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“I fiori del male”: donne in manicomio nel regime fascista

“I fiori del male”: donne in manicomio nel regime fascista

“I fiori del male: un omaggio alla memoria delle tante donne appassite tra le mura del manicomio”

Sabato, 12/11/2022 - A Modena, in occasione della settimana della salute Mentale, più propriamente conosciuta come la settimana del Màt, è stato possibile visitare presso la Sala Polivalente Officina Progetto Windsor dal 21 ottobre al 1 novembre 2022 la mostra “I fiori del male. Donne in manicomio nel regime fascista”.

È una mostra realizzata dalla Fondazione Università degli Studi di Teramo in collaborazione con il Dipartimento di salute mentale della Asl di Teramo e l’Archivio di Stato di Teramo. L’intenzione di realizzare questa mostra, come riportato da Annacarla Valeriano e Costantino Di Sante, nasce con l’obbiettivo di ridare voce e umanità alle tante recluse che furono estromesse e marginalizzate dalla società dell’epoca.

Nel corso dell’Ottocento i manicomi si diffusero in tutta Italia: l’esigenza di dedicare strutture per “disgraziati che avevano avuto la sventura di impazzire” si inserì una strategia nazionale per controllare le “classi pericolose”.
Dopo la prima guerra mondiale i ricoveri nei manicomi erano oltre 53 mila uomini e donne. Con le guerre i manicomi si affollarono accogliendo soldati e civili traumatizzati e divennero vere e proprie officine della salute.
Durante il periodo fascista, si amplificarono i concetti di devianza e marginalizzazione di coloro che si discostavano dalle norme sociali e i manicomi diventarono lo strumento di controllo e repressione. Per tutto il Ventennio fascista ci fu un aumento costante dei ricoverati, tra il 1927 e il 1941 i pazienti passarono da 62.127 a 94.946.
I medici aderirono alla campagna del regime esercitando azioni preventive e repressive. La prevenzione iniziò dalla tutela della “donna feconda” che avrebbe dovuto donare alla società “rampolli robusti”, pertanto i dottori dovevano attivarsi tempestivamente con le diagnosi per coloro che erano incapaci di svolgere le funzioni e i doveri richiesti dallo Stato. La repressione andò nella direzione stabilita dal Testo Unico delle leggi di Pubblica Sicurezza, che obbligava gli esercenti delle professioni sanitarie a denunciare gli infermi di mente e tutti coloro che potevano essere soggetti percepiti come socialmente pericolosi (mendicanti, inabili al lavoro, persone di dubbia moralità.

La mostra racconta attraverso volti, diari, lettere e relazioni mediche quanto accaduto all’ex manicomio Sant’Antonio Abate di Teramo a donne che hanno vissuto durante gli anni del regime fascista.
Ogni sguardo racchiude una storia, ogni espressione diventa traccia di un percorso personale improvvisamente interrotto.

Le ricoverate sono state fiori recisi prematuramente: le loro vite interrotte, i loro desideri sono stati spenti e le loro speranze si sono frantumate.

La loro capacità di continuare a essere umane in un mondo non umano è rimasta intatta e questa mostra, come riportato all’inaugurazione, ce lo ricorda.

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