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Aperta all’accoglienza e ai saperi

Aperta all’accoglienza e ai saperi

La scuola che verrà - I mali del ‘pianeta istruzione’, le idee sulle riforme necessarie e sulla riqualificazione indispensabile. Un incontro nazionale promosso dai Ds per contribuire al programma di governo

Marilena Menicucci Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2006

Poteva essere una riunione politica, utile solo ai rappresentanti Ds delle varie associazioni, delle commissioni parlamentari e degli assessorati comunali, provinciali e regionali, più o meno direttamente legati alla scuola, continuando a Roma, lo scorso dicembre, la riflessione iniziata i primi giorni del mese, a Firenze, durante il congresso nazionale. Invece non è stato così e gli interventi, come la generale atmosfera dell’affollata assemblea su ‘La scuola che verrà’, sembravano animare un incontro fra i tanti cittadini, che amano la scuola, consapevoli dei suoi problemi e disposti a lottare per i cambiamenti necessari.
Si è parlato di scuola in modo aperto, oltre i limiti dello stretto orticello didattico, relazionandola al sapere, alla conoscenza e alla cultura, integrando tutte le età, le attività e gli ambienti, per lo stretto rapporto esistente tra conoscenza, sviluppo, mercato, servizi e democrazia. Nella relazione introduttiva di Ranieri e nei numerosi interventi seguenti sono stati elencati alcuni dati, utili ad analizzare la situazione dell’attuale scuola, che riproduce le differenze sociali, con guasti quali i tagli di risorse, il familismo, la non frequenza, la dispersione scolastica e l’incertezza diffusa sul tempo pieno e sui tecnici professionali, che hanno portato al sovraffollamento dei licei. La gente crede che la riforma Moratti sia in atto, mentre la legge non è passata, né è stata realizzata la legge paritaria, che stabilisce i rapporti tra scuola pubblica e privata. E’ ufficiale, invece, che per il 25% degli alunni la cultura scolastica non abbia alcun valore e che altri studiosi arrivino a fissare fino al 40% la percentuale degli abbandoni. I nostri studenti sono al 23° posto per preparazione scolastica fra quelli dei paesi industrializzati e il dislivello fra i ragazzi del sud e quelli del nord è pari alla distanza tra gli studenti di Danimarca e quelli del Portogallo. Eppure la scuola rimane l’unico terreno di legalità per ragazzi del sud, anche se il 47% degli istituti scolastici non sono a norma. La scuola è l’unico luogo di aggregazione sociale per gli alunni italiani, ma i nuovi docenti non hanno prestigio e non riescono da soli ad affrontare i grandi problemi del branco. La povertà culturale diffusa porta i laureati a cercare lavoro fuori Italia e se in passato i giovani dottori cercavano di convincere gli stranieri ospitanti contro gli stereotipi negativi sull’Italia, oggi “si vergognano di essere italiani”, come ha scritto recentemente Mario Monti sul Corriere della Sera. Il livello di istruzione dei genitori italiani è fra i più bassi d’Europa, dove nel settore scolastico da zero a sei anni si contano il 33% di servizi, mentre il Italia siamo al 7%. Il nostro paese è diventato più cinico, è compromesso il rapporto con le istituzioni e si autorizza il genitore solo a difendere il proprio bambino, senza collegare il ruolo di papà e di mamma a quello di cittadini. La crisi di partecipazione è una delle facce dell’emergenza educativa, insieme all’assenza e all’abbandono delle politiche sociali. Se, in Europa, per il livello di ricchezza siamo al 14% del Pil, spendiamo in ricerca solo il 7,1 % di quella europea. Siamo l’unico paese europeo ad aver diminuito il numero dei ricercatori (-12%).
Come passare dalla protesta al programma? Proposte e risposte si possono trovare nelle dieci schede, che compongono il capitolo Conoscenza, inserite nel Programma di governo dell’Unione (www.dsonline.itareeformazioneindex.asp).
A commento delle schede programmatiche, chi è intervenuto ha sottolineato l’importanza di riflettere sull’autonomia scolastica, che non è un fai da te, ma un valore che può morire, se non è collegato al territorio e al resto: il ruolo degli studenti e dei genitori, la rivalorizzazione del personale docente, la centralità della relazione educativa, l’approfondimento dei contenuti in rapporto ai 450mila alunni stranieri, il federalismo solidale, la nuova questione meridionale, la scuola dall’infanzia a quella degli adulti, il life long learning, la laicità, i percorsi modulari, il collegamento stretto tra innovazione e produzione, università e ricerca, l’Europa (gli obiettivi sono indicati dal Consiglio europeo di Lisbona e dalle Conferenze di Copenaghen e di Maastricht; i risultati sono previsti per il 2010).
‘La scuola che verrà’, quindi, sarà europea e con queste parole-chiave: conoscenza, competenza, flessibilità, offerta, continuità, ricerca, domanda.
La conclusione è semplice e difficilissima: occorre una scuola nuova, che faccia dell’accoglienza il suo punto di forza, a partire dai nidi, che ripristini il tempo pieno, con laboratori fin dalla scuola di base, che riformi le superiori, cambiando l’esame di stato, il sistema dei debiti e dei crediti e il biennio, fino ai sedici anni, con l’obbligo di formazione ai diciotto. Il biennio deve cambiare, perchè è modificato l’approccio alla conoscenza, il modello classico è diventato marginale e i ragazzi, disponibili alle nuove tecniche, sono già pronti alla sperimentazione, che potrebbe partire dalle Regioni.
Con quali risorse? Se la riforma della scuola interessa milioni di persone, costituendo un tema centrale per la immediata ricostruzione del paese nel senso del sapere e della libertà, la sua elaborazione politica è invece in ritardo e la realtà è ferma a prima degli anni ’90 e in alcuni casi a Gentile, con un’amministrazione troppo potente e con l’assenza della formazione professionale in tre quarti del paese.
Alla fine dell’incontro Ranieri, come saluto, ha confermato il proposito espresso da tutti i partecipanti: rimettere la scuola al centro della cultura vuol dire costruire un progetto per tutto l’arco della vita, dall’infanzia all’età adulta, collegando l’apprendimento con le nuove tecnologie, per diminuire o azzerare la distanza tra come la scuola insegna e come il bambino impara.
Un obiettivo generale e generoso, legato alle risorse di un’Italia che non c’è, secondo Standard & Poor’s, l’agenzia di rating più ascoltata dai mercati, per la quale l’Italia è un pubblico debitore da quasi 1.500 miliardi di euro, un debito pubblico previsto in aumento da quest’anno al 2007, fino a circa 110% del reddito nazionale.
Speriamo che la previsione della prestigiosa agenzia sia smentita dai fatti e che i tanti cittadini appassionati di scuola, come quelli incontrati all’assemblea, riescano a superare i problemi di governance, cambiando il triste destino della scuola e del paese Italia.


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