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“Siamo la forza del mondo”

“Siamo la forza del mondo”

Nodi e snodi/1 - Tra Punto G e Se Non Ora Quando, una stagione di protagonismo delle donne. Intervista a Rosangela Pesenti

Bartolini Tiziana Lunedi, 12/09/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2011

“Quella che stiamo vivendo è crisi di sistema in cui deflagra l’incompatibilità tra l’economia capitalista e l’ambiente, in cui il modo capitalista di produzione regolato unicamente dal mercato è in rotta di collisione con l’economia della riproduzione”. Rosangela Pesenti, mente raffinata del femminismo italiano, affida a ‘noidonne’ alcune riflessioni che scaturiscono dall’aver vissuto personalmente sia il Punto G di Genova sia il nuovo movimento - Se Non Ora Quando - che ha preso il via dalle piazze del 13 febbraio e si è poi confermato con l’appuntamento a Siena di luglio.



Parlaci del Punto G 2011. Quali sono stati i temi e il senso dell’incontro?

Ho partecipato al decennale del G8 delle donne, il Punto G, a Genova per tante ragioni. In particolare c’era bisogno di raccogliere le questioni sottolineate allora: si disse che sarebbe arrivata la crisi del capitalismo e che non avrebbe investito solo i paesi occidentali e l’Italia, ma tutto il mondo. Così è, come vediamo.

Il capitalismo è in crisi perché ha raggiunto le sue ultime frontiere: il totale sfruttamento dell’ambiente ai fini di produzione della cosiddetta ricchezza e il totale asservimento dei bisogni al mercato attraverso la colonizzazione delle coscienze si stanno dimostrando incompatibili col suo stesso sviluppo. L’alienazione umana e la distruzione dell’ambiente bruciano la ricchezza e l’andamento dei mercati finanziari non è altro che il sintomo visibile di un sistema che mangia le sue stesse condizioni di sopravvivenza, cioè l’esistenza umana.

In questo la condizione delle donne è cruciale perché si occupano di quell’economia della riproduzione che viene costantemente cancellata, deformata, mortificata dallo stesso pensiero economico. La riproduzione della specie, cioè la nascita e crescita di bambine e bambini è il primo “bene” comune, se vogliamo usare una locuzione di moda, il fondamento di ogni cosa.

Non è un caso che contro le donne si scatenino i fondamentalismi religiosi, uno dei temi affrontati con grande chiarezza dalle donne straniere a Genova.

Produzione e riproduzione sono due snodi non ancora affrontati con l’attenzione che l’attuale situazione richiede.

Mettere al mondo bambini e bambine, crescerli, trasmettere cultura, pulire il mondo, renderlo abitabile, cucinare, assistere gli anziani, la sanità, la pubblica amministrazione, la scuola… tutto questo fa parte dell’economia della riproduzione che non può essere assoggettata al mercato e non può MAI essere regolata dal profitto.

Penso che le merci che produciamo vadano commisurate con la specie umana e con la sopravvivenza della specie umana sulla terra e non con le logiche del mercato. Non si può produrre qualsiasi cosa a qualsiasi costo. Questa è una questione che investe il lavoro, inteso anche nella relazione tra salario e orario. È arrivato il momento di portare a maggiore visibilità le donne della vita quotidiana, quelle che non sono mai visibili, quelle che in Italia non hanno mai goduto dei loro diritti. Ricordo che quell’articolo 3 della Costituzione che fece scrivere Teresa Mattei, la più giovane delle costituenti, dice che la Repubblica si impegna a rimuovere di fatto le cause che impediscono le libertà dell’individuo e la giustizia sociale, ricordo però che abbiamo dietro di noi generazioni di donne per le quali quelle ingiustizie non sono state mai rimosse. Sentivo di voler portare a Punto G la voce della storia da cui provengo: delle lavandaie, delle stiratrici, delle domestiche, delle sarte ... perché io sono anche la figlia della serva. Quando facevo la cameriera durante l’università mia madre mi diceva ‘ricordati che se non ti pagano i contributi sempre serva rimani, anche se ti chiamano colf’.

Una riflessione che è dentro la storia del femminismo come pensiero e pratica politica: una lunga storia ancora esclusa dalla trasmissione scolastica.



Che valore dai tu alla parola inclusività, oggi molto usata?

Dire che inclusività significa discutere con tutte e tutti senza preclusioni è perfino banale. Inclusione dove? La questione per me resta sempre quella delle condizioni che consentono a tutte di esistere e rendere visibile il proprio pensiero sulla vita. In una società ancora profondamente sessista e che non ha mai smesso di essere classista, per non dire razzista e omofoba come la nostra, l’inclusione è una parola che richiede di pensare alle procedure e ai contesti. Dentro il movimento delle donne richiede patti chiari.

Le donne della destra che si sono esposte il 13 febbraio e a Siena hanno probabilmente sperimentato l’esclusione che la borghesia liberale ancora riserva alla parte femminile della popolazione e chiedono a gran voce la parità, il 50&50 della rappresentanza democratica. In questo la trasversalità tra destra e sinistra è nei fatti e il patto tra donne è possibile e auspicabile, ma a me non basta.

Voglio discutere i contenuti della politica a cominciare dalle questioni che la crisi ci presenta come urgenza e che richiedono un giudizio sulle scelte operate nel passato e sull’intera classe politica.

Conosciamo i dati dell’esclusione e marginalità delle donne, ma ognuna di noi sa che senza il silenzio, la complicità, l’avallo delle donne niente si muove nel mondo.

E ognuna di noi sa quando e come donne cancellano donne.

Senza memoria storica, senza il riconoscimento delle donne che hanno lottato prima di noi, senza la conoscenza del come sono andate le cose, senza quell’attenzione che pure riserviamo alla storia e al pensiero degli uomini, rischiamo di fermarci agli slogans e soprattutto di impedire la comunicazione tra le generazioni di donne.

L’inclusione richiede in questo momento la lotta per il ripristino di tutte le procedure democratiche, nelle istituzioni come nelle associazioni, l’elaborazione di proposte per migliorare le condizioni di vita delle donne, la generosità di partire da sé e guardare a tutte, l’onestà di dichiarare dove si vuole andare. La cooptazione ad esempio non può essere considerata una procedura democratica.



Dopo il Punto G che ci sarà?

La rivista Marea organizza il terzo seminario a Caranzano. Quest’anno il tema è il rapporto madri e figlie. È importante che queste riviste - ‘Marea’ come ‘noidonne’, ‘Il paese delle donne’ e altre -tengano aperto il dibattito sulla cultura delle donne. Hanno saputo fare rete e hanno dato voce anche a donne come me. Grazie anche a questi spazi abbiamo resistito ai tentativi dei media di manipolare il femminismo. È ricorrente il tentativo di impedire la trasmissione del femminismo tra le generazioni di donne: è accaduto anche negli anni ’80, ma mi sembra evidente che è impossibile perché si tratta di pensieri che nascono dalla realtà, dai vissuti concreti delle donne. Perché ogni donna ad un certo punto si guarda intorno e si chiede cosa è successo prima di lei e ritrova il filo delle storie che non possono esser cancellate.

Punto G è stata anche un’occasione di riflessione per molte donne che vogliono rimettersi in movimento e per questo hanno aderito a Se non ora quando.

Qui a Siena il riconoscimento che ha avuto una donna come Lidia Menapace è significativo (standing ovation e applausi spontanei della intera piazza, ndr), un riconoscimento alla sua storia che dovrebbe includere anche la sua capacità teorica.

Penso che sia l’unica teorica che ha rinnovato l’economia e anche il marxismo sulla scia di Rosa Luxemburg. A Genova l’interlocuzione tra Lidia Menapace, Susanna Camusso, Lia Masi e Luisa Morgantini è stato il momento culminante per tutte noi, perché loro sono la nostra storia.



C’è un filone di studio che stai approfondendo in questo momento?

Sto lavorando a una tesi di dottorato sulla casa come luogo centrale della sopravvivenza umana a gestione femminile e linguaggio materiale che struttura le relazioni tra i generi e le generazioni.

Continuo a lavorare sull’economia della riproduzione, la trasmissione dei saperi e in particolare sulle complicità delle donne nel mantenimento delle condizioni che ci danneggiano tutte e tutti. Penso che gli uomini non potrebbero avere questo potere senza la complicità delle donne. Dobbiamo avere il coraggio di dire, ad esempio, che al nord il casalingato di lusso è il sostegno dell’economia criminale e dell’evasione fiscale. Le donne non possono far finta di non sapere.



Al Se Non Ora Quando cosa vorresti dire, a partire dalla piazza di Siena?

A Siena hanno parlato anche molte donne cosiddette sconosciute, che infatti i media non hanno ripreso: sono loro, siamo noi il cuore e la forza del movimento.Vorrei dire perciò alle donne che occupano posti socialmente prestigiosi (in politica, nelle università, nello spettacolo) di tenerne conto. Vorrei anche fosse cancellata la parola merito per ripristinare la parola diritto.

Il merito viene rispolverato quando si vuole attivare una selezione perché il meccanismo economico non consente l’inclusione di tutte (e tutti), perché vi sono più talenti e competenze di quante ne richieda il mercato.

Nessuna ha merito di niente finché le donne non hanno diritti, finché l’ingiustizia è sovrana. Dico questo pensando a due donne (una è cittadina italiana senza cittadinanza con cinque figli e non può votare; l’altra fa le pulizie in una cooperativa, la stanno massacrando e nonostante tutto a 40 anni ha ricominciato a studiare). Se non stiamo con loro, se non abbiamo la loro fiducia non andiamo da nessun parte.

Chiamo queste donne ad essere accanto a noi, ad uscire dalla complicità col maschile tanto nel livello privato (a casa e nelle imprese) che nel pubblico (nei partiti ad esempio). Le donne dei partiti, tutte, se vogliono essere qui possono agire il loro potere e usare la nostra forza con un patto chiaro sulle mete comuni.

Siamo in grado di aprire un tavolo paritario che tenga conto delle storie di ognuna su ciò che non condividiamo? Questo sarebbe un grande mutamento di rotta.



È una fase importante per il femminile. Tra la parola opportunità e responsabilità, quale scegli per le donne italiane, oggi?


Sono due parole inscindibili se vogliamo praticare la democrazia. La responsabilitàè il fondamento dell’autodeterminazione, dell’appartenenza a sé che rappresenta il principio della politica democratica, ma senza pari opportunità la democrazia è un guscio vuoto.

Chiunque persegua solo le proprie opportunità senza accedere alla responsabilità del suo essere nel mondo costituzionalmente legato agli altri, finisce col distruggere ciò che vorrebbe costruire.

Le donne hanno storicamente percorso l’esperienza della responsabilità, ora è tempo di affermare l’opportunità di rendere quest’esperienza operante nella politica, cioè nel vivere comune.

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