Francesca Archibugi torna a Venezia con un film - oggi nelle sale - sulle relazioni e le famiglie allargate, ma la sceneggiatura non convince
Mercoledi, 02/10/2019 - L’ultimo film della brava regista e sceneggiatrice romana Francesca Archibugi - classe 1960 ma aspetto da eterna ‘ragazzina’ - presentato fuori concorso al 76esimo Festival di Venezia, pur trattando tematiche potenzialmente di grande attualità, sembra lontano dall’ispirazione originale dei tempi de ‘Il grande cocomero’ e ‘Mignon è partita’, opere che hanno reso nota la regista (in parte nate da esperienze autobiografiche), nel descrivere il quadro familiare male assortito e poco realistico di "Vivere" (trailer), co-sceneggiato dalla Archibugi insieme a Francesco Piccolo e Paolo Virzì, stesso team di ‘Notti magiche’, qui con esito incerto e diluito. Nonostante l’indiscutibile abilità della regista nell’utilizzo della macchina da presa, nella serrata prossimità ai suoi personaggi resi vitali attraverso gesti, emozioni e movimenti accompagnati, la narrazione sembra perdersi nella girandola di un racconto prevedibile e le vicende dei protagonisti risultano poco autentiche, all’interno di ruoli stereotipati, tra mariti infedeli, mogli insoddisfatte, bambine scarsamente accudite, baby-sitter straniere e famiglie ‘limitrofe’.
L’arrivo di Mary Ann scatenerà l’emergere di verità nascoste e di malcelate menzogne, e del senso di colpa che ne consegue perché, come dice la regista, ‘Vivere’ è un film sulla capacità tutta italiana di mentire, di ‘raccontarsela’ anche di fronte all’evidenza, di non volersi assumere mai le proprie responsabilità (in entrambi i sessi) e apre un dibattito sulla famiglia e sullo stare insieme per scelta o per convenienza, e sulla difficile decisione - presa dalla Stato - di allontanare i bambini da certe famiglie per farli crescere meglio.
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