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Avanti con i diritti civili

Avanti con i diritti civili

Slovenia - La Slovenia è il tredicesimo paese in Europa, il ventunesimo nel mondo, e il secondo tra gli stati post-socialisti dell’Europa centro-orientale ad aver approvato il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Che possono anche adottare bambin

Cristina Carpinelli Sabato, 30/05/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2015

La Camera dello Stato - il parlamento sloveno - ha approvato il 3 marzo 2015, con 51 voti a favore e 28 contrari (5 astenuti), un emendamento alla legge sul matrimonio e la famiglia che equipara i matrimoni omosessuali a quelli eterosessuali. La modifica di legge deve ora essere firmata dal presidente della repubblica per entrare in vigore. Il matrimonio, secondo la nuova definizione, è considerato l’unione tra due persone indipendentemente dal loro sesso. L’emendamento è stato presentato dai parlamentari del partito d’opposizione “Sinistra Unita”, ed è stato appoggiato dai rappresentanti di Alleanza per Alenka Bratušeke da quelli della coalizione di governo: partito di Miro Cerar di centro-sinistra, partito del Centro Moderno, partito socialdemocratico. DeSUS, il partito democratico dei pensionati della Slovenia, che fa anch’esso parte della coalizione governativa, ha lasciato ai suoi parlamentari la possibilità di votare secondo la propria coscienza. Decisamente contrari all’emendamento, invece, i partiti di centro-destra (Partito democratico sloveno di Janez Janša e Nova Slovenija). Subito dopo l’approvazione, circa duemila persone hanno manifestato davanti alla sede del parlamento a Lubiana per protestare contro i matrimoni gay. Con l’approvazione dell’emendamento, le coppie omosessuali possono ora sposarsi acquisendo in questo modo i diritti e i doveri di cui godono le coppie eterosessuali, sia dal punto di vista giuridico che economico-sociale. Tra i diritti delle coppie gay c’è anche la possibilità di adozione dei bambini. La Slovenia entra, dunque, nell’elenco degli stati che hanno approvato legalmente il matrimonio tra persone dello stesso sesso. È il tredicesimo paese in Europa, il ventunesimo nel mondo, e il secondo tra gli stati post-socialisti dell’Europa centro-orientale. Il primato, tra i paesi dell’ex blocco socialista, lo detiene l’Estonia, che ha già legalizzato i matrimoni tra le persone dello stesso sesso (ottobre 2014), anche se la nuova legge entrerà in vigore il 1° gennaio 2016. Insomma, un fatto rilevante per la Slovenia se si considera che le vicine Ungheria e Croazia hanno divieti costituzionali sui matrimoni omosessuali. Anche se in quest’ultimo paese, a dispetto della norma costituzionale, su proposta dei partiti della coalizione liberal socialista di centrosinistra è stata approvata il 15 luglio 2014 una legge che riconosce uguali diritti e garanzie per le coppie di fatto lgbt.



 Va precisato che in Slovenia nel 2006 erano state permesse le unioni civili per le coppie gay e lesbiche (che escludevano però l’adozione). Era stato, infatti, approvato un registro per le coppie dello stesso sesso che garantiva loro di ereditare pensione e beni in caso di morte o malattia di uno dei due partner, ma negava il matrimonio e la facoltà di adottare bambini. Nel 2010 il governo sloveno si era impegnato a riconoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso nel nuovo codice di famiglia, ma fu obbligato a compiere passi indietro per via delle reazioni dei settori cattolici e della destra slovena, che si focalizzarono soprattutto sull’adozione. Nel mese di marzo 2010 il parlamento della Slovenia approvava, in prima lettura, la riforma che introduceva il matrimonio ugualitario, ma le forze ostili alla riforma furono così forti che il governo dovette cedere, annunciando nel 2011 il ritiro della norma. Nonostante ciò, il parlamento riuscì a far approvare una versione modificata della legge che almeno riconosceva importanti migliorie per i diritti delle coppie dello stesso sesso (rispetto alla legislazione del 2006). Ad esempio, per quel che riguarda l’adozione, la versione aggiornata della legge, pur non permettendo quella congiunta, dava, tuttavia, il via libera alla “stepchild adoption”. Nel 2015, a distanza di qualche anno, il parlamento è riuscito finalmente a far passare il matrimonio ugualitario. Un successo senza eguali per il proponente dell’emendamento alla legge sul matrimonio e la famiglia, Matej T.Vatovec, di “Sinistra Unita”, secondo cui “l’orientamento sessuale non può essere un elemento discriminatorio in nessuna situazione. Aver approvato la normativa - aggiunge Vatovec - ha significato compiere un ulteriore passo verso una società del ventunesimo secolo più civile, inclusiva e tollerante”. Per la capogruppo del partito di Miro Cerar, Simona Kustec Lipicer, “…essere diversi è un dono, una parte di un insieme e non un motivo di divisione o disgregazione della società. Nessuno può e deve interferire sulle scelte personali degli altri, ognuno ha il diritto di scegliere come vuole gestire la sua relazione affettiva”. Il deputato socialdemocratico, Matjaž Nemec, ha sostenuto che “la gogna nei confronti della diversità è durata già troppo a lungo”. Di diverso avviso gli opponenti all’emendamento. Per il partito democratico sloveno, la famiglia tradizionale va tutelata, non posta sotto minaccia. Alla stessa maniera si sono pronunciati i deputati di Nova Slovenija. Irena Vadnjal, presidente del Comitato cultura di questo partito, ha sostenuto che “legalizzare il matrimonio omosessuale vuol dire passare in futuro al matrimonio poligamo e, poi, all’unione legalizzata fra uomo e bestie. Gli omosessuali vogliono che il loro stile di vita venga imposto a tutta la società”. Per Jelka Godec Schmidt, nota illustratrice e scrittrice di libri per bambini, “il diritto di famiglia non puù essere modificato solo perchè alcuni articoli sarebbero in contrasto con la Costituzione, la motivazione non regge”.



 Il punto maggiore della discordia riguarda la possibilità del partner omosessuale di adottare il figlio del proprio/a compagno/a. L’adozione congiunta di bambini da parte di persone dello stesso sesso rimane, del resto, anche in altri paesi, che hanno previsto una qualche forma di unione di fatto legale tra coppie omosessuali, la questione più controversa. Il ministro del lavoro, la famiglia e gli affari sociali, Anja Kopač Mrak, ha più volte sottolineato che “la nuova legge non toglie nulla a nessuno, anzi amplia i diritti fondamentali”. Ma non la pensa così una parte della popolazione slovena, pronta a sostenere l’iniziativa referendaria abrogativa del provvedimento, di cui si è fatta promotrice la Conferenza episcopale, capofila nella raccolta firme per indire il referendum contro tale provvedimento. La Commissione giustizia e pace della Conferenza episcopale slovena ha, infatti, inviato a tutti i sacerdoti del paese e ai responsabili delle società cattoliche, indicazioni circostanziate su come dare avvio alla raccolta delle firme tra i fedeli. Firme necessarie per indire la consultazione popolare. Il presidente della Commissione, Tadej Strehovec, ha chiaramente messo per iscritto in una missiva ai parroci e ai responsabili dell’associazionismo cattolico le motivazioni. In questa missiva, Strehovec ha chiesto ai parroci di convincere i fedeli a firmare, chiarendo che con la legge appena varata dal parlamento sulle nozze gay, la Slovenia entra a far parte di quel trend occidentale “che è contrario all’ordine naturale dell’unione tra uomo e donna”, considerato come “il luogo naturale per lo sviluppo di una nuova vita e, allo stesso tempo, il migliore ambiente per la crescita e lo sviluppo dei figli”. E “non è una posizione discriminatoria - precisa ancora il documento di Strehovec - nei confronti di una comunità priva di questi valori e di queste potenzialità, ma solamente l’accettazione delle leggi naturali”. Come andrà a finire non è ancora dato di sapere. Certo è che per avviare un referendum sono necessarie 40mila firme e dai sondaggi più recenti risulta che il 60% della popolazione è favorevole ai matrimoni gay. Non solo. Nel 2013 la Slovenia ha cambiato la sua legislazione in materia di referendum non permettendo che si facciano plebisciti in materia di diritti umani.

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