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“Perché andrò a votare”

“Perché andrò a votare”

Intervista alla Senatrice Albertina Soliani - “Le mie convinzioni poggiano sul principio biblico ‘crescete e moltiplicatevi e assoggettate la terra’ e queste indicazioni comprendono il progresso scientifico e tecnologico”

Bartolini Tiziana Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2005

“Andrò a votare perché i temi in questione richiedono l’attenzione e il coinvolgimento di ciascuno, al di là dei propri singoli bisogni o interessi. Io ad esempio non ricorrerei alla fecondazione assistita, ma so che altri potrebbero ricorrervi e non posso astenermi dall’esprimere, con il voto, il mio punto di vista”. Albertina Soliani, Senatrice della Margherita, votò contro la legge 40. Oggi esprime il suo sentire come donna nella politica e come cattolica. “Le mie convinzioni poggiano sul principio biblico ‘crescete e moltiplicatevi e assoggettate la terra’ e queste indicazioni comprendono il progresso scientifico e tecnologico. Dunque, disertare le urne il 12 e 13 giugno significa abdicare alla scelta (con un sì o con un no), negarsi la possibilità e il dovere di affrontare le cose, avere paura dell’evoluzione delle cose. Non esito a dire che la legge 40 è stato il frutto avvelenato di una stagione oscura dove c’era e c’è più ideologia che laicità, più attenzione ai calcoli politici per incamerare consensi che alle dimensioni etico-sociali dei problemi in campo. Ne è nata una legge sbagliata che va cambiata.”
I cattolici, in prevalenza tra i promotori dell’astensione, rivendicano la libertà di sostenere questa posizione ...
L’astensione è legittima, ma è una rinuncia ad assumere una responsabilità più piena, quasi un salvarsi l’anima. Ma non basta salvarsi l’anima nella storia. Quando vi sono fondamentali problematiche in campo che coinvolgono valori, etica, scienza, comportamenti, non ci si può rifugiare in un espediente, quale quello dell’astensione. E’ sempre indispensabile il confronto tra idee diverse, nel Parlamento e nella società. E’ necessaria la partecipazione.
Mi pare che la sua sollecitazione al voto sia densa di significati che vanno ben oltre il desiderio di vincere la battaglia referendaria. Perché ?
Siamo in un periodo buio che mi impone di esprimere una condanna senza appello per un Parlamento che si è dimostrato inadeguato. Non ci fu alcuna possibilità di confronto e il contesto in cui la legge fu approvata fu di assoluta irresponsabilità politica e morale. Prevalse l’opportunismo di politici e partiti che hanno tenuto presenti più le logiche di scambio che la possibile mediazione nel merito. E poi era vicino un turno elettorale importante, le elezioni europee. Oggi ne abbiamo la prova con mutamenti di posizioni sorprendenti. In questo senso la posizione di Fini non mi stupisce, semmai è la conferma di atteggiamenti dettati di volta in volta da convenienze politiche. Al contrario, il Parlamento deve svolgere un ruolo determinante in scelte che hanno a che fare con la molteplicità delle opzioni etiche e culturali di un paese plurale. Deve interrogarsi su come “applicare” i principi nella costruzione di buone leggi. Occorre maturare un approccio, un metodo valido e corretto per affrontare questi e altri temi eticamente e culturalmente sensibili. Anche per queste ragioni gli italiani devono mandare nel referendum un messaggio al Parlamento che dovrà tornare ad occuparsi della legge. Il metodo, oltre al merito delle questioni, è di straordinaria importanza. Tutti questi elementi, indirettamente, stanno dentro i quesiti referendari ed è anche per questa complessità che il referendum costituisce uno strumento parziale, non adeguato.
Lei votò contro la legge sulla Procreazione medicalmente assistita. Perché?
Ho lavorato perché il Parlamento desse la migliore risposta possibile alla società italiana e ho sostenuto, come seconda firmataria, la proposta Amato. Il voto blindato della maggioranza ha prodotto una legge irrazionale, contraddittoria, inagibile. Una legge in questa materia deve affermare la dignità dell’embrione e la dignità della donna, l’importanza delle strutture pubbliche e tutte le responsabilità coinvolte: della donna, della coppia, dei medici, della ricerca.
Lei, dunque voterà Sì?
Sui primi tre quesiti non ho dubbi, perché sono in linea con quanto ho sostenuto nel corso del dibattito parlamentare sui principi di pluralità e laicità. Sulla fecondazione eterologa mi sto interrogando e non ho ancora sciolto i dubbi che chiamano in causa la vita dell’altro. Sento il senso del limite, che ci devono essere paletti. Il mio eventuale no sarebbe un orientamento al Parlamento perché tenga conto di chi nasce e delle sue primarie relazioni familiari.
Si interroga da laica o da cattolica?
Da laica cattolica. Il solo fatto che ci sia una legge significa che siamo già su un piano di mediazione. La laicità è una grande conquista del Novecento, la dimensione in cui Chiesa e mondo, Chiesa e democrazia si sono incontrate. Trovare valori condivisi per fondare la civile convivenza: questo è un grandissimo impegno dei cristiani oggi e questo avviene ed è avvenuto con una negoziazione continua, anche delle leggi, che sono sempre scelte parziali. Nelle norme bisogna assumere i principi di necessità, di gradualità, di opportunità, cioè esattamente il contrario delle semplificazioni che oggi vengono proposte. Io credo che questi temi debbano essere sottratti all’uso improprio di governi e di maggioranze.
Non basta la libertà di coscienza?
No, non basta. Quello che è in gioco è qualcosa di molto più alto e complesso. E’ necessario trovare delle mediazioni parlamentari. La lettura di quello che è accaduto nelle settimane scorse nella Margherita può essere messo in parallelo alla vicenda dei referendum. Da una parte la Margherita rivendica uno spazio di autonomia, dall’altra la Cei non dà solo l’indicazione, ma organizza fortemente l’astensione. Trovo le due cose quasi sovrapponibili. Non importano le scelte individuali, è il messaggio politico che ha un peso non trascurabile. C’è un tentativo di distinguersi, di evitare il dialogo con chi la pensa diversamente, anche all’interno dell’Ulivo, che preoccupa.
Secondo Lei in questi temi c’è una differenza tra centrodestra e centrosinistra?
Si. Sulla tensione morale, sulla capacità di visione del mondo e della società. Il centrosinistra deve favorire un grande risveglio culturale, un altro clima politico. Per questo i giochi di posizionamento interni alla Margherita di questi giorni sono totalmente al di sotto della sfida. E’ come se si volesse rinunciare ad assumersi la responsabilità del confronto e dell’incontro, a sporcarsi le mani. In questo contesto opaco è evidente che la cultura politica si dimostra inadeguata ad affrontare problematiche etico-antropoligiche in un quadro di pluralismo etico-antropologico. Dobbiamo rivendicare questo approccio per l’Ulivo e per l’Unione, luoghi di incontro ed elaborazione politica e culturale. Bisogna avere il coraggio di lavorare su un terreno di ricerca. Occorre avere una grande attenzione per la scienza, sapendo che non tutto ciò che è possibile è moralmente accettabile, ragionando sul senso del limite e della non autoreferenzialità. Insomma c’è bisogno di evitare le semplificazioni, di rivendicare spazi di maggiore dialettica, di interrogarci sulla libertà, sui suoi rischi su cosa significa assumere responsabilità. Le scelte devono essere frutto di riflessioni e non di atteggiamenti dogmatici da teocon.
Come la mettiamo con i rischi di trovarsi in situazioni sconosciute e difficili?
La scelta responsabile, sia pure con tutto il senso del limite, è dentro la libertà. Quindi contiene anche il rischio, ma è un principio umano fondamentale che nessuno può cancellare. Il non voto non mette al riparo da questo. Si può aiutare l’uomo difendendo i principi e aiutando la democrazia a crescere e non a rattrappirsi, perché la democrazia è lo spazio più avanzato per la vita e la libertà dell’uomo.
Perché questi referendum interesserebbero soprattutto le donne?
Attraverso la scelta del voto la coscienza delle donne aumenta, per questo deve essere espressa e non rifugiarsi nell’astensione. Del resto questo passaggio è una ulteriore conferma che attraverso la coscienza e il corpo femminile sono passate e passano molte scelte storiche e politiche, e quindi essere presenti. Sta soprattutto nella scelta e nella responsabilità delle donne generare comportamenti sempre più umani e responsabili.
Perché tante espressioni di retroguardia culturale, oggi in Italia?
La bellezza di questo tempo è il mondo globale, che è diventato piccolo. L’umanità è costretta ad un cammino comune che si costruisce con le scelte di tutti i giorni. Anche il 12 e 13 giugno è un piccolo passo su questa strada. Non dobbiamo avere paura. Il relativismo cristiano dice: ‘bisogna leggere tutte le cose in relazione al momento in cui la storia verrà giudicata’. Noi dobbiamo vedere le relazioni che ci sono oggi intorno a questa materia con la cultura delle donne e con la cultura politica, è la mediazione necessaria, oserei dire l’incarnazione, nella storia. Dobbiamo apprezzare il valore di ognuno, trovare il terreno comune e fermentarci a vicenda.
Cosa può fare la politica?
La politica è stata trascinata in basso con questa vicenda, invece ha un grande valore quando riesce far esprimere le menti ed il sentire. L’attenzione deve essere concentrata sui principi ma anche sulle regole, che sono un principio, che sono fondamentali perché i principi non siano travolti. La regola è lo spazio della laicità e i cristiani non possono ritirarsi di fronte alla necessità di trovare soluzioni condivise nella consapevolezza che una legge non può racchiudere tutti i principi, perché la legge è un passaggio. Di recente il cardinal Martini a Milano ha parlato del relativismo cristiano e del formarsi della responsabilità in un contesto vero come quello odierno che consente spazi sempre più larghi di libertà. La Chiesa può aiutare il formarsi della responsabilità proclamando e testimoniando i valori, non usandoli, ma illuminando le coscienze e affidando alla responsabilità dei laici sul piano politico la scelta degli strumenti più opportuni in quel momento e in quel contesto. Abbiamo davanti a noi frontiere molto grandi, che richiedono di combattere sia l’indifferenza etica che l’uso politico dei valori. C’è tutto uno spazio di ricerca, cultura, responsabilità e libertà che dovrebbero per primi i cristiani e i laici impegnati in politica scegliere come dimensione della crescita costante delle persone e della società. Su questa strada la ricerca tra credenti e non credenti, persone di diverse religioni e culture, è la strada obbligata per il futuro dell’umana pacifica convivenza.

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