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“Sono una scrittrice postuma, per quando la crisi finirà…”

“Sono una scrittrice postuma, per quando la crisi finirà…”

Elsa Morante - A 100 anni dalla nascita, ricordiamo la figura umana e il genio letterario di una donna che ha affidato alla storia le sue parole

Providenti Giovanna Lunedi, 03/12/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2012

Il 18 agosto 2012 Elsa Morante avrebbe compiuto 100 anni, se nel novembre 1985 non avesse lasciato il suo corpo, già stanco di vivere. Due anni prima aveva tentato il suicidio, poco dopo avere scoperto la grave malattia degenerativa da cui era affetta.

Graziella Bernabò in un bellissimo libro dal titolo La fiaba estrema. Elsa Morante tra vita e scrittura ne "osa" ripercorre in maniera mirabile l'esistenza e l'opera: "esito di una ricerca umana e poetica di una intensità straordinaria" (p.11).

Elsa Morante ("qualcuno per cui scrivere era stata la faccenda seria della vita", la apostrofa Giacomo De Benedetti) ha scritto romanzi non di evasione né di impegno, ma belli e, dunque, veri. Nel saggio Sul romanzo, lei stessa definisce i veri romanzi "il risultato di un supremo impegno morale" e li contrappone a quelli brutti e, dunque, falsi che sono "il risultato di una evasione dal primo e necessario impegno del romanziere, che è la verità". Per questo l'opera della Morante può essere letta e amata solo da chi sa apprezzare la verità delle cose per come sono, nella loro espressione più autentica: temibile, ambigua, intricata e affascinante. Come è la vita.

In tutti i suoi romanzi da Menzogna e sortilegio del 1948, attraverso L'isola di Arturo (1957), Lo scialle andaluso (1963), fino al più noto La Storia del 1974 e il più sofferto e tragico ultimo lavoro Aracoeli del 1982, Morante non ha mai tradito la disinteressata fedeltà alla ricerca di un'arte universale e vera.

È possibile far coincidere una esperienza umana, di per se stessa mutevole, limitata dallo spazio e dal tempo, con qualcosa di valido e duraturo?

È stato possibile per lei. A parte gli ambienti altolocati, che lei ha imparato ad odiare, in cui l'aveva introdotta suo marito Alberto Moravia, non ha mai avuto una vita mondana e non amava frequentare luoghi e persone che non le permettessero di essere se stessa in tutta la sua autenticità. Elsa è stata una scrittrice esploratrice delle realtà più complesse e più varie della psicologia umana, sperimentate in prima persona (anche attraverso l'uso di droghe, ma non solo) e tali da suscitare in chi la legge il rivoluzionario "aumento di vitalità", che, secondo lei, contraddistingue un'opera d'arte di valore eterno. Tale idea non è sua originale: nasce dal critico d'arte Bernard Berenson e gira molto nella "cerchia" delle amicizie di Elsa (oltre Moravia, Attilio Bertolucci, Giorgio Bassani, Pasolini) che se le hanno dato molto nutrimento intellettuale, le hanno anche procurato grande sofferenza, non avendo capito che la finalità della scrittura letteraria di Elsa era "interrogare sinceramente la vita reale, affinché essa ci renda, in risposta, la sua verità", come scrive in Sul romanzo.

Il desiderio di allargare la coscienza, toccare la verità e l'assoluto di cui era assetata, l'ha portata a fare uso di allucinogeni, che hanno sia contribuito a fare di lei una grande poeta sia, probabilmente, ad ammalarsi. Anche ad essere amata, ma non compresa, dal marito noto scrittore con cui è vissuta per più di venti anni e che è stato "materialmente" presente anche dopo la separazione, pur convivendo con Dacia Marini. In Vita di Moravia, Elkann scrive che Elsa era una donna assoluta per la quale ogni piccola cosa assumeva significati superiori all'entità dell'episodio e che Moravia era "affascinato da qualcosa di estremo, di straziante e di passionale che c'era nel suo carattere. Pareva che ogni giorno della sua vita fosse l'ultimo prima della morte".

Elsa era così assoluta come il ragazzo adolescente che si sentiva di essere? Chissà se, ora che non ha più un corpo di donna matura, finalmente il suo agatos (la componente spirituale che lei accostava al kalòs: "Kalòs kai agatòs è stato sempre, fin dall'infanzia, l'ideale a cui miravo, nella ricerca della duplice perfezione") si trova ora in un nuovo corpo. Chissà se finalmente si è realizzato il desiderio, confessato a Giacomo De Benedetti a proposito de "L'Isola di Arturo": “La sola ragione che ho avuta (di cui fossi consapevole), nel mettermi a raccontare la vita di Arturo, è stata (non rida) il mio antico e inguaribile desiderio di essere un ragazzo”.

Pochi mesi prima di morire Elsa Morante nega alla giornalista Adele Cambria un'intervista, affermando di non essere una gazzettiera come lei, ma un autore postumo la cui opera sia destinata a restare, senza bisogno di diventare nota ai più. Tali modi bruschi e supponenti, in parte dettati dalla sofferenza fisica dovuta all'idrocefalia per cui rifiuta di farsi operare, temendo che trapanare il cranio per liberarla dall'acqua in eccesso possa danneggiarle il cervello, rivelano anche qualcosa di vero. Pur se pubblicata da Einaudi e recensita da importanti critici letterari a lei contemporanei, Morante non è stata autrice della sua attualità. Non la sua e forse neanche la nostra. Sia noi che lei viviamo in un tempo di crisi, di cui i personaggi dei suoi romanzi sono profondi interpreti. Ma lei, scrivendo, ambisce a costruire grandi e solide cattedrali, ombrose e piene di luce al tempo stesso: destinate ad ospitare lettori per molto tempo ancora.

Intorno al 1971 Elsa definendo "romanzo e autobiografia" Il mondo salvato dai ragazzini (una raccolta di opere poetiche più Commedia chimica del 1968) dedicato al giovane poeta Bill Morrow morto suicida proprio durante l'importante e intensa relazione d'amore con lei, afferma di aver voluto raccontare "non un seguito di fatti particolari o personali, ma l'avventura disperata di una coscienza che tende, nel suo processo, a identificarsi con tutti gli altri esseri viventi della terra" (Bernabò, p. 167).

L'opera di Elsa Morante è stata per lei e vuole essere per chi la legge una "esperienza totale", rivolta a chi, non più spaventato dalle crisi, sia disposto a percorrere interamente, con tutto se stesso, i luoghi misteriosi dell'Ade più profonda, in compagnia dei suoi tormentati (dalla realtà storica o dalle proprie angosce) personaggi. Sia disposto a sortirne fuori ripulito e più cosciente della necessità di integrazione tra opposti e della profonda interconnessione che lega tutti gli esseri viventi.

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