Società/ L'opinione - “Arzille signore, ben fornite di soldi e di coraggio, che in zona-cesarini si sono concesse l’estremo lusso di fabbricarsi un figlio con l’aiuto di tecniche spericolate”
Giuliana Dal Pozzo Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2005
L’ideale sarebbe nascere da un atto d’amore, desiderati e attesi come un miracolo. Ma spesso non capita così. Arriviamo sulla Terra da un incontro distratto e frettoloso fra un uomo e una donna che hanno appena finito di litigare, da un’avventura che forse sarebbe stata dimenticata, da un incidente di percorso tra giovani alle prime esperienze, da una notte fatta di alcol o da una violenza. In questi casi suscitiamo soltanto preoccupazione, sgomento e rabbia.
In epoca recente il nostro arrivo può avvenire attraverso vie più fantasiose di quelle previste da madre natura. Il corpo di colei che partorisce non è quello della madre biologica. Si può essere in due, senza nessun rapporto di parentela, a dividere un utero in affitto, oppure ci si trova in un contenitore che è il corpo di una donna mentre l’ovulo è stato donato da una generosa parente, un’amica o una vicina di casa.
Per ultime sono arrivate le mamme-nonne, arzille signore, ben fornite di soldi e di coraggio, che in zona-cesarini si sono concesse l’estremo lusso di fabbricarsi un figlio con l’aiuto di tecniche spericolate. Ma non bastava, ecco ora le mamme-bisnonne. Una donna rumena di sessantasette anni, dopo otto anni di bombardamenti ormonali, ovuli impiantati e un taglio cesareo, ha messo al mondo due esili gemelle, una delle quali è morta subito. I media hanno mostrato la puerpera eccezionale, che ha sfidato la sua età e le leggi della fertilità umana: un viso pieno di rughe, su un corpo sferzato, come un ronzino, per assolvere un compito innaturale. Oggi che tutti i temi legati alla maternità sono in discussione e un referendum sta per essere votato sulla legge che ha diviso forze politiche e coscienze individuali, la straordinaria avventura da Guinnes dei primati di questa improbabile madre e dell’équipe medica che ha permesso un evento così scellerato può essere salutata come un successo? Forse lo è per la donna che ha visto il trionfo dei suoi desideri. Forse lo è per i medici che hanno ottenuto una notorietà da spendere per la loro carriera. Ma come si può immaginare la vita della piccola sopravvissuta? Rischierà di restare presto sola e nei pochi anni in cui potrà contare sulla presenza della madre, vivrà accanto a una donna stremata dalla fatica dei compiti quotidiani per i quali occorre energia e impegno fisico propri della giovinezza e l’entusiasmo che non si può recuperare con un salto così avventato di due generazioni. E soprattutto erediterà dei modelli educativi e comportamentali inquinati da timori, amarezze e delusioni tipiche dell’età senile. Può dirsi contenta la bambina di essere nata in circostanze così particolari e di rappresentare un caso finora unico al mondo? Di avere un’infanzia e un’adolescenza complicate? Non a lei, che ha tutto il diritto di vivere una vita felice, si dovrà rivolgere questa domanda, ma a quella madre egoista e a quei medici malati di onnipotenza creativa che hanno calpestato un’etica, felicemente espressa nella frase di Rita Levi Montalcini: “non tutto quello che la scienza ci permette di fare, è lecito fare”.
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