Tempo fa pubblicai in questa sezione del sito alcune considerazioni dal titolo “Se la poesia diventa prostituta. O viceversa”, prendendo spunto da un articolo di Claudio Di Scalzo, “Su Poetry Slam. Facciamo della poesia la più bella puttana (escòrt) che ci sia. Prima che sia mòrt”, uscito sul sito web www.tellusfolio.it. Navigando in internet scopro che quel mio articolo ha fatto arrabbiare Di Scalzo, che mi ha risposto per le rime (trattandosi di poesia) con un altro articolo, sempre su Tellusfolio. Sono rimasto stupito perché il mio scritto non voleva essere né contrario al pensiero di Di Scalzo – voleva essere una riflessione a margine – né tantomeno offensivo nei suoi confronti. Evidentemente non sono stato capito, tanto che il Nostro ha preferito spostare il confronto dal piano delle idee sulla poesia e sulla letteratura, a quello dell’insulto personale, fino ad arrivare alla minaccia, intimandomi di non occuparmi più di lui, in quanto “non è sempre Natale”. Credo che il malinteso sia nato proprio da questo, Di Scalzo è convinto che il mio articolo si occupasse di lui, invece si occupava del Poetry Slam di Milano e di poesia. Poiché nella sua replica non v’è traccia dei contenuti del mio scritto, è probabile che Di Scalzo abbia letto solo l’ultimo capoverso nel quale riferivo di una certa scarsa accuratezza di scrittura: è un’impressione confermata, anche senza la necessità di prendere la penna rossa segnalando, che so, che György Lukács si scrive con l’accento, che il cognome di Nilde era Iotti e non Jotti come lei stessa soleva precisare, che è buona norma editoriale citare autori e personaggi con nome e cognome, magari senza storpiarli, e altre piccole cose. Emerge una scrittura fatta di frasi spezzettate, a effetto catodico, che sembra ignorare l’esistenza di virgole e punti e virgola: “Progetto sacrosanto. Approvo. Caldeggio.” e più oltre: “L’insegnamento ci viene dalla TV, dalla pubblicità. Dalle televendite! Il mio ragionamento giustifica il titolo. Perché secondo me […]” dove un’unica frase viene continuamente spezzata da punti che costringono il lettore a tornare indietro per essere sicuro di aver colto il senso; insomma quella trascuratezza contro la quale già si scagliava Italo Calvino nel saggio delle Lezioni Americane dedicato all’esattezza, tanto più grave in uno che sostiene di giocare con i poeti come il gatto con i topi.
Scopro inoltre, dalla sua risposta, di essere “comunista”. Pur non riuscendo a comprendere da dove provenga la sua ferrea convinzione in merito alla mie idee politiche, tengo solo a precisare che, per ora e finché non ce lo imporranno per legge, essere chiamato comunista non è un insulto (escòrt e dare del comunista come offesa a chi sta antipatico vanno di moda di questi tempi). Se poi uno preferisce proiettili e sprangate in luogo di parole e dialogo è affar suo ed eventualmente della Procura della Repubblica; in ogni caso tutto ciò non ha alcuna attinenza con la poesia e il Poetry Slam.
Rendo conto di questa diatriba da riunione condominiale in quanto Di Scalzo non si limita ad attaccare il sottoscritto, ma di rimbalzo le poetesse delle quali ho avuto occasione di occuparmi sulle pagine di Noidonne, definendole in blocco “mufloni in calore” e “uteri con dentro volpi e acqua più o meno muta.” Poiché è costume mio e di Noidonne ospitare il confronto e lo scambio di idee, accogliere critiche e suggerimenti, offro l’opportunità alle lettrici e ai lettori di Noidonne di leggere di persona gli insulti di Claudio Di Scalzo, ringraziandolo, oltre che per le consulenze grammaticali che mi invitano a una maggiore attenzione, anche per la bella foto di Nilde Iotti che con lo “striminzito” (sic, la definizione è sempre Di Scalzo) Noidonne, ovviamente cartaceo, ebbe occasione di collaborare a partire dal 1947. Ecco l’articolo di Di Scalzo:
Sempre su Tellusfolio scopro di aver fatto arrabbiare anche Chiara Daino che è stata fra le poetesse che hanno letto al Poetry Slam di Milano. Al contrario di Di Scalzo, la Daino entra nel merito delle questioni poetiche e letterarie sollevate nel mio articolo. Molto di quello che dice è condivisibile, soprattutto quando mi chiede una maggior “critica costruttiva”, accusandomi, come peraltro io stesso avevo ammesso, di parlare e giudicare senza aver assistito allo Slam. Ho fatto una supposizione sulla base della mia conoscenza delle poetiche dei partecipanti, sicuramente parziale e approssimativa, e ho sbagliato. Chiara Daino ha ragione a dire, inoltre, che occupandomi di quella manifestazione avrei dovuto almeno seguire i dibattiti e gli approfondimenti successivi. Le sue riflessioni sulla differenza fra “il venir fuori” e “l’incidere dentro” toccano una questione fondamentale nel dibattito sulla poesia contemporanea che meriterebbe di essere ancora approfondita. Ritengo anche io, come la Daino, che la poesia debba abbeverarsi di luce, anche se i miei testi, come lei rileva, spesso abitano “stanzette” d’ombra. Nutro qualche dubbio, tuttavia, che tale luce possa provenire da certe esasperate esposizioni mediatiche che sostituiscono alla poetica la visibilità. Il criterio della visibilità è finito per diventare l’elemento determinate nella valutazione della poesia, tanto che un’antologia della poesia del secondo Novecento, pubblicata nei Meridiani Mondadori, ha adottato come unico criterio di scelta degli autori antologizzati quello di “aver pubblicato con un editore a diffusione nazionale”, cioè di essere diventati ‘visibili’, indipendentemente dalla qualità dei versi o da quella capacità di “incidere dentro” che richiamava la poetessa.
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