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Arriva la screen generation

Arriva la screen generation

PICCOLI STEREOTIPI CRESCONO/1 - Pubblicità e mondo digitale e l’impatto sui minori: temi di attualità da approfondire. Intervista a Federico Tonioni e testimonianza di Francesca Bompieri

Marina Caleffi Lunedi, 03/02/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2014

L'influenza che i mass media esercitano sui soggetti in età evolutiva è indubbia anche - ma non solo - sulla trasmissione di stereotipi sessisti. La televisione, il web e i videogiochi, e soprattutto la pubblicità, premono infatti in modo massiccio sui processi formativi ed educativi delle nuove generazioni. Dopo i millennials è corretto parlare di spot generation? “Credo di si, anche se la spot generation è parte di un processo più complesso veicolato dalle applicazioni digitali, che hanno reso la comunicazione sempre più portatile e interattiva, moltiplicando i contatti ma svilendone i contenuti, o meglio i significati”. Il certain regard di questo mese è quello clinico del Prof. Federico Tonioni (Istituto di Psichiatria e Psicologia Università Cattolica, Responsabile del Centro per le Patologie del web, Policlinico Gemelli di Roma) e autore di ‘Quando internet diventa una droga’ (Einaudi 2011) e ‘Psicopatologia web-mediata’ (Springer, 2013).



La pubblicità è fonte dell'immaginario mitico, è davvero in grado di costruire rappresentazioni sociali che insegnano ai bambini come è fatta la nostra società?

Penso che il medium coincida con il contenuto e in questo senso la comunicazione digitale, che è prima di tutto una comunicazione per immagini, rende la pubblicità multitasking e quindi diventa talmente pervasiva da condizionare le relazioni con l’ambiente circostante, favorendo fin dall’infanzia le occasioni di rappresentarsi in modo ideale rispetto a quelle di presentarsi dal vivo.



La sensazione è che taluni kidmarketers abbiano trasformato in arte l'abilità di recidere il legame tra genitori e figli. Il credo alla base sembra essere "lasciate che i bambini vengano a noi"…


Questo, in effetti, sembra essere un rischio concreto. Stabilire se la responsabilità ricada sui kidmarketers o, al contrario, su genitori sempre meno disponibili a frapporsi tra i bambini e gli screen digitali può essere un elemento importante.



La sessualizzazione dei media e delle bambine soprattutto, perplime quando gli addetti al marketing cercano di vendere a "piccole donne" vestitini ammiccanti. Nei media mainstreaming le ragazzine sono rappresentate in maniera sempre più sessualizzata. Quali rischi si corrono?


La sessualizzazione delle bambine non avviene nel loro immaginario ma nella mente di chi le osserva, senza cogliere il bisogno che ogni bambino ha di giocare attraverso l’imitazione degli adulti. Quindi in fondo fa più male alla mente dei grandi che a quella dei piccoli, anche se rappresenta uno specchio inquietante del senso di disvalore che aleggia di questi tempi sulle nostre esistenze.



E questo pone riflessioni che attengono al valore di una persona, che dipenderebbe dall'appeal o dal comportamento sessuale…


Penso che il valore di una persona dipenda dalla capacità di vivere i propri limiti come risorse e quindi in questo caso non appeal e comportamento sessuale, ma la possibilità di dare un posto alla tenerezza sia ancora il valore più irrinunciabile. E non credo sia solo un’illusione personale.



La persona è valutata in base a canoni che coniugano attrazione fisica e sensualità…

Entrambe fanno parte dell’amore e non sono necessariamente sinonimi di superficialità; soprattutto la sensualità fa riferimento a livelli profondi di noi stessi.



La sessualità è suggestione spesso imposta in modo inappropriato alle persone e ai contesti…

Sono d’accordo e credo che in questo senso i bambini non siano sufficientemente tutelati.



È un elemento che risveglia curiosità e fa leva sul'"effetto specchio", cioè quel naturale desiderio di apparire più grandi. E nello stesso tempo promuove una certa preoccupazione sull'aspetto fisico…

È un problema complesso. Ogni bambino ha diritto di sentirsi più grande nel suo immaginario che, per essere funzionale a una crescita armonica, necessita di essere rispecchiato dal vivo nella relazione con i genitori. Si tratta di un rispecchiamento emotivo che avviene quando ci si guarda negli occhi e si pensa la stessa cosa e struttura progressivamente un sentimento di identità. In questo caso i bambini hanno bisogno di sentirsi visti e non semplicemente osservati e da questo dipenderà anche come vedranno e giudicheranno il proprio aspetto fisico. In fondo nessuno può vedersi bello se sente di non essere piaciuto ai propri genitori e in questo caso non piacere significa non essersi sentiti speciali. L’era digitale ha drasticamente diminuito le occasioni di guardarsi negli occhi a favore di interazioni sempre più serrate con screen di qualsiasi genere. Basta osservare un bambino assorto nel toucth screen di un iPhone per comprendere che la seduttività dello strumento sta nel suo potenziale dissociativo.



I bambini imparano a collegare l'apparenza fisica e l'acquisto del prodotto giusto e costoso che faccia apparire fisicamente attraenti e sexy, al successo individuale. Si può pensare che non ci sia impatto sull'evoluzione e sulle relazioni interpersonali che avranno da adulti?


Certamente un impatto sull’evoluzione è ipotizzabile, ma ciò che è evolutivo non diventa necessariamente patologico. Dobbiamo a volte considerare una certa tendenza naturale al pregiudizio, che peraltro rimane un diritto di ogni essere umano nella misura in cui può essere messa in discussione.



Anche se la convinzione dei kidmarketers è quella di aiutare i bambini ad avere "una vita migliore offrendo i consigli migliori“ non sempre tutto pare legittimo, come del resto considerare divertente qualsiasi cosa possa stimolare i bambini a desiderare qualcosa a prescindere da ciò che sarebbe salutare…

Indubbiamente la tendenza è quella di promuovere un consumo compulsivo piuttosto che generare desiderio.



"L'istruzione non è riempire un secchio, ma accendere un fuoco" scrive William Yeats...Tutta la nostra attenzione verso l'infanzia non rischia di essere vanificata da strategie pensate per ottimizzare il valore economico della stessa oltretutto infarcite da una serie di stereotipi che condizioneranno il loro comportamenti futuro?

Esiste questo rischio e ne siamo consapevoli anche se, secondo il mio modo di vedere, non esiste uno stereotipo capace di saturare il bisogno che, nel corso della vita, un fuoco si accenda dentro ognuno di noi.



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Bambini in pubblicità: il mercato detta le leggi

La magia e la difficoltà di vendere e far comprare un sogno ce la racconta Francesca Bompieri, Art Director e Graphic Designer freelence, con un robusto curriculum nelle più importanti agenzie internazionali. “Quando ti passano il brief per una campagna pubblicitaria per un prodotti per bambini, e magari di moda, la prima cosa che pensi di solito è: finalmente posso sognare! E inizi sul serio a farlo, ritorni a vedere il mondo a colori accesi e dai libero sfogo alla fantasia. Per dire la verità questa è la prassi, ma per l'infanzia l'illusione che il mercato e tutte le sue regole possano per una volta non contare è più forte. Raccolte le idee e magari anche realizzate a livello di layout si passa alla presentazione al cliente. E purtroppo tutto torna di botto nei colori tenui se non grigi della realtà. Sono poche le aziende che osano rischiare di scostarsi dallo scenario comune in cui tutto deve essere patinato e simile al mondo glamour dei grandi per ‘raccontare’ invece una favola secondo i canoni della fantasia di un bambino. Avete mai visto un bambino disegnare una donna come una modella (a meno che non sia la figlia/o di un grande stilista e quindi veda bozzetti da che ne ha memoria e sia anche dotato di una manualità rara) all'età di 5/6 anni? Lavorare in pubblicità o in comunicazione oggi è molto frustrante per certi versi, il possibile dipende dalla predisposizione del cliente, ci sono regole dettate dal mercato contro cui non si può andare. Si prova ma nella maggior parte dei casi non si riesce a far cambiare idea a un reparto marketing che abbia in mano dei dati ottenuti da ricerche di mercato e affini. Se l'imperativo è vendere un sogno - e questo non è mai cambiato negli anni - credo si possa però dire che l'immaginario dei sogni si sia piano piano trasformato a causa di un mondo che valorizza ‘l’apparire’ in un certo modo. Per comprendere se questo sogno sia giusto o no provate a partecipare alla realizzazione di uno shooting di una campagna per bambini: che dite sarà più facile farli giocare o imbellettarli e vestirli in modo che possano essere modelli per un giorno?” M.C.





Twitter@marinacaleffi

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