“Nello sviluppo sostenibile mettiamoci anche la parità”
Occhio alla parità - “L’indice di crescita di un Paese non può più identificarsi in termini di Pil…” “ma con nuovi stili di vita, con l’allargamento dei diritti, delle opportunità…”
Redazione Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2005
Il concetto di “sviluppo sostenibile” definito da molti, seppure con approcci e proposte diversi, come “sviluppo che garantisce i bisogni del presente senza compromettere le possibilità delle generazioni future” (Rapporto Brundtland 1987), ha assunto un posto di rilievo nella cultura, nella politica sui rapporti tra ambiente e sviluppo, e nell’assumere le dimensioni ecologica, economica e sociale come terreni d’azione inscindibili. In questo contesto non può non starci l’affermazione dei diritti dei soggetti ancora privi di rappresentanza e visibilità, tra questi anche le donne.
Quando si parla di sostenibilità economica è necessario misurare lo sviluppo economico con parametri che riflettano la qualità dell’ambiente in cui viviamo, la qualità della vita e del lavoro, le pari opportunità di crescita tra uomini e donne in ogni pratica organizzativa, sociale ed economica. Così come pure la sostenibilità sociale ha a che fare con l’equità, con i diritti umani e civili, con lo stato dei bambini e delle donne, con l’immigrazione ed altri fattori determinanti per uno sviluppo stabile e duraturo. Non è un caso che, come accade in Italia, si manifestino ancora gravi discrepanze interne tra nord e sud, tra sviluppo e sottosviluppo e discriminazioni nell’accesso alle opportunità di vita tra uomini e donne. L’indice di crescita di un Paese, di una città, di una “società globale”, non può più identificarsi o associarsi con la sola crescita economica in termini di Pil, cioè di consumi che l’effetto serra, la fame, la devastazione dell’ambiente nel mondo dicono non più sostenibile, ma con nuovi stili di vita, con l’allargamento dei diritti, delle opportunità, delle capacità. Quelle che Amartya Sen chiama le libertà sostanziali: il tasso di istruzione, il livello di salute, la buona occupazione, la qualità ambientale e sociale, l’assenza di discriminazioni, il ritorno ad una democrazia piena e partecipata. In questo contesto diventa fondamentale far progredire la “cultura di genere”, ancora arretrata anche in Umbria, verso una società che “includa e non escluda”, che “metta al centro” e “non marginalizzi”, in cui la “sostenibilità di genere” nelle politiche di sviluppo locale durevole sia caratterizzata da obiettivi di reale uguaglianza di opportunità tra donne e uomini come fattore costituivo, e non aggiuntivo.
Bisogna dare corpo alla cultura della “differenza di genere” come valore fondante dello sviluppo sostenibile. Ma è una cultura oggi ancora debole e che per molti aspetti fa dell’Italia uno dei Paesi fanalino di coda in Europa, a partire dalla suddivisione squilibrata fra i sessi nel lavoro di cura all’interno della famiglia.
Raggiungere pari opportunità significa incidere nel contesto in cui le donne agiscono come processo di cambiamento culturale e sociale che deve riguardare uomini e donne insieme. Solo così sarà possibile superare le contraddizioni e le discriminazioni sociali che investono in modo particolare le donne e i loro diritti. Tutto questo in un contesto in cui, mentre la determinazione femminile a stare sul mercato del lavoro è aumentata con l’innalzamento dei livelli di istruzione-formazione fino a superare quello maschile, le “regole” del mercato non si rivelano ancora “amichevoli” verso le donne.
Ogni conflitto tra lavoro e cittadinanza equivale ad un ritardo culturale, politico e programmatico. La questione che oggi si pone non è quella di rendere ancora più flessibile il lavoro, ma quella di armonizzare i nuovi imperativi di libertà nel lavoro. Perché il destino del lavoro è un fondamentale metro di misura di una società democratica. Perché la costruzione di una vera “cittadinanza paritaria” è inseparabile dall’intervento sul lavoro, sulla qualità come sui livelli d’occupazione, per contrastare la prospettiva di una frattura insanabile tra garantiti e precari, tra lavoro creativo e lavoro esecutivo, tra esclusi e inclusi, tra uomini e donne. Perché la “diversità” come ricchezza e non come “discriminazione” si assuma come valore fondante di una comunità: le differenti identità vanno giocate in positivo e non in maniera conflittuale per integrare i punti di vista, i pensieri, le esperienze-competenze e garantire l’esercizio di pieni diritti tra uomini e donne.
Lorena Pesaresi, Portavoce regionale di Associazione politica “Sinistra Ecologista” dell’Umbria
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