Come fa un'Associazione convinta che "fare rete" sia l'unica strategia per creare e diffondere cultura, al punto da trasformare le persone stesse in libri, a trovare spazio in una società che atomizza, fonda solitudini rigide e interessi di casta, sperpera valori, promuove conformismi e invita al conflitto?
Risposta: credendo in quello che fa.
In alcuni momenti è insostenibile la visionarietà, sembra una predica al deserto o il canto della rana davanti a un pantano o l'esercizio narcisista di un signor nessuno che disperatamente vuole essere qualcuno.
In alcuni momenti tutto somiglia a un mettere il dito sotto il palmo della mano di chi invita al gioco senza mai assumersene la responsabilità mettendoci idee e iniziative proprie, più semplice lo spirito gregario della delega, dimenticata la regola che ogni comunità, anche quella del tempo fugace di un giuoco, si basa sulla partecipazione diretta.
Il rischio che rende autentica un'impresa sta nel fare e non nel dire "io ci sono".
Non è una banalità.
Anche su FB, per esempio, ad ogni evento promosso, grappoli di persone aderiscono dicendo "partecipo!" quando sono a migliaia di kilometri di distanza dal luogo in cui accadrà o quando sanno perfettamente che in quel giorno, alla medesima ora, hanno già impegni prioritari e improrogabili o quando, peggio, neanche si fermano a capire il messaggio chiedendosi a quale livello di desideri o di bisogni personali corrisponda...
L'onestà inizia da cose semplici.
La vacuità di un atto di partecipazione è un'offesa. A se stessi.
Il fare è l'unica dimensione a noi data – come esseri umani – per testimoniare la nostra stessa esistenza. Non basta dire "io sono" per esistere.
Non c'è un "noi" che come delega ci solleva dalla responsabilità diretta e personale di fare qualcosa.
Un "fare" partecipato e partecipativo è la base concreta di ogni progettualità che miri a costruirsi una necessità di esistenza: sia essa una democrazia, una comunità sociale o un legame di coppia.
Altro non è che la direzione di uno sguardo che divenga, passo dopo passo, una strada da percorrere, insieme. Quella che dona il senso, più grande, di appartenenza.
Perché siamo animali sociali.
Dobbiamo essere tristi per tutti i sì buttati là senza essere vissuti. Ci rendono soli. E quindi inutili.
L'errore di fondo è pensare reale o scontato un mondo che invece va costruito con pazienza, con passione, con ostinazione.
Là fuori c'è quel mondo, almeno nel suo desiderio di diventare realtà.
Perché ciascuno di noi è un "fare", anche se frammentato, disperso e quindi invisibile.
Va ricomposto, interrelato, emerso.
Affinché si specchi nel fare del proprio vicino, perché ritrovi la dimensione autentica del dialogo e della "rete" come condivisione di risorse, come nicchia ecologica capace di sostenersi, di riprodursi, di durare.
A volte l'errore è una svista. Si immagina che un messaggio sia destinato a un soggetto in particolare e da lui compreso, anzi: atteso. Ci si ostina a convincere qualcuno senza dare giusto conto degli interessi diversi o forse senza capire che certe esigenze non sono ancora realmente condivise. O fatte proprie.
Un'ottima lezione di umiltà. Che rende più forti. E più ambiziosi.
Donne di carta ha imparato dalle persone-libro quale sia la strada.
I suoi veri compagni di viaggio sono tutte le persone che investono energia, tempo, idee e desideri in un fare diretto e personale che ha una ricaduta di valore nella comunità di riferimento.
Può essere un circolo di lettura a casa di amici, una passeggiata organizzata nei parchi per dare un nome agli alberi, una cantina dove si suonano cover e pezzi originali, un piccolo teatro dove si prova a inventare un linguaggio di gesti o di parole, un reading di testi senza nomi famosi, la scelta di mettere sul tetto dei pannelli solari o di riciclare l'acqua piovana mettendosi d'accordo tra condomini, una giornata scolastica autogestita dagli studenti di un liceo o un'assemblea di cittadini che lottano per avere un giardino pubblico laddove qualcun altro vorrebbe l'ennesimo parcheggio, un editore che s'innamora di un progetto al punto da investire in un libro o una libreria indipendente che crea comunità di lettori e non di compratori.
Ho incontrato, per caso, un gruppo di donne che due volte l'anno si riuniscono in un convento di suore, a Bastia, per scambiarsi letture, saperi e storie vere di vita. Sono donne italiane, filippine, africane. Laiche e religiose. Pensionate, insegnanti, madri, volontarie.
Ho incontrato il rigore della passione che si dà valore e dà valore.
Queste realtà esistono. Ma rischiamo di perderne la forza d'impatto semplicemente perché non sappiamo che esistono.
Non è un caso che il mondo là fuori sui giornali e dagli schermi ci parli sempre e solo delle cose che non vanno: delitti, corruzione, pedofilia, criminalità organizzata, becerate politiche.
La Cronaca del malfatto è una strategia di oscuramento.
Si uccide anche con il silenziatore.
Chi se la sente di investire in un cambiamento se poi tutto, là fuori, va sempre male?
Sono tante le persone che fanno esercizio di generosità.
Che praticano la cultura della dedica. Che è sempre plurale. Estranea alla logica della divisione alto/basso.
È un fare cultura che non conosce sottoculture, che parla linguaggi diversi perché esprime bisogni diversi che si fanno desideri in azione.
Esattamente come le persone-libro.
Esattamente come le associazioni e le mille forme di comunità attive che costruiscono il tessuto culturale di questa società: il paese reale – direbbe un mio amico editore – quel "paese" che non ha più alcuna rappresentanza, laddove i partiti e i media hanno sciolto il legame concreto con la gente optando per un'idea di "pubblico".
Un vuoto che il fare riempie. Ma che se resta silenzioso (senza voce) diventa invisibile.
Impegno ed etica sono parole difficili da vivere. Non si esauriscono nelle grandi lotte: alla mafia, alla corruzione, alla pedofilia... queste sono le bandiere facili da issare sulle roccaforti di un pensiero forte che dirige le menti altrui e le imbriglia in facili consensi. Sono tentativi di costruire radicamenti al conformismo non spazi rischiosi di apertura alle singole libertà di pensiero e di giudizio.
Impegno significa educazione alla partecipazione in prima persona, senso concreto di essere parte di un progetto riconoscendone l'utilità (che si traduce nel proiettare sul progetto motivazioni personali e sull'acquisire dal progetto opportunità altrimenti difficili da inventare da soli) e affermando continuamente la propria indiscutibile singolarità. Ossia la propria differenza.
Il legame, quando è un valore, è sempre un esercizio critico.
Le persone libro sono un esempio di gratuità che non sta nel fatto banale che nessuno le paga e che quindi fuoriescono da logiche mercantili, ma nel costo personale, altissimo, di adesione e di partecipazione: tempo, cura, dedica, motivazione. Impagabili.
La generosità, gratuità per eccellenza, sta nel dare quello che è faticoso dare, e proprio in questo dare/fare c'è la fondazione di un valore.
Le persone-libro sono solo uno dei tanti esempi di cultura del fare. Culture gratuite.
Culture che insegnano ad "esserci".
Sto parlando di etica, sì.
Come fa un'Associazione convinta che "fare rete" sia una strategia onesta per creare e diffondere cultura, al punto da trasformare le persone stesse in libri, a trovare spazio in una società che atomizza, fonda solitudini rigide e interessi di casta, sperpera valori, promuove conformismi e invita al conflitto?
Rimanendo fedele alla propria visionarietà cercando sempre nuove forme di attuazione senza avere paura di fare.
Oggi la rete è anche un TABLOID che raccoglie le voci e le esperienze raccontate in prima persona dagli attori: il paese reale delle associazioni e del volontariato culturale, delle imprese indipendenti: un social network di carta (e per di più ecologica).
Oggi la rete diventa anche un "giornale partecipativo" affinché le risorse messe in atto siano un bene comune; le iniziative portate avanti una visibilità collettiva, un dialogo di voci diverse e non tanti "a solo" sparsi e frammentati.
Affinché leggere sia una presa di contatto (conoscenza) della realtà e un aumento del proprio potere di scelta.
E Il Caso e il Vento diventa l'editore di questa nuova impresa perché l' Associazione è la cosa migliore che con quelle altre benedette donne è riuscita a inventare.
Donne di carta diventa anche un Tabloid.
Stiamo costruendo il numero zero.
Le nostre forze non sono ancora interregionali: partiamo da Roma, abbiamo un triangolo toscano e un ponte con la Spagna.
Le nostre risorse attuali.
Aumentano con la tua presenza.
Con la tua voce.
Iscriversi all'Associazione, allora, è far parte di questa rete per costruire insieme un giornale che basa la sua libertà sulla partecipazione. Di chi fa non di chi delega, di chi guarda la propria realtà e impara a riconoscerla e a metterla a disposizione: utilità collettiva.
È una logica di valore.
L'elogio del servire.
In un progetto la libertà è saper trovare il proprio ruolo.
Partendo da quello che si è e che si desidera essere.
Ogni mercoledì dalle ore 16.00 alle ore 18.00 puoi venire a portare il tuo articolo, la tua esperienza, il tuo materiale presso la libreria Libermente in via del Pellegrino 94.
C'è anche un luogo virtuale di accoglienza sempre aperto: info@donnedicarta.org, ma usalo solo se sei lontano geograficamente.
Attenzione, ora dirò la parola magica: "partecipa"...
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