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Autodeterminate, quindi infedeli

Autodeterminate, quindi infedeli

Maternità e Chiesa - I rappresentanti del clero (maschi) hanno dato delle Scritture interpretazioni misogine tutte a favore del potere patriarcale

Stefania Friggeri Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2008

Le gravidanze ripetute, l’allattamento prolungato negli anni, la cura dei figli non autosufficienti nei primi 8/10 anni di vita: nel passato la maternità vissuta come destino esonerava le donne dal partecipare alla guerra ma, chiudendole nello spazio domestico, ne faceva degli esseri di qualità inferiore in una società che ieri, ancora più di oggi, premiava l’imporsi, il prevalere e il primeggiare. Questo modo di concepire l’immagine femminile è stato rotto in Europa dalla contraccezione, dalla rivendicazione dei diritti - figlia dell’illuminismo -, da un’attenzione alla vita psichica che, soprattutto da Freud in poi, ci ha reso più sensibili ai sentimenti e alla sfera emotiva: la maternità non è più vissuta in termini esclusivamente biologici, i figli non sono più “sangue del mio sangue”attraverso i quali la famiglia si riproduce nel ricordo degli avi e nella conservazione dei beni, ma sono guardati come individui autonomi alla cui educazione devono provvedere entrambi i genitori, e tanto meglio se la madre è istruita ed è esperta del mondo. La conquista dell’autonomia da parte delle donne ha avuto una carica dirompente sulla società patriarcale i cui rigurgiti misogini si esprimono in forma di violenza, soprattutto domestica, per combattere la quale le donne si stanno impegnando a creare una sensibilità culturale nuova che guardi alla violenza non come al traviamento dei singoli individui (dunque irrimediabile) ma come segno culturale di una società maschilista (dunque emendabile). Il cammino è difficile: richiede tempi lunghi e la compartecipazione di molte forze, decisiva quella delle chiese, considerando l’enorme influenza di cui godono nel formare l’opinione pubblica. Le religioni però hanno storicamente condiviso la visione della donna presente nell’immaginario collettivo anche perché i rappresentanti del clero, maschi educati in una società patriarcale, hanno dato un’interpretazione orale e scritta delle Scritture che corrispondeva a quella diffusa nel loro ambiente sociale; ed è così che hanno ricevuto l’imprimatur di sacralità costumi e credenze legati invece ad un tempo storico e ad un luogo geografico: un esempio classico il sacerdozio maschile nella Chiesa cattolica. O il divieto ancora oggi della contraccezione, quando invece il controllo delle nascite, unito ad un modello di sviluppo sostenibile, potrebbe impedire la sovrappopolazione i cui effetti saranno non la morte delle singole vite, ma la morte della “vita” sulla terra, a parte gli insetti e forse i topi. L’appello alla difesa della vita viene da un pulpito che, di fronte alla situazione geopolitica internazionale (militarizzazione della politica, la “guerra preventiva”, il rinnovarsi della guerra fredda e del riarmo nucleare ) non rinnega esplicitamente il principio della “guerra giusta”. Anche se, allo scoppio della guerra del Golfo, papa Woytjla ha lanciato parole accorate che accoglievano ed amplificavano lo spirito del Movimento per la Pace, la cui visibilità e vastità a livello internazionale segnava ormai una nuova disposizione morale e civile verso la guerra da parte dei popoli. Per tacere dell’isolamento in cui fu lasciato don Milani, patrocinatore dell’obiezione di coscienza contro la leva obbligatoria, da parte di una Chiesa che oggi sostiene il diritto all’obiezione di coscienza dei farmacisti. Quanto alla pena di morte Ratzinger è intervenuto a fianco della campagna promossa in sede ONU, ma se andiamo a pag. 127 del Compendio del nuovo Catechismo, leggiamo che “Oggi…i casi di assoluta necessità della pena di morte “sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti” (Evangelium vitae)”; ovvero: “Se il no alla pena di morte ammette eccezione, la tutela della vita dell’embrione non ne ammette” (Galli). Nessuno stupore: quando venne abbattuto, lo Stato della Chiesa conservava ancora la pena di morte che il Granducato di Toscana aveva già abolito. Ma la pena di morte in Italia rimase in vita, in forma “privata” e praticamente impunita, anche dopo la sua abolizione nel dopoguerra, nel caso un familiare avesse sorpresa la moglie o la consanguinea mentre compiva “atti impuri”. E non si ricorda nessun anatema della Chiesa cattolica nel tentativo di fare davvero cristiana una società arretrata e misogina. Dispiace insomma vedere come l’alto magistero non si sia mai scagliato contro la guerra e la pena di morte con la stessa insistenza con cui condanna l’aborto. Forse perché la Vita è Vita quando è ospitata nel ventre di una donna, cioè di una creatura cui non si riconosce il diritto all’autodeterminazione e di gestire in libertà il proprio corpo.

(8 gennaio 2008)

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