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Arte declinata al femminile

Arte declinata al femminile

Linguaggi - Percorso nel parigino centro George Pompidou che fino al 21 febbraio 2011 ospiterà elles@centrepompidou, evento dedicato alle artiste dal XX secolo ai nostri giorni

Piera Francesca Mastantuono Giovedi, 29/07/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Agosto 2010

Uno dei meriti maggiori di questa esposizione è la capacità di mostrare opere di donne senza dare una visione settoriale dell’arte femminile, offrendo invece una panoramica completa dell’arte dal XX secolo ad oggi.

L’idea dello stereotipo femminile si percepisce in varie sale, ma, allo stesso tempo, l’opera che lo suggerisce ne realizza anche la distruzione, come nel caso della serie di foto di Katharina Bosse (1968), nelle quali l’artista si ritrae madre giunonica e protettiva, assolutamente provocatoria, attraverso la rivendicazione di una cosciente e rinnovata figura materna, splendida nella sua naturale nudità.

Altra caratteristica della mostra è la provocazione - un avviso all’ingresso delle sale avverte che “Alcune opere potrebbero urtare la sensibilità del pubblico” - come Genital panic (1969) di Valie Export. È una serie di fotografie, nelle quali l’artista si è ritratta con dei pantaloni tagliati all’altezza del pube mentre imbraccia un fucile. Considerata una delle opere fondamentali dell’arte femminista, la serie fotografica è stata scattata alla fine di una performance durante la quale Export è entrata in un cinema porno, così come la vediamo nella foto, con un fucile in mano. La provocazione è dunque duplice, una donna in un cinema porno, regno dell’uomo, e per giunta con un fucile, simbolo di forza, quindi, per assunto secolare, simbolo maschile.

Il percorso procede con un’espressione di estremizzazione dell’arte: Scalata senza anestesia (1971), una spalliera metallica con delle piccole punte sparse che rendono lievemente dolorosa l’eventuale salita. La creatrice di quest’opera, Gina Pane, una delle maggiori esponenti della body art, scalò essa stessa la spalliera, per denunciare la guerra in Vietnam, a sottolineare la necessità dell’impegno sociale da parte dell’artista, e, in generale, la necessità di una rivolta individuale.

Oltre all’arte come denuncia e provocazione, nella mostra trova spazio anche una dimensione sperimentale dell’arte stessa, come nel caso di Lygia Clark la quale realizzò, nel 1960, un’opera la cui traduzione in italiano (dall’originale portoghese) è Bestia: una scultura metallica che può cambiare forma. Inizialmente pensata come potenzialmente manipolabile dagli spettatori stessi, è da intendersi quindi come un vero e proprio organismo vivente in continuo divenire.

Da un’arte astratta ad un’arte surrealista, onirica. Il settore successivo è intitolato “Une chambre à soi” e la citazione di Virginia Woolf introduce ad un vero e proprio spazio domestico, o almeno così sembra. Ci si trova infatti davanti a opere di varie artiste, che si concretizzano in spazi fisicamente contenuti entro delle mura come fossero stanze che in realtà proprio non sono, anzi, diventano luoghi onirici e surreali, come la stanza ideata da Dorothea Tanning, che contiene figure di mobili e mostri, come se ci si trovasse effettivamente in un sogno. Questa stanza è stata realizzata con ago e filo, strumenti antichi, strumenti materni, che, in questo caso, sono però usati dall’artista come mezzo di realizzazione dell’opera, come parte integrante del lavoro artistico. L’assunto dell’autonomia femminile è quindi ribadito attraverso quegli oggetti che sono stati sempre un riferimento stereotipato di genere.

Infine ci sono delle opere innovative, relative spesso all’architettura come design. L’accesso delle donne a queste nuove tecnologie le porta così ad una rinnovata autonomia, come fosse una rivoluzione nella rivoluzione, una sorprendente matrioska. E ad essere sorprendente è l’intera esposizione, si svolta l’angolo e non si sa mai quello che ci si aspetterà, ci sarà un video, ci sarà un vestito fatto di luci o una stanza semibuia con pavimento - schermo, chissà.

L’ultima suggestione, di grande effetto, è una stanza buia dove l’artista Véronique Boudier ha allestito la sua opera Nuit d’un jour (2008). Entrando c’è un video che mostra una stanza mentre va a fuoco, lentamente, con un lieve crepitio. Seduti di fronte lo schermo varie persone, visitatori della mostra, per terra, le une accanto alle altre, come se si fosse tutti insieme di fronte ad un caminetto. Insieme senza distinzione alcuna di genere, uniti in un’armoniosa e naturale diversità, uniti nel buio di una sala surreale in una mostra che merita di essere vista.



(2 agosto 2010)

 

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