconta la Delpero) rispettando l’alternarsi naturale delle stagioni (“in quattro stagioni si può morire e rinascere”).
Il film si svolge nel 1944, e racconta di come l'arrivo a Vermiglio di un soldato siciliano rifugiato, ferito in guerra e salvato per caso da un abitante del luogo, sconvolga la quotidianità di una famiglia – il cui padre, maestro del paese, pur se illuminato, decide della vita e del futuro di figlie e figli, mentre la madre casalinga e contadina, continuamente incinta, esprime sì le sue opinioni ma poi cede alle decisioni del marito - quando la maggiore delle figlie si innamora dello 'straniero' e i due decidono di sposarsi. Tale decisione cambierà il corso di alcune vite nell’arco di un anno e, per un paradosso del destino, la famiglia ed i suoi membri perderanno la pace proprio nel momento stesso in cui il mondo ritrovava la propria.
“Mio padre ci ha lasciati un pomeriggio d’estate - racconta la regista - Prima di chiuderli per sempre, ci ha guardati con occhi grandi e stupiti di bambino. L’avevo già sentito che da anziani si torna un po’ fanciulli, ma non sapevo che quelle due età potessero fondersi in un unico viso. Nei mesi a seguire è venuto a trovarmi in sogno. Era tornato nella casa della sua infanzia, a Vermiglio. Aveva sei anni e due gambette da stambecco, mi sorrideva sdentato, portava questo film sotto il braccio: quattro stagioni nella vita della sua grande famiglia. Una storia di bambini e di adulti, tra morti e parti, delusioni e rinascite, del loro tenersi stretti nelle curve della vita, e da collettività farsi individui. Di odore di legna e latte caldo nelle mattine gelate. Con la guerra lontana e sempre presente, vissuta da chi è rimasto fuori dalla grande macchina: le madri che hanno guardato il mondo da una cucina, con i neonati morti per le coperte troppo corte, le donne che si sono temute vedove, i contadini che hanno aspettato figli mai tornati, i maestri e i preti che hanno sostituito i padri”.
Un film che esprime una mistica del vivere, frutto di una ricerca esistenziale dell’autenticità e di una qualità interiore profonda, che si avverte nei sentimenti mai gridati, nella potenza espressiva del racconto, nel trascorrere di tempi e stagioni a misura d’uomo, mentre incede la vita quotidiana, dove gioie e sofferenze si alternano, in un paesaggio sospeso quasi fiabesco.
Uno sguardo al femminile che rende onore al lavoro e alla dedizione delle donne per le persone amate, piccole e grandi, bambine o adulte, creature umane o del mondo animale. Una storia di sorellanza, di solidarietà tra donne, sorelle, figlie, che sospende ogni giudizio ed affascina con scene che sembrano quadri di pittori fiamminghi.
“Una storia di guerra senza bombe, né grandi battaglie – aggiunge la Delpero - Nella logica ferrea della montagna che ogni giorno ricorda all’uomo quanto sia piccolo. Vermiglio è un paesaggio dell’anima, un 'lessico familiare' che vive dentro di me, sulla soglia dell’inconscio, un atto d’amore per mio padre, la sua famiglia e il loro piccolo paese. Attraversando un tempo personale, vuole omaggiare una memoria collettiva.”
La regista ha ricordato in numerose interviste che il film è stato possibile grazie al sostegno pubblico (Trentino Film Commission, e IDM Film Commission Südtirol, n.d.r.) ed ha affermato con forza l’importanza che ci sia dialogo tra il cinema indipendente e le istituzioni: “senza questi fondi il film avrebbe dovuto tradire se stesso, non essere girato in dialetto, che è la musica di questo film, non avere volti veri ma attori che avrebbero fatto incassare, e non avrebbe potuto rispettare i ritmi della natura.”
MAURA DELPERO (Bolzano, 1975). Dopo aver studiato lettere all’Università di Bologna e all’Università Paris IV La Sorbona, si è formata in drammaturgia in Argentina, a Buenos Aires. Il suo primo documentario, “Signori Professori” (2007/2008), che segue le vicende di giovani insegnanti in tre diverse regioni rappresentative dell’Italia, vince il premio Avanti! e il premio UCCA al 26° Torino Film Festival. Nel 2013 la regista dirige il documentario “Nadea e Sveta”, storia di due donne moldave immigrate in Italia, che condividono speranze e drammi familiari: l’opera vince il Premio Cipputi al Torino Film Festival ed è candidata al David di Donatello. Per quattro anni ha insegnato cinema in un centro di accoglienza per madri adolescenti a Buenos Aires, esperienza che è stata fonte d’ispirazione per il suo primo lungometraggio di finzione, “Maternal”. Dopo la presentazione nel 2019 in prima mondiale a Locarno, il film ha partecipato a oltre 80 appuntamenti internazionali, conquistando il pubblico e la critica di tutto il mondo. La regista ha realizzato e presentato al Festival di Venezia 2024 il suo secondo lungometraggio, “Vermiglio”, prodotto da Cinedora, una nuova società da lei stessa fondata con altri registi. Nel 2020 Kering e il Festival di Cannes hanno assegnato alla Delpero (prima autrice italiana a ottenere il riconoscimento) il Women in Motion Young Talent Award, premio che sostiene le cineaste più promettenti del panorama internazionale.
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