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“Ho ucciso mio marito perché…”

“Ho ucciso mio marito perché…”

Violenze in famiglia - La testimonianza di Caterina Napolitano - 37 anni, in carcere da 15 anni per aver ucciso il marito violento - è tratta dal libro ‘Le parole da dentro’ (ed Comitato Internazionale 8 marzo)

Domenica, 24/02/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2013

“…Sono Caterina Napolitano, ristretta presso il carcere di Capanne. Sono quasi quindici anni che ormai vivo in questo istituto. Ho trentasette anni, quindi immaginatevi com’ero piccola quando misi piede per la prima volta in una realtà così diversa da come l’avevo pensata. Ho due bellissimi bambini che ovviamente mi sono stati strappati nel momento in cui mi sono costituita. Vivo nella speranza di poterli riabbracciare un giorno. Per adesso da mamma, mi auguro solo che stiano bene e che possano aver intrapreso un sentiero, un cammino buono. Sono dentro per l’omicidio di mio marito ma con quello che voglio raccontarvi, non chiedo ne pretendo di essere giustificata perché la vita ce la dà Dio. E lui ha diritto di togliercela. Sono stata madre, ma anche figlia di un padre padrone: un uomo che se non trovava le ciabatte all’ingresso della porta, faceva partire schiaffi o che se per distrazione rompevamo qualcosa in casa, per me e per mia madre era finita. Pugni, schiaffi, calci senza pietà. Senza contare le notti che ho trascorso in ginocchio dietro la porta della stanza di mia madre aspettando, con le lacrime agli occhi, che se la smettesse di ammazzarla di botte. Il giorno dopo? Come se non fosse successo niente. Diceva di aver sbattuto ritrovandosi in viso dei lividi. Adesso voglio raccontarvi questa storia e la voglio raccontare in particolare a voi donne, perché sono certa che esistono ancora donne succubi dei propri mariti o addirittura ragazzine spaventate per gli abusi fatti da chi le ha messe al mondo e le vuole sporche. Ma credetemi, quello che mi fa più rabbia è che nonostante tutto esistono donne ancora capaci di giustificare il comportamento animalesco del proprio marito o che addirittura sanno ciò che subiscono i loro figli dal marito, ma tacciono per paura e vergogna. Basta vi dico questo perché anch’io sono una delle tante che ha subito una mezza violenza carnale. Dico mezza, perché nonostante la paura, ne riuscii a parlare con un professore a scuola, che a sua volta si rivolse immediatamente alle assistenti sociali. Calma, non temete il loro intervento: non è per portarveli via, ma per allontanare “lui” e mettere al sicuro voi. Avevo quattordici anni, ero una bambina voleva sporcarmi, umiliarmi e ci è riuscito. Parlo a voi, donne: non aspettate di arrivare a commettere quello che ho fatto io perché vi rovinerà solo l’esistenza. Stessa cosa se tacete. Quindi non abbiate paura o timore di ribellarvi, anzi fatelo con tutte le vostre forze. Vi assicuro che pagheranno loro: tutti quegli uomini che hanno il coraggio di sporcare le ragazzine. Ora a distanza di molti anni ho capito molte cose, ho lavorato molto su me stessa e mi rendo conto di avere sbagliato tutto nella vita. Ho perso due bellissimi bambini e gli ho tolto una madre e un padre. Quello che mi fa più male è che sono loro quelli che stanno pagando più di tutti. Non è facile impugnare questa penna e mettere a nudo un pezzo della mia vita, insieme al mio più grande dolore. Ora provo a fare quello che non sono riuscita a fare prima, a inviare un messaggio, a comunicare. Forza donne. Se lottiamo tutte insieme, se ci tendiamo una mano, se ci ascoltiamo anziché voltarci le spalle, possiamo cambiare qualcosa. Compresa io. Ho sentito tante storie all’interno del carcere e ogni storia ha il suo mistero. Il mistero delle donne chiuse dietro queste sbarre. Se solo poteste ascoltarne qualcuna, capireste cosa si cela dietro l’anima fragile di una donna. Sarete curiose di capire perché o che cosa mi abbia spinto a tanto. Sicuramente la paura di passare quello che ha vissuto mia madre, che è morta di dolore. Sapete che cosa mi ha detto prima di spegnersi? “..ti prego non l’abbandonare”… immaginate com’era succube. Anche quella frase ha contribuito a rendere ancora più confusa la vita tanto travagliata che ho vissuto. Dov’è mio padre ora? Vive in un paesino sperduto, con due tumori, solo come un cane. Dio esiste per tutti. A suo modo, ma esiste quindi non mollate mai”.





Per far uscire almeno le parole...



Non tutte, all’inizio, “sono riuscite a prendere in mano la penna e a mettere i propri pensieri nero su bianco - spiega Alessandra Pettinelli, curatrice del laboratorio -, molte hanno scritto e inviato i loro elaborati anche durante l’estate”. ‘Le parole da dentro’ è una raccolta di scritti, risultato di un laboratorio di scrittura organizzato ‘per’ e ‘con’ le detenute della Casa Circondariale di Capanne (Perugia) dal Comitato Internazionale 8 marzo tra il febbraio e il maggio 2012. Il volumetto è stato stampato con il patrocinio e il contributo della Provincia di Perugia in collaborazione con la Regione Umbria. Una serie di incontri a cadenza settimanale hanno riunito donne diverse per età e provenienza che sono state sollecitate ad esprimersi su vari temi e a commentare film o immagini. Questo lavoro è stato il proseguimento di un percorso che viene da lontano. Sono circa venti anni, infatti, che il Comitato Internazionale 8 marzo frequenta il carcere femminile di Perugia. Marcella Bravetti spiega che il laboratorio di scrittura creativa è il frutto di un’esigenza: superare l’approccio istituzionale (con visite e regali di prodotti di prima necessità anche destinati ai bambini reclusi insieme alle mamme) per ulteriormente sviluppare “un rapporto di vicinanza” con le detenute.



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