“Il racconto dell’ancella” di Margareth Atwood diventa una serie tv e racconta la (possibile) fertilità del futuro e la (possibile) schiaviitù delle donne
Martedi, 05/09/2017 - Nel 1985, in Canada, viene pubblicato il romanzo di fiction speculativa “Il racconto dell’ancella” a firrma Margareth Atwood. Il libro vince alcuni premi e nel 1990 viene adattato per il cinema, ma non arriva al “grande pubblico”, forse anche perché osteggiato in diverse circostanze.
Quest’anno la storia narrata dalla Atwood è tornata “sulla scena” nella sua sferzante attualità grazie all’interessantissima serie TV distribuita da Hulu. Infatti i temi trattati, ben lontani da essere fantascienza, attraversano le cronache e i dibattiti politici di oggi ed in tutta evidenza rimangono nodi ancora parecchio problematici, primo tra tutti quello della fertilità femminile e di tutto ciò che può conseguirne.
E’ per me impossibile non osservare che il femminismo stesso fa fatica ancora ad affrontare le questioni che “The Handmaid's Tale” pone sul tavolo in modo esplicito e crudo. Tutta la narrazione gravita intorno al corpo fertile/infertile delle donne, è su questo che si costruiscono trame e sottotrame, che si articolano le diverse storyline e prospettive.
“The Handmaid’s Tale” ci offre una visione specifica della fertilità: è un bene di lusso. Nella società di “Gilead” è un valore assoluto, incensata continuamente in modo pervasivo, capillare («Blessed Be the Fruit - May the Lord open.»).
D’altra parte viene descritto come in realtà la condizione “elettiva” della fertilità femminile sia una condanna dalla quale non ci si può sottrarre. E questo è vero nella rappresentazione televisiva ma è anche vero nelle vite reali delle donne. Sappiamo bene che fino a poco fa non avevamo la 194 e che ancora oggi non ne vediamo garantita la piena applicazione. Tutte le donne fertili sanno, anche se magari non ci pensano, che solo grazie ad interventi tecnici, chimici e ambulatoriali (spirale, diaframma, preservativi, pillola anticoncezionale, “del giorno dopo”, spermicidi, RU-486 , IVG) abbiamo guadagnato una certa libertà di scelta in campo riproduttivo, ma a ben guardare questo non è vero sempre, né ovunque e comunque tale libertà prevede ancora che ci sia una scelta considerata di serie A ed una di serie B, indovinate un pò quale ci viene indicata costantemente come “migliore” da perseguire? «Blessed Be the Fruit - May the God(dess) open.» La serie ci ricorda impietosamente come una gravidanza avviata non è reversibile con un puro atto di volontà, ci trascende e nel contempo ci riporta all'immanente, all’arrogante ed ineludibile materialità corporea, alla finitezza.
Lo stesso momento del parto, scelto o no, ci pone in prossimità di rischi che, certo, si possono gestire e anche bene, ma che ci sono e sono * estremamente sentiti * da chi attraversa questa esperienza.
Voglio essere chiara: non intendo incensare “il materno”. Credo, parafrasando De Beauvoir, che «genitori non si nasce, lo si diventa» con grande impegno e sul lungo periodo. Credo anche che la fertilità femminile abbia collocato e tutt’ora collochi le donne in una condizione specifica sfruttata da un sistema etero-normato di stampo patriarcale con cui dobbiamo ancora fare i conti .
“The Handmaid’s Tale”, serie TV e romanzo, offrono una buona occasione per rifletterci ancora, magari collettivamente e nel modo più dialogico possibile tenendo conto delle visceralità che il tema va a stressare.
Forse i tempi sono maturi per permetterci di guardare, di nominare un dato biologico che segna una differenza irriducibile che tale rimarrà anche quando e se, in altri futuristici scenari, ci troveremo a confrontarci con gravidanze “extra-umane”.
Ancora non siamo a questo e anche se c’è chi si porta avanti con il lavoro, abbiamo tempo per ripensare il noto.
Per inciso la Atwood stessa sottolinea che nel suo romanzo non si è inventata nulla e che « everything that happened in The Handmaid’s Tale has happened. Somewhere at some time. I made nothing up» .
La storia è piuttosto semplice e neanche una novità: Stati Uniti d’America, in un futuro distopico molto prossimo ai nostri giorni si realizza una teocrazia di stampo cattolico che ricolloca le donne in una condizione dichiaratamente subalterna. La serie riesce a mostrarci diversi passaggi di questo ritorno, ricordandoci che nulla di quanto acquisito si può dare per scontato, sono necessarie vigilanza e memoria storica. Il ruolo assegnato alle poche donne rimaste fertili successivamente ad una non specificata catastrofe ecologica è quello di “ancelle”, in poche parole e *letteralmente* “animali da monta”. La prossimità alla condizione degli animali non-umani è evidenziata chiaramente in uno degli episodi di questa prima stagione, ma non sarò io a spoilerare oltre. Vedrete.
Si tratta a tutti gli effetti di portare avanti in modo forzato gravidanze per altre senza alcuna possibilità di scelta pena mutilazioni, morte e/o ritorsioni verso i propri e le proprie figli/e, ostaggi della neo repubblica di Gilead.
In questo quadro in cui l’orizzonte è quello della cruda sopravvivenza si muove la protagonista ancella assegnata ad uno dei “comander”. Elisabeth Moss (Top of the Lake, Mad Men) interpreta l’ancella in questione che dopo essersi vista strappare una figlia desiderata si vede costretta alla riproduzione forzata.
Di puntata in puntata veniamo a conoscenza di altri aspetti del nuovo assetto politico: vediamo come le donne, fertili ed infertili, ancelle, padrone o altro, si trovano schiacciate in un destino presunto in base alla fisiologia ed alla classe di appartenenza. Vediamo come la popolazione omosessuale e trans viene considerata un “abominio” e le conseguenze concrete che questo comporta. Vediamo le ingenuità e la rabbia di chi credeva di avere un lasciapassare nel mondo maschile che si vede ritorcere contro quello che in prima persona ha avallato e contribuito a creare e chi, invece, da “senza speranza” si è ritrovata in un contesto inatteso da cui cercare di trarre il meglio possibile.
Anche altri fattori sono interessanti nella narrazione: come il resto del mondo si relaziona a questi drammatici avvenimenti? Quanto peso ha l’informazione che riesce a trapelare oltre la cortina di fumo creata dai commander?
In questa prima stagione possiamo vedere l’accoglienza di profughi e profughe da parte di un paese confinante e non si può non fare un immediato paragone con la scarsa volontà di accoglienza che l’Europa dimostra oggi .Vediamo anche come, nonostante alcune raccapriccianti informazioni arrivino in altri paesi, questi per motivi economici e “di risorse” non si facciano scrupolo di guardare il più serenamente possibile dall’altra parte.
Per quanto riguarda la realizzazione io l’ho trovata molto convincente, ho fatto un pò di fatica per l’eccessiva ridondanza di alcune inquadrature e voci fuori campo, ma forse potrebbe esserci una qualche utilità nel ripetere e sottolineare. Mi hanno annoiato alcune delle diverse scene a connotazione sessuale, superflue e lunghe a mio parere; mentre quelle relative alla “cerimonia” mi sono sembrate molto puntuali nel veicolare i vissuti dei diversi personaggi coinvolti.
Sicuramente molto bene tutto quel che riguarda “la messa in scena” (costumi, scenografie, fotografia) ed in particolare ci sono un paio di trovate musicali che hanno il potere di trascinare senza mediazioni nella distopia della storia, è il nostro mondo ma in una versione “distorta” e molto umana. Molto convincente la regia dei flashback che danno la misura dei cambiamenti e dello "spaesamento" di chi non si aspetta ci si possa trovare davanti a certi tipi di violenza e cambiamenti. Nulla da dire sulle performance attoriali...salvo che su una, ma non dirò quale. Indovinate voi).
E infine si passa senza dubbio il “Bechdel test ” anche se alle serie non si applica.
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Spunti per bibliografia:
Rich ,1976, “Nato di donna”
Margaret Atwood, 1985, “The Handmaid's Tale”
Haraway, 1991, “Manifesto cyborg”
Braidotti, 1996, “Madri, mostri, macchine”
Preciado, 2008, “Testo tossico. Sesso, droghe e biopolitiche nell'era farmacopornogra􀂊ca”
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