Rita Casula Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2007
Il 2007 sarà l’anno delle pari opportunità: anno in cui l’Europa si propone di lavorare, al fine di una sostanziale eguaglianza per tutti fra tutti i cittadini, attraverso una strategia quadro voluta affinché la discriminazione sia realmente affrontata e per dare piena applicazione alle normative europee in materia che finora hanno incontrato, al di là delle dichiarazioni di intenti, ostacoli e ritardi .
A questa aggiungasi l’azione della “roadmap” che si prefigge, attraverso il Programma Progress, che ha ricevuto uno stanziamento di 650 milioni di euro, di rivedere, fra l’altro, l’intera legislazione comunitaria per ottenere un livellamento dei salari tra uomini e donne.
Il differenziale salariale è infatti una delle forme più subdole di discriminazione, in Europa ma in special modo nel nostro Paese, in quanto, almeno nell’apparenza, sembra non rivelare la portata discriminatoria che nasconde: non è infatti nella retribuzione tout court, peraltro assicurata dalla contrattazione nazionale, che va individuata ma negli elementi accessori che compongono lo status lavorativo delle lavoratrici come difficoltà spesso incolmabili, a raggiungere i livelli apicali delle carriere, scelta di colleghi maschi per incarichi con possibilità di miglioramento nella scala retributiva e di competenza, mancata attribuzione di benefit, svalutazione dei lavori prettamente femminili. E su tutto la discriminante della maternità che, sentita oramai come un fatto privato, ha perso la celebrata aureola di funzione sociale e nell’ambito del mondo del lavoro si è trasformata per le donne in un elemento di svantaggio. Le single infatti, come le donne senza figli, hanno maggiori possibilità di occupazione e di carriera mentre 1 donna su 10 esce dal mercato del lavoro dopo la nascita del primo figlio.
Riportare l’accento, come spesso viene fatto, sulle difficoltà della conciliazione, che comunque porterebbe ad un minore impegno delle donne nella professione, anche in termini di rendimento, è, senza dubbio, fuorviante ed ha il significato di assecondare vetusti schemi di una cultura poco attenta ai grandi cambiamenti che sono avvenuti nell’universo femminile e di stimare, purtroppo al ribasso, la capacità di impegnarsi sul fronte familiare ma con eguale assunzione di responsabilità sul fronte lavorativo, delle donne.
Le donne e i giovani continuano ad essere i protagonisti di una discriminazione che allontana dal Paese l’apporto di idee, capacità, nuovi modi di leggere la realtà sociale ed economica di cui la comunità complessiva potrebbe giovarsi.
In questo nuovo anno l’impegno dovrà essere da parte della società civile, e quindi delle organizzazioni di rappresentanze tutte, e Donne Impresa farà la sua parte, molto forte perché il mondo della politica si avvicini, con maggiore attenzione e volontà di fare, a queste problematiche che investono la parte più consistente, anche numericamente, del nostro Paese.
(15 febbraio 2007)
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