Sabato, 12/12/2015 - Siamo a Parigi, ma non sotto l’imponenza della tour Eiffel, lungo le sponde illuminate della Senna, nel buio squarciato dal potere del divino di Notre Dame, fra i colori ad olio e la musica di Montmartre.
Ci troviamo in Rue de Merlin, numero 11, fra l’odore di baguette appena sfornate, spedizioni domenicali nel cimitero di Pere-Lachaise, corse in cortili socchiusi, scrosci di pioggia sotto l’ombrello, passeggiate in vicoli su cui si affacciano bar e botteghe.
La voce narrante è quella di Lucie, una dodicenne, ossia una crisalide, non più solo bambina, non ancora adulta, che, proprio in virtù del suo essere liminare, riesce ad entrare in contatto con entrambi i mondi, quello dell’infanzia e quello della maturità.
Affamata di parole, sogni, verità e scoperte, la ragazzina resta affascinata dal bambino di quattro anni, Matthieu, che abita nell’appartamento sopra il suo.
Li separano pochi scalini visibili e massicce muraglie incorporee. Matthieu, infatti, è autistico, chiuso nel suo mondo, nel suo definirsi “tu”, come si sente appellare, nel suo girare vorticosamente in cerchio, come un pianeta inglobato in un’orbita che non ammette invasioni.
Ma Lucie e la sua amica Theo scoprono il suo magico potere: il piccolo viene da lontano, è unextraterreste che si nutre di stelle e ha il potere di trasformarsi negli oggetti e, da grande, potrà farlo perfino con le persone.
Matthieu sa diventare perfino il biscotto che tiene in mano, senza mangiarlo, per ore, finché non si sgretola. E allora, davanti a quel mutamento dello status quo, il bambino piange, perché è empaticamente in tutto ciò che per gli altri non ha anima, perché le sue mani sono come ali di angelo capaci di donare vita.
Eppure un canale di contatto con lui c’è: sono i capelli. Il piccolo, infatti, si aggrappa alle lunghe chiome femminee, come se se fossero la treccia di Raperonzolo, per non precipitare nel vuoto dei suoi abissi.
“Ecco perché le donne hanno i capelli lunghi”, sentenzia Lucie, digiuna di antropologia e iconografia, ma nutrita di amore e di coraggio.
“Il bambino che mangiava le stelle” è una storia poetica e dolce, ma che non cela ed eufemizza la realtà: la rende semplicemente ed oggettivamente tale, spogliandola dai pregiudizi e dalla paura verso ciò che è diverso, ignoto…alieno.
“Al quinto piano sotto i tetti, quando arriva il momento di dormire, Matthieu mangia le stelle … le biglie cadono dentro la notte come stelle di sonno dentro gli occhi“.
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