Appartenere alla primavera, al silenzio e al bosco
L’ultima raccolta poetica di Giovanni Pistoia, Sono foresta tra sogni e silenzi, Photocy, 20013, è uno slancio verso la speranza, il sogno, la rivelazione, il progresso, il mutamento, la rigenerazione (nascere morendo ogni giorno), la nuova stag
Venerdi, 22/08/2014 - Il piccolo mondo antico di Giovanni Pistoia
Appartenere alla primavera, al silenzio e al bosco
L’ultima raccolta poetica di Giovanni Pistoia, Sono foresta tra sogni e silenzi, Photocy, 20013, è uno slancio verso la speranza, il sogno, la rivelazione, il progresso, il mutamento, la rigenerazione (nascere morendo ogni giorno), la nuova stagione, tutti racchiusi in se stessi, raccolti lontani dal chiacchiericcio dei gesti e delle passioni. Ce lo dice la metafora del silenzio (legata a quella della foresta già nel titolo) presente da subito: Ho incontrato…la primavera...raccontava il silenzio/dei prati e ai petali affidava le ali (Sulle colline, p. 9). Secondo le tradizioni, ci fu un silenzio prima della creazione; ci sarà un silenzio alla fine sei tempi. Il silenzio avvolge i grandi avvenimenti, dando alle cose grandezza e maestà. Il silenzio, dicono le regole monastiche, è una grande cerimonia. Dio arriva nell’anima che fa regnare in sé il silenzio. Questo elemento si ritrova in molti titoli delle liriche: Ero silenzio, Al cospetto del silenzio, I silenzi della notte, I silenzi del giorno, Il mio silenzio. Silenzio, non mutismo, che parla e vuole essere ascoltato…è il silenzio/il mio discorso più complicato…
Il poeta, oltre che con il silenzio, s’identifica con l’albero (ero albero), la foresta (sono foresta, ero una foresta), vero santuario naturale abitato dal silenzio (E c’era silenzio/nel bosco folto/profumo di silenzio/nel bosco muto, Ero silenzio, p. 61): Ero una foresta d’alberi giganti;/coltivavo semi da donare al vento:/un vuoto, ora, un campo minato./Come un malanno, una malattia:/via le foglie, gli alberi, le radici,/via i semi già in fuga nel vento,/affidati alla bontà dei venti,/a quel che resta della foresta. (Ero una foresta, p. 49). Qui è chiaro il significato positivo, ottimistico della metafora della foresta legato al gesto di coltivare semi da donare. L’albero può essere considerato, in quanto simbolo della vita, come un legame tra la terra (che pure la culla, p. 45) dove affonda le radici, e la volta del cielo che raggiunge o tocca con la sua cima: Come vorrei essere cima di quell’alto/albero su quell’alta montagna/che graffia/l’azzurro (…) (La cima, p. 45), dove domina l’azzurro, il più immateriale e il più puro dei colori. Immateriale in se stesso, il blu smaterializza tutto ciò che lo circonda. E’ cammino dell’infinito, dove il reale si trasforma in immaginario, è anche la poesia: Come mi manca l’azzurro del cielo! (Che venga la neve, p. 69). Il Poeta arriverà a confessare: Nella foresta mi perdo,/nella foresta mi trovo…Io sono foresta tra sogni e silenzi (Una sera d’inverno, p. 62). In Cina, la montagna abbellita in alto da una foresta è quasi sempre il sito di un tempio. Vengono in mente i versi di Charles Baudelaire nella celebre poesia Correspondances (Corrispondenze): Un tempio è la natura, dove colonne vive/Emettono talvolta oscure sillabe;/E l’uomo vi si aggira in un bosco di simboli/Che apron su di lui pupille amiche (Charles Baudelaire, Les fleurs du mal, Mursia, p. 35). Misticismo, sacralità della natura definita “tempio”, un bosco fatto di alberi (colonne vive), di simboli che emette oscure sillabe, linguaggi oscuri del mondo dove l’uomo si aggira cercando un legame tra mondo spirituale e mondo terreno. In questo senso la poesia più emblematica è Nel bosco del Pesco (p. 85), di dannunziana memoria, apoteosi del rapporto con la natura, dove c’è lo smarrimento del Poeta in una fusione fisica, panteistica con essa (ho posato/lentamente/la mia testa/sul manto giallo/delle foglie secche/coltre nobile/per antichi sentieri/vellutato tappeto/per passi ingrati). Qui, il Poeta ribadisce la funzione dell’albero quale legame tra la terra e il cielo, al quale ho accennato prima: Castagneti..inascoltati messaggeri/della terra e del cielo e soprattutto dello spirito e del corpo. Qui, nel silenzio, il Poeta trova la pace lontano/dal mondo.
Tutta la raccolta è dunque pervasa dal desiderio di spiritualità e di adesione alla natura (ero foglia/ero corolla, p. 61) – che generosamente lo abbraccia (il ventre del canneto mi accoglie/giunco tra i giunchi) - attraversate da una grande varietà di pennellate di colori, dal rosa al bianco, dal giallo all’azzurro: Pettinavo il campo di grano/dorato al sole del mattino./La mia alba era verde/si accendeva di fuoco./L’aquilone s’inebriava d’azzurro,/giocava con i colori dell’arcobaleno./Il tramonto solo un rosso racconto/d’artista, un canto lontano, e nulla più. (I miei colori, p. 11). Direi che i colori che predominano sono il verde (L’infanzia sempreverde, p. 13), il verde riflesso dell’edera, delle foglie, del prato, ecc. e il rosso, dei papaveri, dei bordi del libro della nonna, della brace accesa, dei peperoni, del cielo, delle palette rosso verde, dei berretti, delle bocche di leone, ecc. Questi due colori esprimono desiderio e passione per la vita e per il rinnovamento ed il risveglio di cui parlavo poc’anzi, rappresentati dalla primavera (nonostante qualche momento di scoramento).
Vorrei concludere sottolineando l’importanza per tutta la raccolta - in questo piccolo mondo antico, in questo mondo dall’antico sapore contadino - delle figure mitiche e ancestrali del paese (Fu il mio paese, p. 40; Il mio paese, p. 15 ), amato e odiato, labirinto da cui non è possibile evadere, dell’infanzia con i suoi riti (Il pane, p. 23; Il Presepe, p. 38) e della nonna, granitica presenza formativa (Preghiere e ceci, p. 19).
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