Milano / Università - Poesie scritte sulle foglie, per trovare un linguaggio universale
Prota Giurleo Antonella Martedi, 19/05/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2009
Un incontro tra Anna Schoenstein, direttrice della casa editrice A Oriente!, Jolanda Guardi, sua collega docente universitaria di lingua araba, e me, mi fa tornare alla memoria un testo di Adrienne Rich ‘Prendere sul serio le studentesse’.
Studentesse dell’Università Statale di Milano che, a partire dall’idea delle Mu'allaqat, tradizione di poesia araba del VII secolo, hanno scritto in versi il loro sentire. Il riferimento è ai poeti della "giahiliyya", così gli Arabi chiamano il periodo pre-islamico, prima cioè della nascita del Profeta.
Jolanda e Anna mi spiegano che la tradizione vuole che il nome Mu'allaqat, "le Appese", si riferisca al fatto che i testi scritti ("con lettere d'oro", specifica Goethe nel suo Diwan) di queste poesie sarebbero stati appesi, per la loro particolare bellezza, nella Ka'aba.
Le Moullaq’at, anticamente scritte sulle ossa di cammello (la scapola, preferibilmente, perché larga e piatta) o su foglie di palma, avevano contenuti ben precisi: l’elogio di se stessi, lo spregio nei confronti di una persona appartenente ad un’altra tribù e altri temi.
A partire da questi le ventitre studentesse hanno elaborato pensieri, forme e tecniche utilizzando come supporto per la scrittura foglie rubate agli alberi cittadini o recuperate dal fiorista.
Il risultato è affascinante; le foglie, a differenza dei fogli, generalmente rettangolari, hanno forme diverse, stimolanti, che richiedono adattamenti particolarmente creativi. Così la scrittura può seguire il contorno e l’arabesco può nascere dalle nervature, in una relazione feconda tra espressione creativa e forma naturale.
Ho chiesto a Silvia Rigon, una studentessa che ha seguito il corso, quale rapporto individuasse tra natura e cultura: “La scelta delle foglie come base per le nostre poesia è un esempio di come una forma naturale può guidare l'esperienza poetica e immaginativa, arricchendola di un significato aggiunto: la foglia dipinta si trasforma in una poesia che con leggerezza unisce lingua e arte visiva e diventa la base da cui partire per nuove e sempre fresche osservazioni della realtà e della vita.
Attraverso l’esperienza creativa personale la tradizione delle Mu'allaqat, non è più apparsa distante ma è diventata accessibile, decifrabile e codificabile. Il ricorso alla natura come ispirazione e poi l’uso dell’elemento naturale come base per scrivere il testo crea una specie di gioco di matrioske: man mano che si procede nell'elaborazione poetica, il lavoro si arricchisce, il significato si trasforma e la stessa riflessione sulla metodologia consente di cogliere la complessità e la molteplicità della realtà. “
Gioielli questi lavori poetici su foglie, gioielli le giovani studentesse che li hanno creati e le docenti che le hanno sostenute e consigliate: Jolanda, docente di lingua araba, e Giovanna Gelmi, che ha condotto il laboratorio di poesia.
Una preziosità di progetto e di lavoro che suggerisce una sintonia con una suggestione: l’idea che il nome delle “appese” non derivi solo dalla consuetudine di appendere i testi ma anche dalle gemme appese ad una collana.
Una sintonia che si ritrova anche nell’assonanza tra la parola foglia e la parola foglio, sia in lingua italiana e francese che araba (waraq) che in altre (in spagnolo hoja significa sia pagina che foglia).
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