Il documentario su Caterina Bueno, la ‘raccattacanzoni’ dalla voce indimenticabile
L’amore per la musica popolare e le sue storie, l’energia e la capacità interpretativa, l’incontro con Giovanna Marini e tanti altri artisti: il ritratto di una delle più interessanti figure del folk italiano
Mercoledi, 19/02/2020 - ‘E la vita Caterina, lo sai, non è comoda per nessuno/quando vuoi gustare fino in fondo tutto il suo profumo/devi rischiare la notte, il vino e la malinconia’, questi alcuni versi della canzone “Caterina” che Francesco de Gregori dedicò, nell’album ‘Titanic’, alla compianta artista Caterina Bueno - cantautrice, ricercatrice ed interprete di straordinaria intensità, dalla voce vibrante e dallo sguardo magnetico, scomparsa nel 2007 (era nata a Fiesole nel 1943) - che lo scelse nel 1971, giovane e promettente chitarrista appena ventenne, per accompagnarla nel suo primo tour. Di certo la vita di Caterina non è stata ‘comoda’, ma volutamente complessa, profonda e 'rischiosa', ricca di incontri stimolanti ed unici ma anche segnata dalla solitudine e da un desiderio costante e non sempre appagato di vita e di autenticità. La vicenda esistenziale della Bueno, la sua paziente e rigorosa attività di raccolta di un ampio repertorio di canti contadini delle campagne toscane – fino al XX secolo tramandati oralmente - e la sua diffusione attraverso concerti in Italia e all’estero, a partire dagli anni Sessanta, raccontano di come l’artista fosse consapevole che il gusto e la bellezza della musica popolare fossero un patrimonio di tutti, da tramandare e diffondere anche se rielaborato attraverso le diverse generazioni e mediante linguaggi diversi.
L’intreccio ineluttabile fra l’attività instancabile di etnomusicologa della Bueno e quella di artista (lei stessa dichiarò in un’intervista che la seconda era servente e volta ad incrementare la prima) emerge dalla scelta delle immagini e dalla struttura narrativa del documentario ‘Caterina’, diretto da Francesco Corsi, distribuito da Kiné e presentato in anteprima durante l’ultima edizione del Festival dei Popoli di Firenze - dove ha vinto il premio “Imperdibili” – ed uscito di recente in alcune sale italiane.
Basato sul ritrovamento di numerose immagini del documentario RAI “Caterina Raccattacanzoni” (trailer 1 e 2), realizzato nel 1967 da Luciano Michetti Ricci e Francesco Bolzoni, dato lungamente per disperso, e sostenuto da una generosa iniziativa di crowdfunding, che ha permesso anche la digitalizzazione di alcuni nastri dell’epoca, il documentario di Corsi decide di raccontare una storia non lineare della Bueno, né segnata da sequenze di facile intuizione, ma procede piuttosto per immagini dense e per quadri narrativi, cogliendo brani d’interviste e registrazioni inedite, tratte dagli archivi privati della Bueno, frammenti, atmosfere e ricordi apparentemente slegati fra loro, che possono generare nello spettatore qualche difficoltà di connessione con l’affresco d’insieme. Anche la scelta di non scrivere in sovraimpressione i nomi degli intervistati, personaggi di spicco della vita artistica del tempo, amici o persone comunque vicine alla Bueno, ma non a tutti noti, crea talvolta disorientamento ed incide, intenzionalmente, sulla minimizzazione dell’aspetto logico-razionale del racconto, lasciando spazio invece alle emozioni, alle sensazioni prodotte, alla ricerca di senso.
“Dai primi passi della ricerca per il documentario – afferma il regista - mi sono reso conto che la vicenda di Caterina non poteva essere raccontata in maniera lineare, né il suo percorso artistico e culturale racchiuso in una sintesi cronologica. Per questo ho deciso di raccontarla attraverso diversi piani narrativi, tenendo conto di alcuni passaggi biografici, ma facendomi guidare soprattutto dal flusso delle suggestioni scaturite dal suo lavoro e dalle persone e dai luoghi che ha incrociato nel corso della sua vita. Ho deciso, insomma, di raccontare Caterina Bueno per frammenti di diversa forma e natura.”
Fra i preziosi brani di interviste raccolte da testimoni privilegiati, che hanno percorso con Caterina tratti di strada, si evidenziano nel documentario quelli di Giovanna Marini, cantautrice e parte del Nuovo Canzoniere Italiano, a sua volta etnomusicologa e ricercatrice indomita di canti popolari del folclore e della tradizione orale italiana (oltre che insegnante di Modi del Canto Contadino presso la Scuola Popolare di Musica di Testaccio a Roma); del cantante e poeta Giovanni Bartolomei, che ha raccolto e custodito con devozione quasi feticistica, in questi anni, vinili, nastri magnetici e foto di Caterina Bueno; di Jamie Marie Lazzara, liutaia statunitense naturalizzata in Italia; del chitarrista Alberto Baila, compagno di concerti e di bevute; di Andrea Fantacci, del collettivo musicale I Disertori; di Valentino Santagati, cantante e chitarrista folk calabrese che ha per Caterina parole bellissime, di tenerezza e ammirazione al tempo stesso. Tanti altri sono stati i suoi compagni di strada, artisti, letterati e cantautori: Dario Fo, Pier Paolo Pasolini, Umberto Eco, Fausto Amodei, Rosa Balistreri, Giovanna Daffini, Ivan della Mea, Francesco De Gregori. Il documentario opera delle scelte precise.
Proprio a Giovanna Marini, infatti, è affidata una delle scene più significative della pellicola, il racconto di quando, entrata a far parte del Nuovo Canzoniere Italiano, Caterina Bueno parteciperà nel 1964 allo spettacolo “Bella Ciao” (a cura di Roberto Leydi, Michele Straniero e Franco Fortini con la regia di Filippo Crivelli), durante la settima edizione del Festival dei Due Mondi di Spoleto: in una serata rimasta famosa, nei ricordi dei protagonisti e nelle pagine della cronaca, alcuni ufficiali presenti in sala non gradirono una strofa del canto “O Gorizia” (Traditori signori ufficiali / voi la guerra l'avete voluta/ scannatori di carne venduta / e rovina della gioventù) e denunciarono la cosa pubblicamente, nel corso dello spettacolo, ottenendo altrettante fiorite risposte dai sostenitori dei cantanti e delle idee espresse dal canto stesso. Giovanna Marini, presente fra i musicisti sul palco, racconta questo episodio nel documentario, con grande verve e dovizia di particolari, evidenziando come ad alcune signore ‘perbene’ presenti in sala non andò a genio il ‘modo’ di cantare di alcune interpreti popolari, a dimostrazione che si trattava di un conflitto di valori e di mondi politici oltre che musicali, di uno scontro ideologico, prima di tutto, fra il vecchio e il nuovo, fra classi privilegiate e idee progressiste.
La Bueno non ha raccolto e cantato soltanto le storie - d’amore, morte, lotta, politica, lavoro - dei contadini dell’Amiata, del Mugello e del Casentino, ma anche e soprattutto la vicenda di donne e uomini in un’epoca storica di incredibile valore e portata sociologica e antropologica, valorizzando, insieme ai canti, coloro che li cantavano, scoprendone le aspirazioni e le conquiste, i fallimenti, le gioie e le amarezze quotidiane, restituendo loro la dignità che meritavano. Proprio lei, figlia di un pittore spagnolo, Xavier Bueno, e di una scrittrice svizzera, Julia Chamorel, si è fatta paladina del ‘folk’ italiano e dei canti popolari, ma ha voluto anche usare la sua voce contro le ingiustizie e le discriminazioni, in favore delle lotte sociali e dei più deboli, degli emigranti, delle donne.
Il documentario si apre con una lunga sequenza sulla campagna fiorentina e sul piccolo cimitero di Arcetri, dove Caterina riposa, con alcuni musicisti che suonano e cantano, una sorta di omaggio rituale alla cantante anche da parte del regista che sceglie di chiudere la pellicola con “Maremma amara”, forse il brano più noto fra i tantissimi del suo repertorio.
Grazie Caterina, per averci lasciato in eredità la tua voce e la tua inquietudine.
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