Otto marzo / 1 - A cento anni dal primo otto marzo, una ricognizione in giro per il mondo sulle violenze che ancora dominano i rapporti tra uomini e donne. E se va male a noi ‘emancipate’, figuriamoci alle altre…
Giancarla Codrignani Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2008
I secoli passano. Per definizione. La constatazione postuma delle scadenze secolari serve a misurare i percorsi. Che non sono mai lineari, mai facili, mai all'altezza non solo delle aspettative di un tempo (o di oggi) – anche perché spesso le donne non si aspettano niente - ma anche delle fatiche e
dei dolori.
Le cronache dei media hanno parlato, attualmente, anche se poco e male, delle traversie post-elettorali e della violenza in Congo. Sul portale internet Corresponsal de Medio Oriente e Africa - tradotto su Adista del 22 dicembre con il titolo Cronache dall'inferno - troviamo informazioni sulla
condizione delle donne congolesi. Secondo le Nazioni Unite solo nel Sud Kivu si sono registrate nell'ultimo anno non meno di 26.000 violenze sessuali e il vicesegretario per gli affari umanitari afferma che "la violenza sessuale nel Congo è la peggiore del mondo: per quantità, brutalità indiscriminata e cultura dell'impunità risulta devastante". Il ginecologo Denis Mukwege confessa che "non ce la fa più ad ascoltare le storie delle sue pazienti. Ogni giorno dieci donne e bambine violentate arrivano al suo ospedale: molte hanno sofferto violenze così selvagge, anche con baionette e bastoni, che i loro apparati riproduttivi e digestivi nonpossono essere salvati. I letti sono pieni di donne che devono coricarsi supine a motivo delle sacche intestinali che sono state loro applicate per i danni interni subiti. Alcune delle bambine dalle viscere distrutte sono così giovani che non capiscono che cosa sia loro successo". C'è guerra e crisi politica ed etnica, ma il paese non è selvaggio: ha ospedali modesti, ma attrezzati, ci sono le università che preparano i medici, ci sono i cooperanti internazionali, c'è perfino meno povertà che in altre regioni, ma ribelli e miliziani imperversano. Può darsi che abbiano subito alterazioni della personalità dopo le violenze del Rwanda; comunque la pazzia o l'odio etnico o politico si sfogano sul corpo delle donne in forme crudeli che "vanno oltre il conflitto". Ci ricordiamo del Kosovo, quando per la prima volta le donne hanno denunciato le pratiche sessuali di guerra riservate al genere femminile.
In Uganda, come in molti altri paesi africani, imperversa l'aids: ci sono ragazze violentate da familiari o da estranei che le hanno rese sieropositive, altre che vengono sposate bambine a uomini infetti che le lasciano vedove con figli contagiati, altre che, contagiate dal marito, si ritrovano sole con i loro bambini perché l'irresponsabile se ne è andato. La società, che conosce la minaccia del male, conserva il pregiudizio che colpevolizza sempre le donne: le famiglie le scacciano come disonorate e disonoranti. Maria G. Di Rienzo ("la nonviolenza in cammino" n.1368) ci racconta del "Mama Club", un gruppo femminile ugandese, che offre sostegno psicologico e sociale a madri e incinte sieropositive. Due volte al mese, le donne si incontrano, discutono anche di come guadagnare qualche soldo, ma imparano di aver bisogno di antiretrovirali, a non allattare i loro
piccoli per non trasmettere loro il virus e, soprattutto, si ricordano l'un l'altra che non sono sole. "L'idea principale era di un forum, in cui si potesse parlare di queste situazioni", dice Lydia Mungherera una medica che lavorava in clinica durante gli anni '90 e con piccole donazioni private
fondò il gruppo, per battere l'ignoranza e il pregiudizio. In Uganda – e ovunque - molte donne, quando sono incinte e vanno in ospedale per il test, se risultano positive, ricevono il consiglio di non avere altri figli e di usare il preservativo. "E' più presto detto che fatto", notano al Mama
Club. "Nel nostro paese, una donna non ha il diritto di dire no al sesso o all'avere bambini", "L'uomo è quello che conta. Se vuole fare sesso, protetto o no, è una decisione solo sua". La discriminazione viene anche dai lavoratori della sanità: infermiere ed ostetriche al reparto maternità del Mulago Hospital, la clinica pubblica più grande di Kampala, hanno insultato le pazienti dopo aver saputo che erano sieropositive ed hanno negato loro le cure. Un gruppo di avvocate ugandesi ha tenuto incontri con le donne per informarle sui loro diritti legali rispetto alle proprietà matrimoniali ed al trattamento medico negli ospedali pubblici. Perfino in Uganda il direttore sanitario di Taso, ha tenuto una conferenza pubblica sulla necessità che gli uomini sieropositivi siano più collaborativi con le loro partner, ed ha lanciato l'idea di un "Tata Club" di padri. Con quale risultato non si sa (www.tasouganda.org).
In Italia, i risultati delle inchieste di governo hanno accertato che ogni due giorni una donna viene uccisa in casa e che due milioni 938mila nel 2006 hanno denunciato violenza sessuale o maltrattamenti, mentre sette milioni e mezzo sono le donne che riconoscono di aver subito violenza
sessuale: nel 69% dei casi autore della violenza è il marito o un amico, non uno sconosciuto. La chiesa cattolica (dovremmo dire "le chiese", perché tutte sono sessiste e valorizzano ab origine la discriminazione delle donne), condannando l'aborto in generale, interviene nell'agenda legislativa italiana per limitare la 194. Difficilmente si potrebbe pensare che l'interruzione della gravidanza sia una decisione "etica", ma, siccome non si può immaginare che mettersi i ferri in pancia sia una pratica umanamente indifferente, come mai chi si occupa di morale pubblica, di ducazione e di leggi non pensa che il modo più certo di evitare l'aborto sia seguire il magistero femminile? quando le donne dicono "maternità libera e responsabile" intendono forse pronunciare uno slogan (masochista) di politica femminista per il diritto tout court di aborto? Se non si comprende che il potere del maschio, irresponsabile nel comportamento sessuale più o meno come in Uganda, non consente la libertà femminile nel rapporto, alle donne resta solamente di avere intera l'autonomia di
recuperare la responsabilità di avere figli soggettivamente voluti.
Non abbiamo illusioni sulle chiese governate e composte da soli maschi, che non evangelizzano il proprio genere e condannano la contraccezione e il preservativo. Non ci illudiamo neppure sui politici, non diciamo con riferimento all'on.Mele che si portava in albergo due prostitute e un po'
di coca mentre la moglie era in dolce attesa, e ai colleghi che prontamente chiesero il finanziamento per il soggiorno delle mogli assimilate alle prostitute; nessuna illusione neppure su chi accetta il 50/50. E neppure su noi stesse, visto che c'è chi si è fatta eleggere in quota donna per dimettersi subito a favore della quota maschi.
Otto marzo e non son rose né mimose. Teniamo i piedi così per terra che bisogna che stiamo attente a non scavarci la buca. Da sempre la possibilità di incidere sullo sviluppo delle società non è nelle nostre mani, anche perché abbiamo intrigati i cuori: come donne amiamo i nostri uomini, anche
se egoisti; come cittadine votiamo i leader che stimiamo, anche se non si persuaderanno al nostro linguaggio. Ma c'è molto da fare - ed è questione di politica dei due sessi, non di solo femminismo - perché Hillary vada avanti magari senza Bill sempre alle spalle; perché Anna Finocchiaro possa
ottenere ascolto nelle aule tradizionali della politica con il linguaggio e i contenuti di genere che ben conosce; perché i segretari confederali del sindacato partano dalle donne uccise un secolo fa - non molto diverse dalle precarie di oggi - e dalla minacciata riduzione di un genere ad ammortizzatore sociale.
Se va storta a noi, "fortunate" ed "emancipate", che cosa potrà succedere alle donne in tutti gli altri continenti?
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