Mercoledi, 20/02/2013 - Ho quasi 58 anni, tre figlie, un nipote, un'attività n proprio da 34 anni, mio marito e mia mamma sono scomparsi nel 2012, anno veramente orrendo, ma io non ci mollo. Sono un'ottimista per natura, amo la gente, la musica, le lingue straniere e la cucina, ma la cosa che adoro dall'età di 9 anni è viaggiare.
Avevo giusto quell'età quando decisi che volevo imparare l'inglese, per viaggiare, volevo fare l'hostess e avevo tanti sogni. A 12 anni ho iniziato a corrispondere con ragazzi e ragazze della mia età che vivevano in tutto il mondo e per anni ..... con un padre severissimo che non mi lasciava uscire spesso ... ho viaggiato con la fantasia, e la geografia, oltre all'inglese, era la mia materia preferita.
Alla scelta delle scuole dopo le medie, la dura realtà si è abbattuta su di me: nessuna scuola di lingue a Reggio Emilia, mio padre di mandarmi a Bologna non voleva nemmeno sentire parlare, e quindi la scelta obbligata: ragioneria, dove alla fine insegnavano due lingue, e alla fine della quale avevo un diploma, .. Perché mio padre a mandarmi all'università non ci pensava proprio , …. Perché un figlio, o meglio una figlia, non deve mai sapere più del padre….
In terza superiore, il miraggio degli Stati Uniti e la possibilità di trascorrere l'anno scolastico successivo in questo paese... è restato giusto il miraggio perché ancora una volta mio padre ha detto no. Poi, un compromesso: io avrei rinunciato a questo sogno e lui mi avrebbe concesso di andare in California, un mese, con due coppie di amici d famiglia, che andavano n visita dal fratello che aveva sposato un'americana, e che possedeva un ristorante nella zona del porto di Los Angeles. Non mi sembrava vero, era meno di quello che sognavo, ma pur sempre una cosa grandiosa, per me che a 17 anni potevo fare questa esperienza.
Una valigia di un quintale (da bravo toro mi porto dietro la casa.... in caso mi serva qualcosa...) e via. Tante ore di volo, con la TWA, e litri di succo di pomodoro, che ho conosciuto proprio in questa occasione e che non ho più abbandonato. Il cinema in volo .... adoro il cinema americano, e l'arrivo al mega aeroporto di LA dove Gabriele ci è venuto a prendere. Oltre ai due fratelli con le mogli c'erano anche i genitori anziani, due persone troppo carine, che rimarranno per sempre nel mio cuore.
Dall'aeroporto alla casa di Gabriele ero senza parole, concentrata sul paesaggio e sul pensiero di essere finalmente là . Poi la casa, nel quartiere di Tarzana, sulle colline di Los Angeles. Una casa come non ne avevo mai viste ... Con piscina, dependance con tavolo da bigliardo e sala giochi, un aranceto sul retro, con stanze a profusione e una cucina con il frigo più grande che avessi mai visto. E Marianna la moglie di Gabriele e le tre bambine bellissime, Nikki, Rebecca e Regina. Che meraviglia. Poi la lotta con la TV: in inglese a scuola ero fra le più brave, e lì stavo davanti allo schermo delle intere ore senza capire nulla. Un nervoso da morire!!!! Poi finalmente ho iniziato a capire qualcosa e la cosa che mi ha colpito di più è stata la pubblicità comparativa, che quindi negli USA era di moda già nel 1972: es. Chevrolet è meglio di Toyota per questo o questo motivo, un sistema impensabile per gli italiani..
Il ristorante di Gabriele era sul porto, in un villaggio turistico chiamato Ports o' call, e per raggiungerlo attraversavamo i campi petroliferi dove delle pompe travestite da gru, che andavano su e giù, oscillando, simili ad enormi galline gialle che beccavano, riempivano l'orizzonte. Il ristorante si chiamava Casa d'Italia e il villaggio turistico circostante era l 'unico posto in cui mi era concesso girare da sola e non accompagnata: i miei ospiti seguivano alla lettera le istruzioni di mio padre che non voleva assolutamente che io "corressi pericoli" . Ricordo ancora però il senso di libertà che mi pervadeva mentre camminavo da sola nelle stradine guardando i negozi che esponevano oggetti mai visti prima di allora, una miriade di cose da comprare ... ed infatti, ho comprato di tutto..... Mi ricordo anche una commessa di colore in un negozio di oggettistica che aveva le unghie più lunghe che io abbia mai visto.... come quelle attorcigliate che si vedono sul Guinness dei Primati. Il ristorante proponeva piatti italiani, ma soprattutto pizze, surgelate e dai gusti per noi raccapriccianti con ananas e prosciutto, o con ingredienti che allora i nostri pizzaioli nostrani non avrebbero mai utilizzato. Ma agli americani piacevano da matti, e si affollavano nel ristorante dove io passavo gran parte del tempo, e dove avrei voluto anche aiutare a servire, ma una minorenne, sotto non solo i 18, ma anche i 21 anni, non poteva nemmeno servire le birre al tavolo, non solo berle. I camerieri erano tutti di origine italiana, magari di seconda o terza generazione e tutti parlavano un po' di italiano, anche se io cercavo di parlare inglese tutto il tempo. C'era Gianni (alias John) Violante che aveva due anni più di me, e che mi aveva invitata a una festa una sera, ma l'ombra di mio padre aleggiava anche al Ports O' Call e quindi, niente da fare. Gabriele era una persona stupenda, grande affabulatore, simpatico, che riusciva ad affascinare le donne e attirava i clienti come le api al miele. Generoso come pochi, ci accompagnava ovunque e quindi ... Las Vegas, in Rolls Royce con aria condizionata, attraversando il deserto, lungo quelle interminabili strisce di strada asfaltata che attraversano il Nevada. Ci si fermava solo per fare rifornimento ( il prezzo della benzina, non ricordo esattamente quanto fosse, ma ho un flash sulle 50 lire...) e per mangiare e ricordo il caldo allucinante che ci colpiva all'uscita dall'auto mentre correvamo letteralmente verso il ristorante a Baker. E anche Gabriele che mi aveva sgridata perché avevo aperto il finestrino x buttare la cartina di una chewing-Gum perché era strettamente proibito. E l'arrivo a Las Vegas, di giorno, in questa città quasi fantasma, quando ho pensato "beh, è tutto qui?" E sono andata a riposare un paio d'ore, al Ceasar's Palace, per poi uscire col buio, e immergermi in questo mare di luci sfavillanti , inserirmi in questi fiumi di gente, lasciarmi trasportare e dirigermi verso questi luoghi che avevo sempre solo visto in tv. In quanto minorenne non potevo nemmeno avvicinarmi ai tavoli da gioco e nemmeno alle altre zone con il bingo o altri giochi. Ma che meraviglia esserci!!!
Poi, rientro a Los Angeles. E si riparte per San Diego, o meglio Anaheim dove si visita Disneyland, il sogno di tutti noi a soprattutto delle tre bambine Varolli . Grandioso essere là e mangiare dei gelati alla panna ricoperti di cioccolato, e fare i giri sulle attrazioni incredibili. Quella che mi è rimasta più impressa era IT'S A SMALL WORLD, dove bambole vestite con i costumi tipici dei vari paesi del mondo ballavano e cantavano una canzone che era la colonna sonora di quella attrazione, disposte sulle varie parti di un gigantesco mappamondo. E poi ancora una giornata agli Universal Studios, una pacchia per me, appassionata di cinema americano. La foto con Frankenstein e un giro dentro e intorno alle scenografie più famose del cinema di quegli anni. Sono tornata successivamente nel mondo Disney, a Disneyland Parigi, a Orlando a Disneyworld, ma la magia di quella prima volta non l'ho più rivissuta.
Lasciare gli Stati Uniti dopo un mese è stato difficilissimo, lo ammetto, e ho sempre sperato di ritornare. E ci sono tornata, dopo anni, nel 1986, sposa novella, quando ho fatto il giro sempre in California, aggiungendo San Francisco, città dal sapore europeo, inserita nel nord dello stato, che ho adorato fin dal primo istante. Dopo quei giorni, Los Angeles mi è sembrata il caos totale, sporca, fatiscente nella zona d periferia, ben lontana da quella della mia infanzia che mi ricordavo !!! E poi ancora Las Vegas, con le sue luci scintillanti, che questa volta mi ha accolta anche al Casinò dove mio marito ed io abbiamo sempre "portato a casa la vincita". E New York ... ma questa è un'altra storia e la racconto la prossima volta.
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