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Appello di solidarietà alla rete antiviolenza D.i.Re

Appello di solidarietà alla rete antiviolenza D.i.Re

Dopo l'espulsione dell'associazione Artemisia dalla rete antiviolenza D.i.RE, causata dalla scelta di tale associazione di prevedere uomini quali soci

Giovedi, 30/10/2025 - Lo scorso 25 ottobre l’Assemblea nazionale di D.i.Re ha deciso di espellere dalla propria rete di associazioni antiviolenza la socia Artemisia, respingendo il suo ricorso contro il provvedimento di esclusione, adottato dopo la sua decisione di associare anche uomini. L’espulsione è stata deliberata in virtù della regola prevista dallo statuto di D.i.Re, in base alla quale nei centri antiviolenza l’accoglienza debba essere “fondata sulla relazione tra donne e sul rimando positivo del proprio sesso/genere” (art. 3, comma 2). Nell’immediatezza della decisione assembleare l’associazione Artemisia ha pubblicato un post su Facebook, rendendo nota la vicenda e nel contempo motivando la propria scelta di associare uomini in tal modo. Ossia “ Crediamo che il femminismo attuale, cosiddetto della quarta ondata, si debba interrogare, si debba e si possa rinnovare nel segno del cambiamento che cerchiamo ancora. Vogliamo un movimento unico, oceanico, cooperativo cui gli uomini partecipano non in quanto potenziali attori di violenza che si redimono pubblicamente ma come uomini che prendono voce e posizione e che riconoscono che è affar loro — è affar nostro”.
La scelta di utilizzare i social per ampliare la platea del pubblico interessato a conoscere quanto stesse accadendo, ha conseguentemente diviso le schiere tra chi fosse solidale con Artemisia o con D.i.Re, che è stata successivamente vittima di inauditi attacchi, frutto del mal sopito accanimento verso chi da decenni difende la pratica femminista all’interno dei centri antiviolenza, di cui è generatrice la stessa D.i.Re a tutti gli effetti. Eppure la decisione della sua Assemblea nazionale di escludere Artemisia non ha fatto altro che formalizzare una scelta di autoesclusione, che era già avvenuta sin dal momento in cui la stessa Artemisia aveva deciso di associare gli uomini. Allora, perché ne è disceso talmente tanto clamore da interessare centinaia di commentatori e commentatrici e da solleticare anche l’interesse dei media nazionali? A mio parere, la ragione è prettamente politica, visto che le tesi contrapposte hanno fatto chiaramente intravedere il vero obiettivo.
Quale è quello di delegittimare la stessa esistenza dei centri antiviolenza basati sulla pratica femminista, così come è definita statutariamente, e la loro stessa natura Scrive Luisanna Porcu, coordinatrice di uno di essi, Onda rosa: “I centri antiviolenza nascono dal femminismo, non dall’assistenzialismo. Sono spazi politici, non neutri. Luoghi in cui le donne si incontrano, si credono, si sostengono e si riprendono potere. La presenza solo femminile nelle associazioni che li gestiscono non è una discriminazione: è una scelta di libertà. Serve a spezzare le dinamiche di controllo e di dominio che la violenza maschile riproduce ovunque”. Per solidarizzare con D.i.Re e le sue tremila socie, vero bersaglio di un accanimento mediatico che “Ci dice quanto i luoghi delle donne siano invisi, guardati con sospetto come se per essere legittimati nella lotta alla violenza contro le donne, dovessero accettare la presenza degli uomini” (Nadia Somma, responsabile del centro antiviolenza Demetra), un gruppo di attiviste ha deciso di lanciare una raccolta di firme sotto il seguente documento politico.
“Siamo un gruppo di attiviste nel contrasto alla violenza maschile sulle donne, convinte sostenitrici del modello elaborato da D.i.Re, a cui rivolgiamo la nostra solidarietà in un momento difficile e complesso, che necessita dei giusti strumenti di riflessione e non di ulteriori scontri ideologici. Un modello che, sancito dall’art. 3, comma 2, del suo Statuto prevede che si adotti ”una metodologia comune: la metodologia dell'accoglienza, fondata sulla relazione tra donne e sul rimando positivo del proprio sesso/genere. Sulla base di tale relazione, ogni donna accolta ha l'opportunità di intraprendere un percorso di autonomia, consapevolezza, empowerment".
Tutte le associazioni aderenti a D.i.Re, e conseguentemente al suo documento statutario da sé stesse sottoscritto, hanno improntato nel tempo il loro agire politico alla necessità di fare rete, proprio sulla base di una accoglienza fondata sulla relazione tra donne. Per decenni pratiche, saperi, pensieri, riflessioni, idee condivise tra donne hanno portato a ciò che oggi sono i centri antiviolenza femministi, con un cammino che è ancora in corso. Il conclamato ed attuato separatismo non è per nulla un vezzo, ma una necessità per costruire relazioni tra donne improntate alla fiducia e parità, altrimenti di dimensioni impossibili.
Condividiamo con D.i.Re che la fuori uscita dalla violenza passi da questo riconoscere e riconoscersi tra soggettività sullo stesso piano di confronto libero e rispettoso dell'autodeterminazione della donna, considerando questi principi centrali e non negoziabili. Gli uomini, che vogliano camminare al nostro fianco, siano consapevoli del nostro bisogno di luoghi dell'autonomia e dedicati alle donne, a protezione di un lavoro intimo e frutto di anni di esercizio femminista. Abbiamo bisogno di luoghi di parola, pensiero, ragionamento, costruzione, elaborazione nostri, quali una stanza tutta per noi. Le battaglie sono indubbiamente comuni, ma possono essere svolte altrove dagli attivisti nel contrasto alla violenza maschile.
Ciò a garanzia delle donne che si rivolgono ai centri e non hanno voglia di sentirsi sovradeterminate da figure maschili. Agli uomini, nostri alleati, chiediamo di capire questo passaggio e la necessità del separatismo nei centri antiviolenza. Abbiamo bisogno di alleanze ma ripetiamo, in luoghi, contesti e cammini diversificati, perché la lotta al patriarcato ha bisogno di uno sforzo di coscienza in più, quale la protezione e la cura per le donne e tra donne. Si tratta di un percorso culturale di elaborazione autonoma di soluzioni, relazioni, solidarietà, empatia. Un percorso che confligge con l’istanza di aprire i centri antiviolenza femministi alla presenza di uomini, un’istanza che ci vede contrarie unitamente a D.i.Re, che di tale percorso è madre e che in queste ore viene attaccata proprio perché se ne fa strenua tutrice.
Solidarizziamo conseguentemente con tale realtà associativa, perché suffragarne le istanze è una questione politica, di politica delle donne, della necessità di spazi reali e di pensiero autonomi delle donne, per le donne, con le donne. Il cammino della rete D.i.Re è un lungo percorso fatto di ascolto e della necessità di creare luoghi che assicurino protezione, supporto, affiancamento, diritti. D.i.Re è un lungo cammino di legittimazione della parola e del pensiero delle donne nei luoghi istituzionali e decisionali. Questo è il significato di una difesa consapevole del separatismo, in un percorso che non va picconato e depotenziato. Sconfessarlo significherebbe denegare la nostra storia femminista, perché ne andrebbero di mezzo tutte noi donne, i nostri bisogni, i nostri diritti, le nostre speranze.
Per questi e per mille altri motivi, intendiamo continuare a camminare al fianco di D.i.Re per non restare da sole, mai!”.
Decine e decine di firme da quattro giorni a questa parte sono state raccolte, a riprova di quanto sia condivisa la scelta di centri antiviolenza che siano femminili, per consentire alle sopravvissute alla violenza maschile di essere affiancate da donne che le supportino nel percorso di fuori uscita dalla loro condizione. Indubbiamente appare strano che proprio nel cammino verso il prossimo 25 novembre, la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne sia anticipata dalla polemica originatasi per l’esclusione di Artemisia da D.i.Re. Le realtà attive tutti i giorni nella lotta contro la violenza di genere invece di ben altro abbisognano. Da anni denunciano come lo stanziamento di risorse pubbliche per potenziare i centri antiviolenza debba essere accompagnato da una visione strategica del loro impiego.
Purtroppo i dati presentati sul numero di Centri antiviolenza, sulle figure professionali e sulle risorse finanziarie che mancano all’appello tradiscono invece l’assenza di una seria pianificazione nel tempo che possa garantire sostegno continuativo e incondizionato alle vittime di tale tipologia di violenza. Siamo alle solite si guarda il dito e non la luna, con il rischio effettivo che per mancanza di fondi molti centri antiviolenza chiudano. Perdere di vista l’unità di intenti nel rivendicare la loro sopravvivenza a causa di una decisione interna a D.i.Re, motivata peraltro dal rispetto delle norme statutarie, sottoscritte a suo tempo anche da Artemisia, mi appare sproporzionata ed anche malevola, senza se e senza ma.


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