L'idea de “il Processo di Artemisia Gentileschi”, una docufiction sugli stereotipi di genere, è nata quindi a partire dal desiderio di dar vita a una ricostruzione rigorosa del processo...
Martedi, 10/08/2010 - Si è conclusa in questi giorni la lunga lavorazione della fiction "Il Processo di Artemisia Gentileschi". La fiction nasce da una precisa volontà: raccontare la verità storica del processo cui fu sottoposto Agostino Tassi per lo stupro dell'allora giovanissima Artemisia Gentileschi.
Il processo per lo stupro di Artemisia Gentileschi costituisce in effetti il primo processo per stupro di cui si abbia piena testimonianza: tuttavia il mondo del cinema finora non ha mai affrontato questo tema con il dovuto rispetto verso la documentazione storica. E ciò ha contribuito a creare vere e proprie “leggende metropolitane” di diverse inclinazioni: da un lato il mito romantico di una Artemisia Gentileschi come “prima donna a denunciare il proprio stupratore” (che è eccessivo, dal momento che fu il padre di lei a sporgere denuncia) dall'altro l'idea che in realtà non sia esistito stupro alcuno ma un rapporto di amore e di sincera passione (che è una gravissima e inaccettabile distorsione della realtà).
L'idea de “il Processo di Artemisia Gentileschi” è nata quindi a partire dal desiderio di dar vita a una ricostruzione rigorosa del processo. Poi, lavorando sulla sceneggiatura e leggendo la documentazione, la produzione e la regia hanno preso atto che era possibile un'operazione ancora più stimolante : dar vita ad una fiction che fosse un vero e proprio documento storico. E in effetti Il "Processo di Artemisia Gentileschi" non è una semplice fiction, bensì una sorta di "docufiction": lo spettatore ha l'impressione di vedere una fiction come qualsiasi altra, ma quella che osserva, in realtà, è la ricostruzione puntuale ed esatta del processo. Ci sono solo quattro scene inventate, e non riguardano il processo: sono scene di raccordo che concernono la vita personale del giudice. Tutto il resto è il risultato di un'opera di rielaborazione molto fedele dei verbali che può essere riassunta in questi termini: ogni frase pronunciata da Artemisia Gentileschi e da Agostino Tassi ne "Il Processo di Artemisia Gentileschi" è stata effettivamente pronunciata dalla vera Artemisia e dal vero Agostino durante il processo svoltosi a Roma nel 1612.
In effetti la ricostruzione delle varie fasi processuali, istruttoria e dibattimento in aula, è stata estremamente puntuale, al punto di mantenere la stessa singolare asimmetria verbale che caratterizzava l'attività giudiziaria ( i giudici parlano in un "maccheronico" latino del seicento, mentre gli imputati, i testimoni e le parti lese parlano il "volgare"). Sono stati presi solo alcuni elementari accorgimenti per rendere la vicenda più interessante: in particolare il collegio giudicante, composto invero da due magistrati, è stato trasformato in collegio monocratico, con un singolo giudice, perchè questa scelta consentiva meglio di far comprendere al pubblico il meccanismo degli stereotipi di genere che dominava i processi per stupro. Inoltre alcune parti del processo sono state spostate temporalmente per rendere più avvincente la narrazione. Per il resto niente è stato modificato: tutto ciò che viene detto dai protagonisti e dai testimoni è stato effettivamente pronunciato dagli stessi al tempo degli eventi e quasi tutto ciò che ci resta dei verbali del processo è presente nella fiction. E l'aspetto più soddisfacente è che la narrazione funziona: appassiona come una storia di pura invenzione. Un risultato interessante, per una fiction a basso budget e autoprodotta.
Al centro della narrazione stanno l'azione giudiziaria dell'epoca e i pregiudizi sessisti di cui la società era impregnata. La regia, crudele e spietata nel mettere in luce gli stereotipi di genere, è di Paolo Bussagli che interpreta anche la parte del giudice; la parte della protagonista è affidata a una Carolina Gentili che restituisce un'Artemisia giovane, energica, solitaria e tuttavia lontana da facile tentazioni agiografiche. Massimo Magazzini interpreta invece il difficile ruolo di Agostino Tassi restituendone il personaggio in tutti i suoi aspetti: da quelli picareschi a quelli violenti, fino a quei tratti di vera e propria perfidia con cui egli tenta di sfruttare a proprio vantaggio, durante il processo, tutti i pregiudizi sessisti dell'epoca.
Quello che più impressiona in questa fiction è la straordinaria "modernità" del personaggio di Agostino Tassi: lo spettatore prende atto che l'intera strategia difensiva del Tassi si fonda su una serie di pregiudizi di genere che al tempo erano chiaramente esplicitati e proclamati come verità nei processi, nelle chiese e nelle università. Ma è al contempo turbato dal fatto che le strategie difensive del Tassi sono le stesse che molto spesso vengono utilizzate nei processi per giustificare gli stupratori; resta così di fronte a un quesito: siamo così sicuri che la nostra società di oggi sia molto diversa, per quanto concerne i pregiudizi di genere, da quella di Artemisia?
La fiction non ha ancora una distribuzione ma è stata sottoposta ad alcuni tra i principali festival internazionali.
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