Una Repubblica (af)fondata sul lavoro /2 - Schiacciate tra la propria attività lavorativa e i carichi familiari
Dalla Negra Cecilia Lunedi, 24/10/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2011
Linda Laura Sabbadini, statistica e studiosa delle trasformazioni sociali, di recente è diventata Direttore del Dipartimento delle statistiche sociali e ambientali, uno dei quattro dipartimenti in cui è organizzato l’ISTAT, unica donna insieme ad altri tre uomini, un riconoscimento più che meritato. L’abbiamo incontrata nel suo ufficio romano per raccogliere la sua opinione sulla situazione del lavoro delle donne in Italia.
Cominciamo dai dati: secondo i rapporti Istat l’Italia è fanalino di coda in Europa per livello di occupazione femminile. Meno del 50% delle donne lavora, dato che scende ad un terzo se guardiamo a Sud. La disoccupazione femminile è al 9,7% contro il 7,6% di quella maschile, nonostante il livello di istruzione sia maggiore. Un quadro sconcertante.
Per analizzare la situazione dobbiamo partire dall’occupazione. Quello sulla disoccupazione femminile è un indicatore che può portarci fuori strada rispetto al contesto italiano, a causa di quel fenomeno - diffuso nel nostro paese e in modo particolare tra le donne del Mezzogiorno - noto come “scoraggiamento”. Sono le donne che, scoraggiandosi, non cercano attivamente un lavoro perché convinte che non lo troveranno, e che di conseguenza non rientrano nel tasso di disoccupazione, ma in quello della cosiddetta “popolazione inattiva”. Dal punto di vista dell’occupazione non c’è che dire: siamo indietro rispetto al resto dell’Europa, solo Malta presenta caratteristiche peggiori. E non si tratta di un problema determinato soltanto dalla crisi economica, ma di un fattore strutturale che ci portiamo dietro da molti anni. La crisi ha peggiorato una situazione già critica, peggiorando anche la qualità del lavoro.
Quali sono gli elementi che concorrono a questo basso tasso di occupazione femminile?
Nonostante l’aumento del livello di istruzione e il sorpasso femminile nell’istruzione, nonostante i maggiori investimenti in cultura, le donne hanno maggiori difficoltà ad accedere e permanere nel mercato del lavoro. Resta molto oneroso per la popolazione femminile vivere tranquillamente la propria attività lavorativa conciliandola con altri impegni e responsabilità, tra cui quelle familiari. Culturalmente non siamo molto avanzati dal punto di vista della divisione dei ruoli all’interno della coppia. Il contributo maschile cresce molto lentamente, e se la situazione migliora è più perché le donne tagliano sul numero di ore che dedicano al lavoro familiare, che perché gli uomini aumentano il loro contributo. E poi c’è il problema dei servizi sociali ancora poco sviluppati. Le donne sono molto sovraccariche.
Un paese che ha investito poco in servizi e welfare, sovraccaricando e schiacciando le donne?
La spesa sociale per le famiglie non è particolarmente sviluppata nel nostro Paese. Il sistema di welfare si basa molto sul lavoro non retribuito e di cura fornito dalle donne, che ne sono uno dei pilastri fondamentali. Ma mentre in passato la spinta ad entrare nel mercato del lavoro era più bassa e quindi la situazione più sostenibile, ora le donne sono cambiate, hanno investito maggiormente in cultura e istruzione, e hanno nuove aspettative nella vita anche a livello professionale. Su di loro, schiacciate tra lavoro e cura, si abbatte un forte sovraccarico, lavorano ogni giorno almeno un’ora più degli uomini , considerando sia il lavoro retribuito che non retribuito. Le donne non riescono più come prima a reggere il carico di lavoro familiare, e per questo la rete di aiuto informale è entrata in un processo di crisi strutturale. Anche se volessero, le donne non riuscirebbero a dare lo stesso numero di aiuti del passato perché hanno meno disponibilità di tempo e meno persone con cui condividere l’aiuto da fornire. Se non si svilupperà un adeguato sistema di sostegno da parte del sistema di welfare ne faranno le spese anziani, bambini e le persone più vulnerabili attualmente assistite dalle donne. Non si può non fare i conti con questo aspetto. Noi continuiamo a documentarlo nel nostro rapporto annuale. Bisogna intervenire prima che aumenti la marginalità sociale dei soggetti non più assistiti.
E’ la catena di solidarietà femminile che è entrata in crisi. Perché?
Due aspetti stanno minando dalle fondamenta la catena di solidarietà femminile tra madri e figlie esistenti nel nostro Paese. Il primo è il fattore demografico. Le tendenze demografiche hanno trasformato la rete di parentela, sempre più stretta e lunga. Ciò porta ad avere in prospettiva più persone da aiutare (i genitori anziani, specie donne) con meno fratelli o sorelle con cui condividere l’aiuto (per il calo delle nascite). Il secondo fattore riguarda la coscienza femminile. Le donne sono più istruite, vogliono lavorare e contare nel mondo del lavoro, conseguentemente hanno meno tempo da dedicare al lavoro di cura. Chiara Saraceno parlava del fenomeno delle “donne sandwich”, schiacciate tra lavoro di cura dei propri figli e quello dei genitori anziani. Col passare del tempo dobbiamo cominciare a parlare anche di nonne sandwich, schiacciate sempre di più in prospettiva tra cura dei nipoti e dei propri genitori sempre più anziani e spesso non autosufficienti… I bisogni cambiano e le donne anche, il rischio è che crescano i bisogni non soddisfatti, se non si interviene adeguatamente.
È come dare per scontato che tutto questo lavoro di cura debba necessariamente ricadere sulla spalle delle donne.
È sempre stato così. Prima questo trovava giustificazione nel fatto che i tassi di occupazione femminile erano più bassi, e c’era meno propensione da parte delle donne ad investire nel lavoro e nella carriera. Oggi la contraddizione emerge con forza, perché la coscienza femminile è cambiata. Le donne vogliono potersi affermare su tutti i fronti. Vogliono lavorare, godersi i propri figli e condurre una vita equilibrata.
Guardando la situazione con distacco sembra che, rispetto al passato, niente sia cambiato. Meno lavoro, più precario, maggiori sacrifici richiesti alle donne. Quale trova che sia la principale differenza generazionale da questo punto di vista?
Il maggiore investimento in istruzione e cultura che rende le donne più coscienti e consapevoli del loro valore. Per una giovane di oggi, che sceglie di investire in formazione e cultura, è normale pensare di poter avere uno sbocco lavorativo qualificato. E’ la percezione della naturalezza delle prospettive che è cambiata. Nella sua coscienza soggettiva è una sorta di transizione naturale. Ma nel passaggio tra il mondo dell’istruzione e quello del lavoro ci si scontra immediatamente con una realtà piena di difficoltà. Mentre negli studi le donne tendono ad eccellere rispetto agli uomini, dal punto di vista lavorativo la situazione è subito più complicata. Trovano un lavoro più tardi, più precario dei propri coetanei, pagato peggio, più spesso sottoinquadrato.
Il suo è stato tra gli interventi più autorevoli dal palco senese di “Se non ora quando”, nel quale ha dipinto uno scenario preoccupante per quanto riguarda il mondo del lavoro femminile in Italia. Eppure sembra che qualcosa stia cambiando.
Stiamo assistendo ad un risveglio, le donne sono fortemente sovraccariche, non ce la fanno più. Io credo che ci sia la possibilità che entrino davvero in campo con forza. Quello che è successo a Febbraio non è casuale, è frutto di un processo trasversale che riguarda tutte. Se non ora quando è riuscito ad intercettare il sentire femminile e lo ha fatto con un grande entusiasmo e una trascinante carica. Il sentire comune delle donne ha bisogno di trovare un canale per potersi esprimersi. Le donne sono cresciute troppo nella loro coscienza per poter continuare a rimanere in questo stato nel nostro Paese, e la politica non è all’altezza di dare loro una risposta. Non si può continuare così. L’ho detto nella relazione a Siena, se le donne sapranno essere unite veramente e supereranno le divisioni che molto spesso purtroppo le caratterizzano nessuno, dico nessuno potrà fermarle, e tutto, dico tutto sarà possibile. Perché le donne hanno dimostrato di avere una grande forza e non si possono più permettere di disperderla.
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