Asili nido a Roma: cosa c'è da capire. Oltre i numeri
Diminuiscono le iscrizioni e aumentano le rinunce delle famiglie. Dove vanno i nidi a Roma, che erano una rete di eccellenza? Associazioni e mondo cooperativo interrogano il Campidoglio
Lunedi, 14/05/2018 - La sindaca Raggi annovera tra i successi il fatto che “i posti vacanti negli asili nido diminuiscono” perché quest’anno sono 593 mentre nel 2016-17 erano 1.114. Non solo.
In un post sulla pagina facebook la prima cittadina spiega che la riforma avviata circa un anno fa “sta garantendo benefici e miglioramenti nella vita di tante famiglie” in quanto farebbe registrare come effetti “maggiore qualità, aumento delle iscrizioni e abbattimento dei costi”.
Ma dietro a questi numeri e a queste considerazioni si celano altre verità, che alcune realtà cittadine spiegano sia sulla base di solide esperienze, maturate in decenni di gestione dei nidi, sia per la profonda conoscenza del tessuto sociale che rinnova ogni giorno solo chi vive a contatto con i bisogni delle famiglie e con i cambiamenti strutturali in atto.
Sono molte e autorevoli le realtà romane - AGCI Lazio Solidarietà, Centro Nascita Montessori, Confapi, Federsolidarietà-Confcooperative Lazio, Ge.Ro.Ni.Ma. Genitori Roma Nidi e Materne, Gruppo Nazionale Nidi Infanzia Territoriale Lazio, Legacoopsociali Lazio, Onda Gialla, Forum del Terzo Settore Lazio, Cittadinanzattiva - che in una nota congiunta spiegano le ragioni del loro disaccordo con le affermazione della Sindaca. A partire dai numeri, ma anche oltre i numeri. Sulla base, comunque, di un dato di cornice che dovrebbe indicare la strada maestra dell’ampliamento dell’offerta, poiché i bambini 0-3 anni iscritti all’anagrafe della Capitale nel 2017 sono circa 69mila e quelli scritti ai nidi sono solo 14.776.
I firmatari non concordano sull’affermazione ”aumento delle iscrizioni”, perché in realtà “a fine settembre 2017 sono state 14.776, cioè 434 in meno rispetto al 2016 e ben 4.725 in meno rispetto a quattro anni fa, riducendosi del 22% in tre anni a fronte di un tasso di natalità diminuito del 4,5%”. Un punto importante, questo, a dimostrazione che il calo delle iscrizioni non è proporzionale alla riduzione delle nascite.
Dichiarare che c’è un “abbattimento dei costi” è un dato contabile, effetto della diminuzione del ricorso ai nidi convenzionati, ma al tempo stesso è un’affermazione che cela o ignora i costi sociali che questa scelta determina. Entrando nel merito, le associazioni spiegano gli effetti collaterali: “Il minor utilizzo di nidi convenzionati sta comportando la chiusura di esperienze di imprenditoria sociale, a prevalenza femminile, consolidate e apprezzate dalle famiglie. Esperienze che dal 2003 hanno contribuito allo sviluppo socioeconomico dei territori e ad aumentare il PIL di questa città, incrementando il gettito fiscale. Si tratta di esperienze diffuse sul territorio che, oltre ad aver contribuito ad offrire opportunità educative ai bambini, hanno dato sostegno alle famiglie per conciliare i tempi di cura e di lavoro, fino a diventare dei veri e propri punti di riferimento territoriali a supporto della genitorialità. Esperienze che hanno contrastato il fenomeno in crescita della povertà educativa e che rappresentano dei presidi sociali, veri e propri luoghi che favoriscono il benessere per le comunità locali in cui nascono, in quanto creano occasioni di socialità e confronto”.
In sostanza viene fatto un richiamo alla responsabilità sociale, insita nell’amministrare la comunità, che richiede di armonizzare vari fattori, tra cui quello contabile. “L’abbattimento dei costi è solo apparente se si considerano i costi per riparare i danni che si generano”. Accanto a queste considerazioni, non meno rilevanti sono quelle di carattere economico. “La chiusura dei nidi convenzionati comporta il licenziamento di lavoratrici (spesso mamme a loro volta), con costi indiretti derivanti dal pagamento della Naspi e costi sociali in termini di sofferenza, insicurezza e dignità del lavoro. Stiamo parlando di donne, di mamme, del loro lavoro. Un lavoro che a sua volta consente ad altre donne di andare a lavorare. Un lavoro che si prende cura di un bene prezioso: le bambine ed i bambini. Una sorta di spirale positiva, una delle poche in questa città, davvero vogliamo distruggerla? Nel 2017 è stato registrato un nuovo record di donne occupate in Italia: 48%. La media europea è del 65,3%. Davvero vogliamo contribuire all’abbassamento di questa fragile percentuale? Qual è il vantaggio per il bene comune?”.
Le realtà firmatarie, inoltre, contestano la presunta “maggiore qualità” rivendicata dalla Sindaca. “In questi anni la collaborazione tra il pubblico e il privato ha innalzato la qualità di tutti servizi, costruita attraverso un sistema formativo congiunto con scambi di esperienze e gemellaggi tra coordinatori educativi. Un impoverimento di questa intelaiatura è un elemento fortemente penalizzante per la qualità. Un’amministrazione pubblica amica dei minori e delle donne dovrebbe puntare al miglioramento dell’accessibilità ai servizi per le famiglie, che con la limitazione della libertà di scelta, invece, peggiora drasticamente”.
A completamento delle argomentazioni, le realtà firmatarie citano l’“Indagine sulla qualità della vita e dei servizi pubblici locali a Roma” redatta dagli stessi Uffici di Roma Capitale nel luglio 2017, in cui vengono evidenziati due dati molto interessanti:
- più del 76% del campione dice di non conoscere il servizio asilo nido
- la maggiore criticità riscontrata dagli utilizzatori del servizio riguarda l’accessibilità (25,9%). Questa indagine certifica quindi che “l'accessibilità è un elemento critico di profonda rilevanza e che la scelta delle famiglie nell'individuazione della struttura da frequentare è il risultato della sintesi di molti fattori, perché il nido non rappresenta un servizio qualsiasi ma è, principalmente, un luogo di relazioni”.
A proposito di sperpero di denaro pubblico si sottolinea che i posti vacanti nel 2017 sono complessivamente 2.349, “un’enormità se messi in relazione ai 22mila posti totali, cioè il 14%”, elemento che porta a sottolineare come il “vero successo sarebbe quello di invertire la rotta e puntare a politiche in grado di aumentare le domande, visto che i bambini iscritti all’anagrafe 0-3 anni nel 2017 sono circa 69.000 mentre gli scritti al nido sono solo 14.776”. Il nodo della questione, infatti, non è limitare l’offerta e la libertà di scelta, bensì “ampliarla, anche perché dal punto di vista economico il nido non è considerato un ‘bene di prima necessità’, elemento che rende la domanda del servizio estremamente variabile rispetto alle condizioni dell’offerta. Più aumenta il prezzo e/o l’offerta si riduce in termini di opzioni, più la domanda si riduce e/o si orienta verso strutture (spesso abusive) più flessibili, che praticano prezzi “stracciati” e che non sono in grado di rispondere ad alcun criterio qualitativo”. Questo elemento trova conferma nelle rinunce al nido che, come la stessa Sindaca ci informa, quest’anno è stata di più del 21%, pari a circa 3.300 famiglie che dopo aver effettuato l’iscrizione ed essere state ammesse scelgono di rinunciare al posto disponibile.
Sarebbe interessante capire e sapere DOVE le famiglie hanno rinunciato e PERCHE’. Di certo sappiamo che ci sono state “punte” di rinunce in alcuni municipi di Roma con percentuali che sono arrivate fino a più del 28%, cioè una famiglia su quattro ha rinunciato al nido. Sarebbe doveroso, per un’Amministrazione che ha fatto della trasparenza e dell’efficienza amministrativa la propria bandiera, effettuare una seria analisi di questo fenomeno al fine di utilizzare al meglio le risorse pubbliche destinate al servizio nido. L’altro aspetto messo in evidenza e che dovrebbe essere spiegato è la proroga delle iscrizioni al 14 maggio. Determinata da un ulteriore crollo delle iscrizioni? forse si… Alla luce di tutto ciò le realtà cittadine indirizzano un appello alla Sindaca, anche esprimendo il dispiacere che sia una donna a fare scelte che ricadono negativamente sulla società e soprattutto sulle donne e i bambini, “riprendere un dialogo e un confronto per monitorare i servizi sull’intero territorio cittadino, avviare politiche di promozione della cultura del nido in quanto esperienza al servizio dei bambini quali piccoli cittadini dell’oggi, per permettere loro opportunità di crescita e benessere che solo in servizi di eccellente qualità è possibile realizzare. Occorre promuovere la funzione educativa del nido e sostenere la funzione sociale di conciliazione dei tempi delle famiglie attraverso una differenziazione dell’offerta, degli orari e delle modalità di fruizione”.
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