Giovedi, 10/12/2020 - Se è vero che il mondo degli scacchi è stato da sempre appannaggio maschile, così come anche i grandi campioni giunti alla ribalta erano soprattutto uomini (chi non ricorda le storiche sfide fra l’’americano Bobby Fischer e il sovietico Boris Spasskij nei primi anni Settanta?), spesso dichiaratamente maschilisti (Kasparov dichiarò pubblicamente che il gioco degli scacchi non era nella ‘natura femminile’, finché non fu battuto dalla Polgar) pure sono numerose, anche se meno note, le campionesse di scacchi, e fra tutte ricordiamo Judith Polgar (e la sorella Susan che si dedicò solo a tornei femminili), fra le poche a partecipare a tornei misti e forse la giocatrice la cui carriera più si avvicina a quella di Beth Harmon, protagonista immaginaria della elegante serie TV ‘al femminile’ dal titolo 'La Regina degli Scacchi' (trailer) distribuita su Netflix nell’autunno di quest’anno che ha, da subito, ottenuto un notevole successo di pubblico e critica.
Tratta dall’omonimo romanzo del 1983 di Walter Trevis (scrittore e scacchista), la miniserie (il cui titolo originale “The Queen's Gambit” si riferisce ad un'apertura scacchistica chiamata ‘gambetto di donna’) valorizza il talento e l’ascesa nel mondo scacchistico di una ragazzina, poi di una donna, che affascina e commuove, attirando le simpatie del pubblico femminile, che s’identifica in un’eroina orfana e determinata, sopravvissuta alle tristi vicende della vita grazie agli scacchi, adottata da un padre assente e da una madre con cui instaura un legame di affetto e rispetto delle proprie reciproche fragilità, e a poco a poco percorre un cammino verso l’emancipazione, sua personale e di ‘genere’, senza però mai rinunciare all’aiuto e al supporto di una comunità di amici.
Dagli 8 anni, quando nonostante le proibizioni imposte impara a giocare a scacchi nel seminterrato grazie al signor Shaibel, il custode dell'orfanotrofio, che riconosce in lei una vera e propria bambina prodigio, fino ai 22 anni circa, cioè alla fine degli anni Sessanta, la storia di Beth si dipana tra l’ossessione degli scacchi, la dipendenza da alcool e psicofarmaci, il desiderio di vincere per riscattare un’esistenza difficile e la capacità di emergere in un mondo prettamente maschile. I personaggi, a partire dalla protagonista, fino alla madre adottiva della ragazza, agli amici che solidarizzano con Beth e agli altri che la ragazza incontra sul suo cammino, sono tratteggiati con grande cura degli aspetti psicologici ed emotivi, proponendo un ritratto mai scontato delle relazioni di genere e delle paure e vulnerabilità di ogni individuo.
La serie si distingue anche per una raffinata confezione di arredi ed abiti d’epoca, scelti con cura quasi maniacale dagli scenografi, elemento di arricchimento estetico che ha senz’altro contribuito al successo di questo prodotto che dopo neppure un mese dalla messa in onda era stato visto da circa 62 milioni di persone. Sul sito “Rotten Tomatoes”, aggregatore di recensioni che riporta le altissime percentuali di soddisfazioni degli utenti, vengono infatti evidenziati, come elementi vincenti: “la performance magnetica di Anya Taylor-Joy, la cura ottima nella realizzazione dei dettagli d'epoca e una sceneggiatura emotiva e intelligente”. La scelta del cast e in particolare l’interpretazione della Taylor-Joy, l’attrice e modella protagonista, sono sicuramente fra i principali ‘atout’ della serie.
Nonostante l’apprezzamento quasi unanime, però, sono state mosse alla serie anche alcune critiche, in particolare relative al fatto che le partite giocate come base per quelle della fiction sono state esclusivamente partite giocate fra giocatori maschi. Infatti il Gran Maestro Femminile (WGM - Woman Grandmaster) Jennifer Shahade, pur apprezzando molto la serie, ha fatto notare che “usare alcune partite giocate da donne sarebbe stato fantastico” e sarebbe stata una “consolazione per scacchiste realmente esistenti quali Judith Polgár, Vera Menchik o Ljudmyla Volodymyrivna Rudenko”.
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