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Appello per Cosima Serrano e Sabrina Misseri

Appello per Cosima Serrano e Sabrina Misseri

APPELLO: Avetrana, paradigma della spettacolarizzazione mediatica e caso giudiziario dai molti paradossi. Una presa di posizione controcorrente avverso la deriva giustizialista e l'omologazione del giudizio.

Mercoledi, 05/10/2016 - APPELLO: Avetrana, paradigma della spettacolarizzazione mediatica e caso giudiziario dai molti paradossi. Una presa di posizione controcorrente avverso la deriva giustizialista e l'omologazione del giudizio.



SOMMARIO

1. Appello

2. Breve cronistoria

3. Il "processo mediatico", caratteri e considerazioni

4. La richiesta di rimessione ad altra sede

5. Moniti della Cassazione sul "processo mediatico"

6. Ragioni del presente appello

7. Perché riteniamo il caso di Avetrana una vicenda processuale colma di paradossi

8. Auspicio

9. Appendice. Codice di autoregolamentazione dei processi in tv, Articolo 1



1. APPELLO

Lanciamo questo APPELLO perché riteniamo necessario far sentire una voce fuori dal coro intorno alla vicenda dell'omicidio di Sarah Scazzi e al processo svolto a Taranto.

Al di là del dibattito tra accusa e difesa, tra innocentisti e colpevolisti, desideriamo affermare la necessità di un ritorno a forme di confronto pacate su questo come su altri casi giudiziari e a stili di informazione che, tenendo fermo il principio della non colpevolezza fino a sentenza definitiva, mettano effettivamente il pubblico in condizione di formarsi un'opinione corretta su fatti oggetto di accertamento giurisdizionale, conformemente a quanto enunciato all'articolo 1 del Codice di autoregolamentazione per i processi in tv (riportato in calce).

Per questo motivo lanciamo questo APPELLO rivolto alla pubblica opinione, agli operatori dei media e alle istituzioni che invitiamo tutti a diffondere.



2. Breve cronistoria

Come è noto, le due imputate attualmente alla sbarra, Cosima Serrano e Sabrina Misseri, madre e figlia, sono accusate di concorso in omicidio volontario, sequestro di persona e soppressione di cadavere per l'omicidio di Sarah Scazzi avvenuto il 26 agosto 2010. Sabrina Misseri è ristretta in carcere dal 15 ottobre 2010, sua madre dal 26 maggio 2011.

È impossibile in questa sede ripercorrere in modo esaustivo le tappe dell'istruttoria e del processo; anche una trattazione per sommi capi richiederebbe un'esposizione che esula dalle finalità di questo appello. A noi preme portare all'attenzione generale alcuni incontestabili aspetti definitivamente acclarati che suggeriscono una lettura alternativa della vicenda, sia come evento mediatico che come caso giudiziario.

Iniziato in sordina, in quanto ritenuto ennesimo capitolo di una vasta casistica di fughe adolescenziali, il caso assume progressivamente rilievo nazionale; tv e giornali arrivano a dedicare spazi di cronaca e di approfondimento sempre più ampi, allargando il campo delle ipotesi sulla scomparsa.

Il 6 ottobre 2010 il tragico epilogo: lo zio della ragazzina, Michele Misseri, agricoltore, dopo ore di interrogatorio confessa e fa ritrovare il corpo, indicando un movente e fornendo altri riscontri. Il caso dovrebbe essere chiuso, come confermato dalla conferenza stampa del procuratore Franco Sebastio.

Ma dopo una serie di colpi di scena che si susseguono a ritmo incalzante, e nuove versioni fornite dallo zio della vittima, in base alle accuse di questi si arriva alla incriminazione di sua figlia Sabrina Misseri, cugina della vittima, arrestata il 15 ottobre 2010. Alcuni mesi dopo, il 26 maggio 2011, viene arrestata anche Cosima Serrano, madre di Sabrina Misseri, e il 21 novembre 2011 entrambe vengono rinviate a giudizio. Dopo due gradi di giudizio che hanno visto l'affermazione di responsabilità di entrambe con la condanna all'ergastolo, è attualmente pendente il ricorso in Cassazione.



3. Il "processo mediatico", caratteri e considerazioni

Ciò a cui abbiamo assistito nel lungo arco di tempo che separa dall'inizio della storia è stata la celebrazione di un processo parallelo, fuori delle aule di giustizia, che, portando ai massimi "fasti" un filone inaugurato con la vicenda di Cogne, ha consolidato un genere televisivo, facendo propri i riti e i simboli del processo giudiziario ed editandoli in un linguaggio nuovo, quello mediatico.

Parallelamente, al resoconto dei fatti di cronaca si è sovrapposta e poi ha prevalso una "narrazione" che ha intessuto la trama degli eventi rappresentati con l'ordito di una tesi colpevolista presto maggioritaria sebbene ancora tutta da dimostrare. Nella tipizzazione dei caratteri, alla figura incarnante bellezza, giovinezza, speranze nell'avvenire della vittima sono state contrapposte due nature perverse. Il pubblico tende spesso a sposare la tesi dell'accusa; questo gli fornisce una password legittimante per entrare senza riguardi nelle "vite degli altri", ed è quanto è avvenuto in questo caso.

More solito, accanto alla verità storica (nota solo ai protagonisti) e a quella giudiziaria, che si forma nelle aule dei tribunali, si è affermata intorno alla vicenda una verità mediatica.

Montesquieu, dopo avervi posto dei paletti, diceva che il potere giudiziario doveva essere "per così dire invisibile e nullo"; nella sua fenomenologia doveva richiamare l'idea di una funzione quasi anonima, fatta di procedure e regole, anziché di apparenze minacciose: in modo che "non si hanno continuamente dei giudici davanti agli occhi, e si teme la magistratura e non i magistrati". Oggi che la giustizia irrompe nelle forme del processo mediatico la percezione che si ha è invece quella di un sistema di gogna collettiva di sapore settecentesco.

Alla immagine distorta della giustizia fornita da operatori dell'informazione che non conoscono il tecnicismo del processo si accompagna la falsa percezione indotta nell'opinione pubblica della giustizia come "processo in piazza". La storia ci offre esempi del passato di processo pubblico, come nella democrazia ateniese, in cui una persona accusata di aver violato le leggi della città veniva giudicata dal popolo. Ma in questi casi era previsto che difesa e accusa fossero poste su un piano di parità, e l'imputato avesse il diritto di prendere pubblicamente la parola per discolparsi. Oggi chi regge le fila del rito è anche il dominus del flusso informativo e spesso la selezione delle notizie non è neutrale ma orientata, inclinando ambiguamente verso il dubbio sospettoso, il sentore di mistero celato; che è uno degli aspetti della cosiddetta "cultura del sospetto".

Non possiamo fare a meno di riportare a tal proposito le parole pronunciate da Sabrina Misseri rispondendo, tramite uno dei suoi difensori, a domande poste in un servizio televisivo: "Quello che hanno fatto le televisioni e i giornali in questa vicenda va oltre ogni immaginazione. Anche oggi, i resoconti delle udienze sono sfacciatamente fuorvianti, riportano pressoché il contrario di ciò che è avvenuto o è stato detto in aula, da restare allibiti. Nonostante il divieto di riprendermi, le mie immagini nell'aula della Corte d'Assise sono state trasmesse in Internet e in televisione per soddisfare morbose curiosità".

Anche la dilatazione dei tempi del giudizio (quasi sei anni per Sabrina, poco meno per sua madre) gioca a svantaggio dell'imputato: “più il processo si dilata cronologicamente, più il principio della presunzione di innocenza tende a sbiadire nella coscienza collettiva, influenzata da sentenze di colpevolezza giornalistiche, alimentate da ipotesi investigative presentate come accertamento definitivo, con un linguaggio poco sorvegliato e dunque percepito dalla collettività in chiave negativa, lasciando spazi ad anticipati giudizi di reità, che si ripercuotono sulla vicenda giudiziaria" (Pier Paolo Paulesu, da “La presunzione di non colpevolezza dell’imputato”).



4. La richiesta di rimessione ad altra sede

A causa del clima venutosi a creare, con il verificarsi di fatti di obiettiva gravità come il lancio di pietre contro Michele Misseri e il tentativo di linciaggio, da parte della folla, nei confronti di Cosima Serrano durante l'arresto, alla vigilia del processo di primo grado il sostituto Procuratore generale della Cassazione, Gabriele Mazzotta, chiese, caso più unico che raro, la rimessione del processo ad altra sede. Tale richiesta non fu accolta con la motivazione che, data la rilevanza mediatica nazionale del caso, uno spostamento non avrebbe sortito alcun effetto.



5. Moniti della Cassazione sul "processo mediatico".

Il primo Presidente della Corte di Cassazione, Vincenzo Carbone, dichiarò nel 2009 che occorreva evitare la realizzazione di veri e propri "processi mediatici" simulando al di fuori degli uffici giudiziari, e magari anche con la partecipazione di magistrati, lo svolgimento di un giudizio mentre è ancora in corso il processo nelle sedi istituzionali. "La giustizia deve essere trasparente a deve svolgersi nelle sedi proprie, lasciando ai media il doveroso ed essenziale compito di informare l'opinione pubblica, ma non di sostituirsi alla funzione".

Dalla Cassazione parte anche un altro monito: “a ciascuno il suo, agli inquirenti il compito di effettuare gli accertamenti, ai giudici il compito di verificarne la fondatezza, al giornalista il compito di darne notizia nell’esercizio del diritto di informare, ma non di suggestionare la collettività”.

Ma, prendendo atto della realtà, in qualche sentenza della Corte le distorsioni mediatiche sono viste e accettate come una sorta di calamità naturale, un fenomeno parafisiologico che non dovrebbe allarmare perché privo di reale impatto sull'esercizio della giurisdizione.



6. Ragioni del presente appello

A nostro avviso invece è necessario che in questa vicenda a dettar legge non sia soltanto il verdetto inappellabile del tribunale del popolo che ha già pronunciato la sua condanna, rendendo di fatto, nelle previsioni, un mero orpello, un suggello scontato quello che verrà dato in Cassazione a una «doppia conforme» senza storia.

A noi sembra che si debba parlare del problema cogliendo l'occasione offerta da questo caso eclatante. Perché a far da cassa di risonanza dei due verdetti di colpevolezza non devono essere semplicemente gli applausi in studio nei talk alla notizia della condanna delle due imputate.

Se la sede naturale sono le aule giudiziarie, dove vige ancora il principio di non colpevolezza sino a sentenza definitiva, questo principio dovrebbe valere anche fuori dalle aule.

Siamo persuasi che il giudizio in Cassazione si svolgerà in modo immune da condizionamenti e prevenzioni; ma è altrettanto vero che occorre costantemente sorvegliare la qualità del dibattito democratico per scongiurare il rischio anche solo teorico di pericolose osmosi. La filosofa e scrittrice Hannah Arendt sosteneva che: “giudicare impone di non vedere, perché solo chiudendo gli occhi si diventa spettatori imparziali, operazione impossibile in un universo saturo di immagini (spesso ritoccate) come nel nostro".



7. Perché riteniamo il caso di Avetrana una vicenda processuale colma di paradossi

Un primo aspetto paradossale è quello di una ragazza ventiduenne che sino al 26 agosto 2010 conduce una vita perfettamente ordinata in una cittadina di periferia del sud e che da un giorno all'altro assume la veste dell'assassina lucida e spietata in forza di una narrazione collettiva di un tragico evento che si è scelto di dare prima ancora di ricevere qualsivoglia riscontro probatorio. Lo stesso può affermarsi per sua madre.

Sabrina viene dipinta come una vera e propria "mente criminale" capace di imbastire subito dopo la consumazione del delitto un depistaggio volto a posticipare la tempistica degli eventi; espediente anch'esso paradossale a causa della sua inutilità: la vittima era comunque incamminata verso casa Misseri e posticipare gli orari non cambiava la collocazione degli attori sulla scena del crimine.

La condotta successiva, dato che le due imputate, essendo in carcere, sono sottoposte ad osservazione da sei anni, è quella di due detenute modello, che dietro le sbarre hanno intrapreso anche un percorso di formazione. E questa è una verità incontestabile.

L'altro paradosso è quello di un reo confesso che si trova a piede libero e di due donne che da circa sei anni invece sono ristrette in carcere in attesa di sentenza definitiva e per le quali si profila un ulteriore allungamento dei termini di custodia cautelare, facendovi rientrare anche i due anni resisi necessari per la redazione delle motivazioni.

Un paradosso è la lunghezza delle motivazioni (2900 pagine complessivamente) e il tempo impiegato per la loro stesura (oltre due anni complessivamente) per fornire l'apparato motivazionale ad una "doppia conforme" di condanna all'ergastolo, che per la sua severità e perentorietà presupporrebbe una evidenza probatoria non bisognosa di un iter motivazionale eccessivamente elaborato.

Ed ancora vi è il paradosso di una madre di famiglia incarcerata per il racconto di un sogno fatto da un fioraio, qualificato pervicacemente come sogno dallo stesso e da tutti quelli con cui ne aveva parlato, cui si aggiunge l'ulteriore paradosso che il verdetto sul delitto possa arrivare prima ancora che un altro giudice, nel processo parallelo al fioraio per false dichiarazioni, abbia stabilito se di sogno o realtà si sia effettivamente trattato. Gli altri elementi di prova, rinvenienti dalle motivazioni, sono scarsi e inconsistenti quando non già demoliti nel processo di appello.

C'è un chiamante in reità che, nel breve periodo in cui rende dichiarazioni accusatorie (60 giorni) verso sua figlia, offre molteplici versioni, nessuna delle quali (incidente probatorio compreso) coincide con quella poi data dai giudici; e che, mentre in pubblico accusa la figlia di omicidio, allo psicologo del carcere dice di essere lui l'assassino, continuando a sostenere nel restante dei sei anni trascorsi la sua colpevolezza.

C'è la singolarità, a dir poco, di una madre e una figlia colte all'unisono da un improvviso raptus omicidiario in un assolato pomeriggio d'agosto quando era in programma una gita al mare e nulla avrebbe fatto presagire la imminente tragedia.

Paradossale ci sembra anche il divario tra il movente ipotizzato e i fatti obiettivamente accertati, che danno l'impressione di un delitto ancora in cerca di movente. Quello che emerge da molteplici riscontri dopo due gradi di giudizio è un rapporto quasi simbiotico tra Sabrina e Sarah, per la quale quella dei Misseri era la seconda casa. Sabrina in pubblico era l'ombra della cugina più piccola cui faceva da "chaperon". Dall'esame delle prove testimoniali e di migliaia di SMS recuperati non emerge alcun riscontro al movente principe, teorizzato dall'accusa, la gelosia verso Sarah a causa di un ragazzo del luogo, per cui Sabrina provava interesse. Al contrario, i riscontri dicono che Sarah era interessata ad un altro ragazzo, di cui parlava anche con le amiche. Nelle motivazioni di secondo grado si parla anche di un inconfessabile "segreto" di cui Sarah sarebbe venuta a conoscenza proprio il pomeriggio in cui venne uccisa, ma tale “segreto” rimane ammantato di mistero.



8. Auspicio

Per le ragioni sin qui esposte,

RITENENDO che il preminente interesse della collettività sia l'affermazione di una piena giustizia per la vittima, la giovanissima Sarah Scazzi, ma anche per tutte le persone coinvolte in questa tragica vicenda che, se innocenti, devono essere restituite alla loro vita e avere anche loro giustizia per le immani sofferenze legate a una prolungata e immeritata pena detentiva,

RINNOVANDO i sensi della massima fiducia verso gli organi giudicanti,

APPELLANDOCI alla pubblica opinione, agli operatori dei media e alle istituzioni,

AUSPICHIAMO il compimento di un iter giudiziario finalmente sereno e non turbato dalle interferenze del giustizialismo e del gossip mediatico e che la vicenda possa contribuire a quella presa di coscienza generale atta a permettere che nel futuro il parallelismo instaurantesi tra informazione e attività giurisdizionale possa svolgersi in forme e modi tali da rendere edotta in modo puntuale e indistorto la collettività sui fatti e le persone nei cui confronti la giustizia viene amministrata.



9. Appendice. Codice di autoregolamentazione dei processi in tv, Articolo 1

1. Le parti, ferma la salvaguardia della libertà e del pluralismo dei mezzi di comunicazione in sé e a garanzia del diritto dei cittadini ad essere tempestivamente e compiutamente informati, e ferma altresì la tutela della libertà individuale di manifestazione del pensiero, che implica quella di ricercare, acquisire, ricevere, comunicare e diffondere informazioni e si esprime segnatamente nelle forme della cronaca, dell’opinione e della critica anche in riferimento all’organizzazione, al funzionamento e agli atti dei pubblici poteri incluso l’Ordine giurisdizionale, si impegnano ad adottare nelle trasmissioni televisive che abbiano ad oggetto la rappresentazione di vicende giudiziarie in corso le misure atte ad assicurare l’osservanza dei principi di obiettività, completezza, e imparzialità, rapportati ai fatti e agli atti risultanti dallo stato in cui si trova il procedimento nel momento in cui ha luogo la trasmissione, e a rispettare i diritti alla dignità, all’onore, alla reputazione e alla riservatezza costituzionalmente garantiti alle persone direttamente, indirettamente od occasionalmente coinvolte nelle indagini e nel processo.

2. Ai fini di cui al comma 1, nelle trasmissioni radiotelevisive che abbiano ad oggetto la rappresentazione di vicende giudiziarie, le parti si impegnano a:

a) curare che risultino chiare le differenze fra documentazione e rappresentazione, fra cronaca e commento, fra indagato, imputato e condannato, fra pubblico ministero e giudice, fra accusa e difesa, fra carattere non definitivo e definitivo dei provvedimenti e delle decisioni nell’evoluzione delle fasi e dei gradi dei procedimenti e dei giudizi;

b) diffondere un’informazione che, attenendosi alla presunzione di non colpevolezza dell’indagato e dell’imputato, soddisfi comunque l’interesse pubblico alla conoscenza immediata di fatti di grande rilievo sociale quali la perpetrazione di gravi reati;

c) adottare modalità espressive e tecniche comunicative che consentano al telespettatore una adeguata comprensione della vicenda, attraverso la rappresentazione e la illustrazione delle diverse posizioni delle parti in contesa, tenendo ponderatamente conto dell’effetto divulgativo ed esplicativo del mezzo televisivo che, pur ampliando la dialettica fra i soggetti processuali, può indurre il rischio di alterare la percezione dei fatti;

d) rispettare complessivamente il principio del contraddittorio delle tesi, assicurando la presenza e la pari opportunità nel confronto dialettico tra i soggetti che le sostengono – comunque diversi dalle parti che si confrontano nel processo – e rispettando il principio di buona fede e continenza nella corretta ricostruzione degli avvenimenti;

e) controllare, nell’esercizio del diritto di cronaca, la verità dei fatti narrati mediante accurata verifica delle fonti, avvertendo o comunque rendendo chiaro che le persone indagate o accusate si presumono non colpevoli fino alla sentenza irrevocabile di condanna e che pertanto la veridicità delle notizie concernenti ipotesi investigative o accusatorie attiene al fatto che le ipotesi sono state formulate come tali dagli organi competenti nel corso delle indagini e del processo e non anche alla sussistenza della responsabilità degli indagati o degli imputati;

f) non rivelare dati sensibili, che ledano la riservatezza, la dignità e il decoro altrui, ed in special modo della vittima o di altri soggetti non indagati, la cui diffusione sia inidonea a soddisfare alcuno specifico interesse pubblico.

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