Società/ Un progetto per l'Africa - “Restare in Italia? No, grazie, torno per aiutare il mio Paese”. Il progetto dell’Udi contro le mutilazioni genitali punta su donne come Fatouma
Giulia Custodi Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2005
“Voglio tornare in Mali per aiutare le donne che hanno problemi in famiglia e non osano ribellarsi, perché succubi o economicamente dipendenti. Bisogna farle parlare delle violenze che subiscono, insegnar loro a non avere paura e poi aiutarle a trovare un lavoro per poter eventualmente divorziare senza essere costrette a tornare dai genitori”. Fatouma Guiré, 30 anni, è laureata un giurisprudenza in Mali (Africa occidentale). Da quattro è in Europa, e da tre in Italia, vive a Napoli e grazie ad alcuni amici, lavora come colf presso una famiglia, ma ha tanta voglia di tornare nel Mali. ‘Scommettiamo con Fatou’ è il progetto contro le mutilazioni genitali presentato a Roma in occasione del 60° anniversario dell’Udi. Fatouma, con l’aiuto dei fondi che l’UDI sta raccogliendo, potrebbe tornare in Mali per portare un aiuto più consistente alle tante donne che laggiù purtroppo, per ignoranza o tradizione, ancora praticano e subiscono le mutilazioni genitali femminili.
Qual è l’obiettivo prioritario di questo progetto?
Per il momento preferisco non entrare nello specifico, anche perché ancora non è stata stabilita una data per il mio ritorno né è stato stabilito un “piano preciso”, però so per certo che tornando in Mali si potrebbero mettere in campo tanti microprogetti, per esempio un’associazione di donne per un centro di consulenza legale a loro rivolto. Non sarà facile e una cosa è certa: occorre una forte determinazione. Quello che mi spinge a provarci è il fatto che molte donne della mia generazione non vorrebbero mai fare alle loro figlie quello che le madri hanno fatto a loro. Questo, se si è unite e si supera l’abitudine alla sottomissione, e col supporto di una consulenza legale, è un forte incentivo a provare a cambiare le cose. Fondamentale è che la gente capisca che le mutilazioni sono solo un retaggio del passato, non bastano le leggi -molte donne vivono facendo questo mestiere e in teoria per legge si troverebbero disoccupate- e allora un altro obiettivo deve essere trovare un’alternativa di lavoro a queste donne”.
Partiamo dall’inizio: come mai hai deciso di lasciare il tuo paese per venire in Europa? E quali problemi hai incontrato una volta qui?
Una volta laureata in giurisprudenza, in Mali come anche qui da voi, per diventare avvocato avrei dovuto superare un concorso, che però non veniva indetto da anni né c’erano garanzie che venisse indetto di nuovo, e senza di esso la mia laurea non valeva niente. Così quattro anni fa ho deciso di andare in Francia, a Parigi, perché volevo iscrivermi ad un corso post-laurea in diritto del lavoro e sicurezza sociale, una specializzazione che mi avrebbe permesso di diventare avvocato senza passare per il concorso. Però, per iscrivermi al corso, sono dovuta prima partire con un visto per turismo poi, una volta certa di essere stata iscritta, sarei dovuta tornare in Mali per ottenere un visto per studio. Ma a quel punto, se tornavo in Mali, non avevo nessuna garanzia che mi avrebbero concesso il visto, e poi nel frattempo avevo finito i soldi e non me la sentivo di tornare a casa a mani vuote, il solo pensiero mi riempiva di vergogna, non potevo permettermi nemmeno il biglietto aereo!
Non potevi chiedere i soldi alla tua famiglia?
No, non volevo, un po’ per orgoglio un po’ perché i rapporti con i miei non erano dei migliori, per anni non ho perdonato loro l’avermi costretta a subire l’escissione, una pratica barbara, figlia di un’antica tradizione che fa fatica a morire, perfino tra i ceti più elevati, anche se è molto più diffusa in campagna, tra la gente povera che non ha studiato. Molte donne praticano questa “professione”, diciamo così, senza sapere nemmeno che è vietata per legge.
Tua madre era ostetrica, ora in pensione, e tuo padre un impiegato delle finanze, quindi non era per ignoranza che tu e le tue sorelle subiste questa pratica, ma per il legame stretto con la tradizione, giusto?
Esatto, fu mio padre, per la precisione, a decidere che io e le mie sorelle subissimo l’escissione, mia madre in principio non era d’accordo, ma mio padre, di origini contadine, con un attaccamento fortissimo alla tradizione, impose la sua volontà, e lei infine ci accompagnò da una collega, ci lasciò sole con lei, che eseguì la pratica senza anestesia. Non potrò mai dimenticare il dolore che ho provato la prima volta che ho orinato, dopo la mutilazione. Mia madre mi ha chiesto di perdonarla, ma io sono ancora arrabbiata, lo sarò sempre. Per questo voglio tornare in Mali, per essere d’aiuto, anche con la mia competenza legale, a tante più donne possibile, mentre se rimango qui in Italia, per me non c’è futuro, né prospettiva di crescita, non conoscendo bene la lingua, non potendo esercitare la mia professione, mi sento in un certo senso ancora mutilata, poi Napoli è una realtà difficile da vivere per noi immigrati, c’è ancora tanto razzismo e tanta ignoranza…
Però fu proprio a Napoli, quasi tre anni e mezzo fa, che sei venuta a contatto con l’UDI, in quale occasione?
Mi trovavo ad una manifestazione dell’AIDOS, intervenni per parlare delle mutilazioni genitali femminili nel mio paese e fu lì che conobbi Pina Nuzzo. In quell’occasione il mio sogno di tornare in Mali, fino ad allora irrealizzabile, divenne possibile e, con l’aiuto dell’Udi, è sempre più vicino il giorno in cui potrò realizzare questo progetto.
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