Venerdi, 20/06/2025 - A seguito del ricorso del Sostituto Procuratore di Milano, la Suprema Corte ha disposto un processo d'appello bis per un ex sindacalista, accusato di violenza sessuale ai danni di una assistente di volo e che, nei primi due gradi di giudizio, era stato assolto perchè, a parere dei giudici, la donna “in trenta secondi” avrebbe potuto opporsi. Nel caso specifico, la vittima si era rivolta all'imputato per assistenza su una vertenza per mobbing sul lavoro, recandosi presso l'ufficio a ciò preposto, all'interno dell'aereoporto di Malpensa ma, ivi giunta, il sindacalista aveva iniziato a palpeggiarla. La Corte d'appello di Milano, a conferma di quanto statuito dal Tribunale di Busto Arsizio, aveva sostenuto che i “comportamenti” dell'imputato ( che i P.M. avevano, a ragione, denominato abusi sessuali!), non erano stati tali “ da porre la persona offesa in una situazione di assoluta impossibilità di sottrarsi alla condotta” in quanto in “quei 20-30 secondi”, le avrebbero senz'altro consentito di potersi dileguare. Si legge nelle motivazioni depositate dalla Cassazione – a seguito dell'accoglimento del ricorso della Procura Generale con cui si è disposto il processo d'appello bis – che i giudici dei due precedenti gradi “ hanno immaginato che la durata del contatto escludesse l'insidiosità del gesto e comportasse la necessità della violenza, della minaccia e dell'abuso dell'autorità per pronunciare la condanna”. Eppure, aggiungo, in primo e in secondo grado, è stato cristallizzato l'evento che ha portato la donna alla denuncia: durante l'incontro l'imputato aveva chiuso la porta della stanza e, posizionatosi alle spalle della vittima, aveva iniziato a palpeggiarle il seno per poi infilare le mani dentro le mutandine. La donna si era ribellata urlando e scappando. Per gli ermellini, il tempo che la parte offesa impiega per reagire non dovrebbe servire per stabilire se si tratta o meno di violenza. Il ritardo nella manifestazione del dissenso è irrilevante ai fini della configurazione della violenza sessuale. La “sorpresa” di fronte all'abuso, per la Cassazione, può essere tale da porre la vittima nella “impossibilità di difendersi”; “ lo sfioramento o il toccamento repentino e insidioso integrano sempre la fattispecie della violenza sessuale”. Non è, dunque, la vittima a dover dimostrare di essersi opposta alla violenza ma è chi agisce che deve essere certo che vi sia un chiaro e libero consenso. Tutti i reati sessuali rappresentano una violazione dell'integrità psico-fisica della vittima, oltre che della sua autonomia sessuale.
Lascia un Commento